fbevnts «Diritto»: studio per la voce di un lessico crociano

«Diritto»: studio per la voce di un lessico crociano

06.06.2016

Carlo Nitsch

Professore associato di Filosofia del diritto, Università degli Studi di Napoli Federico II

Sommario: 1. Premessa. – 2. «Diritto». – Nota bibliografica: a. Croce e il diritto. – b. Tra etica e politica. – c. Il problema della «definizione» del diritto. – d. Sulla «riduzione» della filosofia del diritto. – e. Nella «valanga» delle discussioni. – f. Diritto ed economia. – g. La ‘mafia’ e la ‘camorra’. – h. Sulla legge. – i. Sul diritto naturale.

 

1. Premessa.

Scrivere la voce «diritto» di un lessico crociano[1] ha significato affrontare, nell’ampio e multiforme orizzonte del pensiero di Benedetto Croce, un problema complesso. Se la riflessione sul giuridico, infatti, per la specificità dei temi trattati, la forte connotazione tecnica e il carattere specialistico della letteratura al riguardo, sembra accreditare l’immagine di un Croce ‘filosofo delle parti’, l’articolato svolgimento di essa, tra profili teoretici e questioni pratiche che investono l’intera Filosofia dello spirito, conferma la profonda connessione delle ‘parti’ tra loro, tale per cui studiare Croce vuol dire necessariamente, anche in questo caso, studiare ‘tutto Croce’.

In riferimento al diritto, è possibile apprezzare appieno la peculiarità del lavoro crociano, nel cui ambito la riflessione filosofica è sempre riflessione sulla realtà storica, e muove ogni volta dall’analisi critica di una sua particolare determinazione; di modo che il ‘tutto’ sia messo continuamente alla prova nelle sue ‘parti’, e queste ritrovino nel ‘tutto’ la loro ragion d’essere. Ciò premesso, com’è noto, l’attività giuridica non costituisce, nell’architettura del ‘sistema’, una categoria autonoma della vita dello spirito, bensì un’esperienza da ridurre e ricondurre nel più ampio dominio della forma economica, come tale distinta e unita insieme alla forma etica. Quanto nel mondo del diritto, a giudizio di Croce, vi sarebbe di ‘reale’ – cioè il volere e l’agire in concreto, in situazioni di fatto storicamente determinate, avendo quale proprio orientamento il principio dell’utile – non darebbe luogo, pertanto, a un momento specifico, ulteriore e diverso, della coscienza pratica. Viceversa, ciò che appare tipico del giuridico, quale elemento caratterizzante il rapporto dell’uomo con il diritto, risulterebbe essere affatto ‘irreale’: così le leggi non sarebbero, nell’operosità pratica degli individui, altro che «pretese volizioni», e i concetti giuridici, analogamente, nell’elaborazione scientifica della giurisprudenza, nulla più che mere «finzioni concettuali».

Di questa complessità, per evidenti ragioni, un lavoro di tal genere può dar conto solo in parte. L’inevitabile tirannia degli spazi, nella redazione della voce di un lessico, impone scelte precise quanto all’individuazione dei problemi da affrontare. Se l’interesse per il diritto – un interesse critico, talvolta apertamente polemico nei confronti dei suoi cultori – appare rilevante nel percorso di formazione di Croce, e largamente diffuso nella sua opera, nella prospettiva di questo contributo si è inteso privilegiare il momento cruciale e risolutivo della concettualizzazione giuridica crociana. Al centro dell’attenzione, dunque, sono state poste le pagine – così vicine nel tempo, eppure tra loro tanto distanti – della Riduzione della filosofia del diritto alla filosofia dell’economia[2]e della Filosofia della pratica[3]. Non è sembrato necessario, invece, indugiare sulle vicende del primo giovanile approccio ai problemi del diritto: dall’esperienza, del tutto insoddisfacente, dei corsi universitari presso la Facoltà di Giurisprudenza della Sapienza romana, a quella, ugualmente poco appagante, delle frequenti discussioni su questioni giuridiche in casa dello zio Silvio Spaventa[4]. Per altro verso, non è stato possibile ripercorrere le fasi della successiva meditazione filosofica di Croce sul diritto, nel corso della quale, se non mutano le principali categorie di riferimento, si radicalizza di fatto il loro impiego: si pensi, soprattutto, ai saggi raccolti in Etica e politica[5], ove la proiezione del discorso giuridico sul piano dell’azione politica dello Stato, identificato quest’ultimo con il «governo», conduce al limite gli esiti della riflessione in merito al rapporto tra la concretezza della forza e l’astrattezza delle regole. Né si è potuto, in queste pagine, fermare l’attenzione sulla specifica rilevanza dei problemi giuridici nelle grandi opere della storiografia etico-politica crociana, le cui direttrici interpretative appaiono, com’è noto, sempre legate all’ordine concettuale della sua filosofia, che la ricerca storica mette continuamente alla prova nella conoscenza dell’esperienza della vita dello spirito[6]. Infine, salvo qualche essenziale richiamo nelle annotazioni a piè di pagina, non è parso opportuno soffermarsi sulle numerose recensioni, dedicate a questioni giuridiche, pubblicate nei fascicoli della Critica: sebbene questi scritti offrano una preziosa testimonianza del costante e informato interesse di Croce per il diritto e il lavoro dei giuristi (il che va senz’altro sottolineato[7]), troppo spesso il motivo polemico sembra prendere, in queste pagine, il sopravvento sull’argomentazione filosofica.

Un problema diverso, infine, ha posto la decisione, assunta dai responsabili del progetto editoriale del Lessico crociano, di pubblicare i singoli contributi privi di riferimenti critici alla letteratura secondaria e sprovvisti di una, pur minima, nota bibliografica. La elaborazione di questa voce (come di tutte le altre, immagino) ha comportato invece, inevitabilmente, un confronto intenso e serrato con tale letteratura, che ha preso le mosse da una preliminare ricognizione, nell’ampio panorama degli studi su Croce, dei principali scritti dedicati alla riflessione sul diritto, e ha privilegiato, nell’approfondimento di alcune specifiche questioni, la particolare rilevanza di esse nella tradizione italiana degli studi di filosofia giuridica. L’articolazione di questo studio vorrebbe restituire, nella sua interezza, il risultato di tale lavoro.

2. «Diritto».

La riflessione di Croce sul diritto è maturata, fino al conseguimento della sua compiuta configurazione, in coincidenza, e in peculiare interferenza con la costruzione del sistema della Filosofia dello spirito, nel corso dei primi anni del Novecento.

A voler fermare un primo, essenziale riferimento a ciò che il diritto ha rappresentato, secondo determinazioni e svolgimenti progressivi, nell’orizzonte di questo complesso quadro di pensiero, può essere utile rileggere le pagine della grande Estetica del 1902 dedicate alla struttura categoriale del ‘sistema’. Ivi, ripercorsa in sintesi l’articolazione dei gradi dello spirito, nella loro specifica disposizione e nella regressiva implicazione, per ciascuno dei quattro momenti, del precedente nel successivo, Croce esclude l’esistenza, accanto alle forme estetica, logica, economica ed etica, di una quinta forma dell’attività umana, la quale, o difetterebbe del carattere stesso di attività, o non sarebbe che una mera variante verbale di quelle già individuate, ovvero una mescolanza delle stesse priva di una reale propria autonomia.

Il primo esempio, a tal fine esaminato, ha per oggetto l’«attività giuridica», la quale deriverebbe «dalla teoretica ed economica insieme»[8]:

il diritto è una regola, è una formula (orale o scritta, consuetudinaria o legiferata, qui importa poco) in cui è consegnato un rapporto economico voluto da una collettività. Questo lato economico l’unisce e distingue insieme dall’attività morale[9].

Nella terza edizione dell’opera[10], che risente, in proposito, dell’avanzamento dei suoi studi sul diritto, muta il riferimento dall’«attività giuridica» al «fatto giuridico, considerato in quel che si suole chiamare diritto oggettivo», e si precisa la derivazione di questo «dall’attività economica e dalla logica insieme». La definizione che ne segue, anch’essa in parte modificata[11], contiene in nuce gli elementi assiali della concezione giuridica crociana, offrendo in tal senso la traccia di un possibile itinerario d’indagine, che in queste pagine si proverà a seguire.

Se la determinazione, dunque, di cosa sia l’attività giuridica (ovvero il fatto giuridico) non può andare disgiunta da una ricostruzione della progressiva affermazione, nel pensiero di Croce, del principio economico entro il dominio della filosofia della pratica, dell’utilità quale criterio autonomo nella vita dello spirito, bisogna attendere le pagine della Riduzione della filosofia del diritto alla filosofia dell’economia, perché il problema della natura del diritto sia posto e affrontato nella sua più specifica consistenza. Presentata all’Accademia Pontaniana di Napoli, nella primavera del 1907, e pubblicata di lì a breve[12], la Riduzione è dichiaratamente concepita come un lavoro preparatorio del libro sulla Filosofia della pratica[13], al quale egli attendeva fin dai primi mesi dell’anno, in un’intensa stagione di studi, febbrile entro e fuori il ‘sistema’, che vedeva quest’ultimo, prossimo ormai alla realizzazione, già sottoposto a ripensamenti e significative modificazioni[14].

Le coordinate generali del problema sono esposte nella prima parte della memoria, ove la «contradizione» interna della filosofia del diritto – il cui particolare compito sarebbe stato quello di determinare il fondamento e il concetto del diritto, di ricercare il carattere distintivo di esso tra le forme dello spirito pratico – è rinvenuta nella sua incapacità di intendere e precisare il rapporto tra l’attività giuridica e quella etica. Se la storia stessa della filosofia giuridica, una storia per altro «assai recente»[15], è interamente contrassegnata dall’esigenza di individuare il confine tra diritto e morale, la condizione degli studi di filosofia del diritto e il contenuto dei libri che così «s’intitolano» mostrerebbero chiaramente, da un lato, come ancora oscura appaia l’indole dell’attività giuridica in mancanza di una siffatta consapevolezza, e come, dall’altro, alla prospettiva di una possibile identificazione tra i due piani si opponga «una certa confusa coscienza», tenace e diffusa, dell’elemento differenziale che connoterebbe il diritto rispetto alla morale[16].

 

Dal Tomasio in poi, c’è, nella coscienza filosofica moderna, questo pensiero, di un quid distintivo rispetto alla morale, di un carattere prettamente giuridico, che non è carattere etico [...]. Tuttavia, questa determinazione nuova, questo concetto della giuridicità o legalità, non si è fuso nell’organismo spirituale, quasi alimento datore di forza; ma resta come qualcosa di non ancora digerito, che pesi su uno stomaco, il quale non abbia la forza né di espellerlo né di assimilarlo. Eliminarlo, tornando all’innocenza antica, che altri lamenta perduta, non si può: dominarlo, collocandolo al posto che gli tocca, non si sa. Per collocarvelo, bisognerebbe conoscerlo bene, nella sua precisa natura e relazione; e proprio questa conoscenza precisa non si è ancora raggiunta[17].

Dinanzi alla «condizione morbosa», che da circa due secoli avrebbe afflitto la filosofia del diritto[18], la diagnosi è chiara: l’impossibilità di conseguire una puntuale conoscenza del diritto e del suo rapporto con la morale – attesa l’inconsistenza, sul piano filosofico, quali elementi qualificativi del giuridico, dei concetti empirici di coazione, forza, esteriorità e simili: «Tutti caratteri veri; ma tutti caratteri vaghi»[19] – discenderebbe dalla mancata elaborazione della categoria dell’«economicità» quale forma autonoma di attività spirituale. Di qui, dunque, l’individuazione della via da percorrere. Elevata l’economia a scienza filosofica, e identificato nel concetto dell’utile il suo riferimento essenziale, è nella seconda parte dell’opera che il tema della natura del diritto viene riproposto e svolto nei suoi termini propri, a partire dalla formulazione del seguente interrogativo: «È il diritto mera attività economica, o è attività morale?»[20].

Nell’articolazione della domanda resta implicita, innanzitutto, l’esclusione dell’eventualità che giuridica possa dirsi una determinazione peculiare e ulteriore dell’attività pratica, diversa tanto da quella economica quanto da quella etica, atteso che tale partizione, «coincidendo con quella di individuale ed universale», non lascerebbe alcuno spazio per una terza forma. Essa consente, inoltre, di porre in questione l’appartenenza del giuridico, anziché al dominio dello spirito pratico, a quello dello spirito teoretico, secondo un’interpretazione verso la quale potrebbe far propendere la sua rappresentazione in termini di conoscenza di un complesso di regole, frutto di un procedimento di generalizzazione, così nelle leggi poste dal legislatore, come nei concetti forgiati dalla scienza giuridica. È interessante seguire il ragionamento attraverso il quale si viene a fugare tale dubbio (posto qui, annota il filosofo, «per semplice scrupolo di chiarezza»), assumendo che il diritto non consisterebbe in un’attività conoscitiva siffatta, quanto piuttosto «nella risoluzione pratica, nell’atto di volontà, che segue alla semplice conoscenza». Nello svolgimento del discorso, infatti, prende corpo, in termini non ancora del tutto espliciti, quel particolare ‘dualismo’ – così caratteristico della riflessione crociana, anche nella dimensione aporetica di alcuni suoi esiti ultimi – tra il «fatto giuridico», che altro non sarebbe, stricto sensu, che un fatto pratico o di volontà, e la «legge», ad un tempo prodotto e oggetto di volontà[21].

L’elaborazione di una risposta all’interrogativo muove, invece, dal riconoscimento del carattere «amorale» del diritto, dell’essere l’azione giuridica, in sé considerata, un’attività pratica né morale né immorale, per giungere all’accertamento della perfetta identità dell’attività giuridica con l’economica, «azione dell’individuo tra le azioni degli altri individui», «forza tra le forze delle circostanze date»[22]. Ciò premesso, Croce prende in esame, tra le presunte difficoltà che potrebbero apparire d’intralcio a questa identificazione, l’improprio paragone (null’altro che un «idolo dell’immaginazione»), che taluni sarebbero indotti a prospettare, tra le leggi giuridiche e quelle economiche. Due complessi di fatti, osserva il filosofo, a tal punto diversi tra loro, che altro non avrebbero in comune che il nome di «legge», essendo le prime, comandi o atti di volontà, il «fatto immediato», la «realtà», mentre le seconde, opera di contemplazione e conoscenza, il «fatto mediato e riflesso», la sua «teoria»[23].

Un momento differenziale autentico, sebbene Croce assuma non essere tale da investire l’essenza del fatto giuridico, è rinvenuto piuttosto tra l’«azione giuridica» e la «legge». La questione, ripresa e più ampiamente svolta, costituisce l’asse portante della parte terza della Filosofia della pratica, espressamente dedicata a Le leggi[24]. «La legge – questo l’incipit delle pagine in esame – è un atto volitivo che ha per contenuto una serie o classe di azioni»[25]; così qualificata, essa risulterebbe essere, dunque, «volizione di un astratto»:

volere un astratto tanto vale quanto astrattamente volere; e volere astrattamente non è veramente volere, perché si vuole soltanto in concreto, ossia in una situazione determinata e con una sintesi volitiva corrispettiva a quella situazione, e tale che si traduca immediatamente in azione, cioè che sia insieme azione effettiva. Per conseguenza quella volizione, che è la legge, sembra che si debba dire una pretesa volizione: contraddittoria, perché priva di situazione unica e determinata; ineffettuale, perché sorgente sul terreno malsicuro di un concetto astratto; volizione, insomma, non voluta; atto volitivo non reale, ma irreale[26].

L’irrealtà consisterebbe, in primo luogo, nell’essere non la legge ciò che realmente si vuole, bensì l’atto singolo che sotto di essa si compie, ovvero la sua esecuzione. D’altra parte, stante l’incapacità di prevedere, attraverso lo strumento legislativo, l’indeterminata pluralità delle situazioni in cui gli uomini agiscono, di amministrare la continua emergenza dell’inatteso, l’irrealtà investirebbe, ugualmente, l’ingenua pretesa di applicare la legge nelle particolari circostanze da essa contemplate, e dare concreta attuazione a quanto da essa disposto. «Il caso reale – avverte il filosofo – è sempre una sorpresa, qualcosa che accade una volta sola, e viene conosciuto, così com’è, solamente in quanto accade»[27]: posto che ciascun singolo evento presenta un irriducibile carattere di novità, per ogni fatto nuovo occorrerebbe una «nuova misura»; la misura della legge, diversamente, per essere astratta, «oscilla tra l’universale e l’individuale; e non ha la virtù né dell’uno né dell’altro»[28].

Di fronte all’impossibilità di applicare la legge, di «incorporarla nei fatti», quindi alla necessità di regolarsi caso per caso, in rapporto alle esigenze storiche, individualizzando nel singolo comportamento una certa rappresentazione dell’utile, piuttosto che una determinata concezione del bene, potrebbe sorgere l’idea (com’è sorta, del resto, in vari tempi e luoghi: Croce aveva ben presente, da ultimo, l’esperienza della Freirechts-Bewegung[29]) di una sostanziale inutilità delle leggi[30]. Un’idea non sostenibile, contro la quale, d’altra parte, si sarebbe voluta impropriamente difendere l’importanza della legge, affermando l’esigenza della sua più rigida osservanza, e così l’assoluta inammissibilità di soluzioni individuali, che sarebbero invece nella realtà dei fatti, in quanto intrinseche alla sua stessa natura. «Avversarî e difensori – sentenzia Croce – hanno dunque torto del pari, quelli asserendo l’inutilità, questi un’impossibile utilità»[31].

A sostegno dell’utilità della legge si sarebbe dovuto, piuttosto, argomentando secondo buon senso, notare come la richiesta dell’ordine si levi in ogni stagione della storia dell’uomo; e soprattutto, ragionando filosoficamente, mostrare come detta utilità non consista affatto nella pretesa attuabilità della legge, dal momento che ciò sarebbe possibile solo dell’atto singolo posto in essere dal singolo individuo, bensì nel fatto che, proprio affinché si voglia ed esegua tale atto, conviene che ci si riferisca in primo luogo al generico, alla classe delle azioni di cui lo stesso costituirebbe un caso specifico[32]. In questo senso, una volizione irreale, perché contraddittoria e imperfetta, come quella della legge, evidenzierebbe la propria funzione «preparatoria», quale «aiuto» alla volizione, reale e perfetta, dell’atto singolo[33].

Egli assume di poter trarre, da tale acquisizione, una conferma circa l’esatta consistenza dell’analogia tra la costituzione dello spirito pratico e quella dello spirito teoretico. Come in quest’ultimo si sarebbero date formazioni che autenticamente teoretiche non sono, finti concetti che avrebbero sottinteso il concetto puro e contraffatto il suo carattere, schemi la cui funzione, essenzialmente pratica, sarebbe stata quella di sorreggere la memoria e agevolare il pensiero a orientarsi di fronte alla realtà multiforme, così quegli stessi «pseudoconcetti», «fatti oggetto di volizione e mutati da schemi in leggi», avrebbero ricoperto un ufficio analogo nel dominio dello spirito pratico, «rendendo possibile alla volontà di volere in un certo indirizzo, dove poi s’incontrerà l’azione utile, che è sempre individuata»[34]. Occorre rilevare, con riferimento alla dimensione aporetica a cui si è fatto cenno, come la questione avrebbe trovato una diversa soluzione nella seconda edizione della Logica, di qualche mese successiva rispetto alla pubblicazione della Pratica[35].

Differenziata in questi termini l’attività di chi pone le leggi (denominata «legislatrice»), da quella di colui il quale – nei limiti in cui si è avvertito – tali leggi attua ed esegue (detta «giuridica»), Croce riformula l’interrogativo circa il carattere morale, o meramente economico, di queste attività. Egli distingue – in tal modo precisando il risultato precedentemente acquisito, senza per altro sanarne l’ambiguità di fondo – la perfetta identità e sinonimia di attività giuridica ed economica, dalla generica riconducibilità entro quest’ambito dell’attività legislatrice, in quanto volizione astratta e indeterminata[36]. Su queste basi, nessun altro ostacolo avrebbe impedito dunque di risolvere il problema della natura del diritto e del suo rapporto con l’etica. Riconoscerecome l’attività giuridica, rivolta al particolare, possa apparire in determinate circostanze disgiunta dalla morale, e come quest’ultima, concernente l’universale, non possa che tradursi di volta in volta in azione sociale, pertanto economica e giuridica, equivale a considerare il diritto distinto e unito insieme alla morale. Tale conclusione spiegherebbe altresì la genesi del confuso dualismo tra diritto positivo e diritto naturale, che ha informato l’intera storia del pensiero giuridico. I suoi esiti, infine, varcati i confini della filosofia del diritto, affermano e consolidano la piena autonomia dell’etica, e con essa l’unità e distinzione dei gradi dello spirito pratico[37].

Nota bibliografica

Nella recente letteratura dedicata alla riflessione di Croce sul diritto, si v. Marina Lalatta Costerbosa, Diritto e filosofia del diritto in Croce e Gentile, in Croce e Gentile. La cultura italiana e l’Europa, a cura di Michele Ciliberto, Istituto della Enciclopedia Italiana, Roma 2016, pp. 317-324; Paolo Silvestri, Economia, diritto e politica nella filosofia di Croce. Tra finzioni, istituzioni e libertà, Giappichelli, Torino 2012; Giovanni Perazzoli, Benedetto Croce e il diritto positivo. Sulla «realtà» del diritto, il Mulino (Istituto Italiano per gli Studi Storici), Napoli 2011; Corrado Bertani, Il posto del diritto nella filosofia della pratica di Benedetto Croce. Un’interpretazione, in Croce filosofo, Atti del Convegno internazionale di studi in occasione del 50° anniversario della morte (Napoli-Messina, 26-30 novembre 2002), a cura di Giuseppe Cacciatore, Girolamo Cotroneo, Renata Viti Cavaliere, Rubbettino, Soveria Mannelli (Catanzaro) 2003, tomo I, pp. 51-78; Giovanni Marino, Diritto e ‘fare’. La denegatio crociana e la filosofia del diritto a Napoli nel ’900, in «Rivista internazionale di filosofia del diritto», 80/2 (2003), pp. 231-273 [= in La filosofia del diritto a Napoli nel Novecento. Prime ricerche, Massa, Napoli 2003, pp. 3-46; quindi in Individuo, azione, istituzione. La filosofia del diritto a Napoli nel Novecento, Editoriale Scientifica, Napoli 2008, pp. 13-74]; Barbara Troncarelli, Diritto e filosofia della pratica in Benedetto Croce. 1900-1952, Giuffrè,Milano 1995; Marcello Mustè, Benedetto Croce e il problema del diritto, in «Novecento», 4 (1992), pp. 60-73; Antonio De Gennaro, Crocianesimo e cultura giuridica italiana, Giuffrè, Milano 1974. L’influenza del pensiero crociano sulla cultura giuridica italiana del secolo scorso, con specifico riguardo alla posizione del problema, tra filosofia e scienza del diritto, concernente i caratteri del comando legislativo e la natura della decisione giudiziale, è al centro del mio Il giudice e la legge, cit.

Tra i più profondi conoscitori dell’opera di Croce, Gennaro Sasso ha rivolto particolare attenzione al significato della sua meditazione sul diritto nell’articolazione complessiva della Filosofia della pratica, lungo un itinerario di studi che lo ha impegnato negli ultimi quarant’anni: dal ponderoso volume su Benedetto Croce. La ricerca della dialettica, Morano,Napoli 1975, spec. p. 25 ss., 59 ss., alla Nota al testo che accompagna la Filosofia della pratica nell’Edizione Nazionale delle Opere crociane, Bibliopolis, Napoli 1996, pp. 409-420; dalle pagine su Calogero e Croce. La libertà, le libertà, la giustizia, in Guido Calogero a Pisa fra la Sapienza e la Normale, a cura di Claudio Cesa e Gennaro Sasso, il Mulino, Bologna 1997, pp. 15-133, spec. 21 ss. [= in Filosofia e idealismo III. De Ruggiero, Calogero, Scaravelli, Bibliopolis, Napoli 1997, pp. 301-413, spec. 307 ss.], fino alle più recenti riflessioni dedicate alla Pratica, in Il filosofo Croce. Venticinque anni  dell’Edizione nazionale delle Opere, Giornata di studio (Prato, 17-18 novembre 2006), a cura di Maurizio Torrini, Bibliopolis, Napoli 2008, pp. 85-180, spec. 159 ss. [= Sulla Filosofia della pratica di Benedetto Croce, in Filosofia e idealismo VI. Ultimi paralipomeni, Bibliopolis, Napoli 2012, pp. 11-106, spec. 85 ss.].

Per gli scritti crociani, si faccia riferimento a L’opera di Benedetto Croce,Bibliografia a cura di Silvano Borsari, Istituto Italiano per gli Studi Storici, Napoli 1964. Quanto alla letteratura critica, utili repertori di documentazione bibliografica sono forniti da Edmondo Cione, Bibliografia crociana, Bocca, Roma-Milano 1956 (Parte quinta: Scritti su B. Croce, p. 305 ss.); Corrado Ocone, Bibliografia ragionata degli scritti su Benedetto Croce, Prefazione di Vittorio Stella, Esi, Napoli 1993; Paolo Bonetti, Introduzione a Croce, Laterza, Roma-Bari 1984 [20006, con Aggiornamento bibliografico 1984-1988, 1988-1999] (Bibliografia IV. Studi critici, p. 208 ss., spec. 221 ss.).

a. Croce e il diritto. – Nella tradizione degli studi su Croce, non pochi sono i contributi espressamente dedicati alla sua riflessione sul diritto. Una loro selezione vorrebbe offrire, nella prospettiva di una storia critica delle interpretazioni, un primo strumento di lavoro (ulteriori e più specifiche indicazioni bibliografiche, limitatamente ai problemi emersi nella voce, e con particolare riguardo agli interessi di ricerca della filosofia del diritto, seguono infra, lett. c-i).

Luigi Miranda, Il diritto nella filosofia di B. Croce, in «Rivista di diritto pubblico e della pubblica amministrazione in Italia», 6 (1914) I, pp. 175-179 [= in Da Hegel a Croce e da Jellinek a Chiovenda. Note critiche di etica e di diritto, Laterza, Bari 1921, pp. 23-31]; Francesco Modica, Contributi per una concezione idealistica del diritto, in «Il Filangieri. Rivista giuridica, dottrinale e pratica», 39 (1914), pp. 801-839; Sabino Alloggio, Il diritto nel sistema di Benedetto Croce (1923), in Le nuove teorie del diritto, Dante Alighieri, Milano-Roma-Napoli s.d. (ma 1925), pp. 25-37; Max Ascoli, Intorno alla concezione del diritto nel sistema di Benedetto Croce, Treves, Roma 1925; Adelchi Attisani, Introduzione a Croce, Riduzione, cit. (1926), pp. ix-xxxii [= La «Riduzione della filosofia del diritto alla filosofia dell’economia», in Interpretazioni crociane, Università degli Studi,Messina 1953, pp. 183-201]; Aldo Crosara, L’esistenza del diritto e la filosofia del Croce, in «Rivista internazionale di filosofia del diritto», 8/4-5 (1928), pp. 487-504; Nicola Chiaramonte, Il problema della filosofia del diritto in B. Croce, in «L’Idealismo realistico. Rivista mensile di filosofia mazziniana», 5/7 (1928), pp. 1-9, 5/8-9 (1928), pp. 14-38; Arnaldo Volpicelli, La teoria del diritto di Benedetto Croce, in «Nuovi studi di diritto, economia e politica», 1/4-5 (1928), pp. 241-278 [= La teoria del diritto, in Ugo Spirito, Arnaldo Volpicelli, Luigi Volpicelli, Benedetto Croce, Anonima romana editoriale,Roma 1929, pp. 91-126]; Alfredo Poggi, Sulla teoria giuridica di B. Croce, in «Archivio di storia della filosofia», 1/1 (1932), pp. 33-53; Renato Treves, Benedetto Croce y el problema filosofico del derecho, in «La Ley. Revista Jurídica Argentina», 24 (1941), pp. 86-90; Giuseppina Nirchio, L’autonomia del diritto nel sistema crociano, in «Sophia. Rassegna critica di filosofia e storia della filosofia», 20/1 (1952), pp. 94-104; Guido Calogero, Croce e la scienza giuridica, in «Rivista italiana per le scienze giuridiche»,89 (1953), pp. 1-13 [= in «Revue internationale de Philosophie», 26/4 (1953), pp. 327-341; quindi in La conclusione della filosofia del conoscere (1938), nuova ed. accresciuta, Sansoni, Firenze 1960, pp. 76-92]; Flavio Lopez de Oñate, Compendio di filosofia del diritto, Giuffrè, Milano 1955, p. 75 ss.; Lanfranco Mossini, L’evoluzione del problema del diritto nel pensiero del Croce, in «Studi parmensi», 6 (1956), pp. 251-285; Niso Ciusa, Postille critiche al Croce, in «Rivista internazionale di filosofia del diritto», 34 (1957), pp. 424-441; Adelchi Attisani, Filosofia del diritto e filosofia dell’economia. Nel cinquantenario della Riduzione della filosofia del diritto alla filosofia dell’economia di B. Croce, in «Rivista internazionale di filosofia del diritto», 35 (1958), pp. 16-23 [= in Etica e storicismo, Giannini, Napoli 1967, pp. 306-317]; Salvatore Zuccalà, Croce e il diritto. Considerazioni critiche sulla dottrina giuridica del Croce, Pajano, Galatina (Lecce) s.d. (ma 1959); Guido Fassò, s.v. «Croce Benedetto», in NNDI., V, Utet, Torino 1960, pp. 16-18; Domenico Maltese, Il contributo di Benedetto Croce alla filosofia del diritto, in «Umana. Rivista di politica e di cultura», 15/7-9 (1966), pp. 16-18; Giuseppe Agostino Roggerone, Il concetto di diritto nell’ultimo Croce, in «Rivista internazionale di filosofia del diritto», 44 (1967), pp. 55-64 [= in Nuove prospettive crociane, Abelardo, Ardea (Roma) 1994, pp. 41-52]; Id., La filosofia crociana del diritto, in Prospettive crociane, Milella, Lecce 1968, pp. 5-72; Giorgio Del Vecchio, Croce e la filosofia del diritto, in «Anima-pensiero. Rivista bimestrale di critica ed arte», 4/4 (1968), pp. 104-107; Mario A. Cattaneo, Ma il diritto è un’altra cosa, in Benedetto Croce. Una verifica, L’Opinione, Roma 1978, pp. 125-129; Pasquale Landi, Diritto ed economia. Saggio sulla “Riduzione della filosofia del diritto alla filosofia dell’economia” di Benedetto Croce, Editoriale Scientifica, Napoli 1996; Valentino Petrucci, La filosofia giuridica di Benedetto Croce, in Croce e il marxismo un secolo dopo, Atti del convegno di studi (Napoli, 18-19 ottobre 2001), a cura di Maurizio Griffo, Editoriale Scientifica, Napoli 2004, pp. 155-167; Mauro Barberis, La filosofia del diritto nel primo Novecento, in Il contributo italiano alla storia del pensiero. Diritto [Enciclopedia italiana, VIII Appendice], a cura di Paolo Cappellini, Pietro Costa, Maurizio Fioravanti, Bernardo Sordi, Istituto della Enciclopedia Italiana, Roma 2012, pp. 568-574, spec. 572 s.

[CONTINUA]


*Il contributo è stato sottoposto a double blind peer review.

[1] C. Nitsch, s.v. «Diritto», in Lessico crociano. Un breviario filosofico-politico per il futuro, a cura di R. Peluso, con la supervisione di R. Viti Cavaliere, La scuola di Pitagora, Napoli 2016, pp. 183-192.

[2] Riduzione della filosofia del diritto alla filosofia dell’economia, Memoria letta all’Accademia Pontaniana nelle tornate dei 21 aprile e 5 maggio 1907, in «Atti della Accademia Pontaniana», XXXVII, n. 8 (1907), pp. 3-53 [ed. a cura di A. Attisani, Ricciardi, Napoli 1926, pp. 3-66]. Una nuova edizione, a mia cura, è apparsa per i tipi di Giuffrè, Milano 2016: da essa sono tratte le citazioni che seguono.

[3] Filosofia della pratica. Economica ed etica, Filosofia come scienza dello spirito III (1909) [ed. naz. (riproduzione della sesta ed., Laterza, Bari 1950), a cura di M. Tarantino, Bibliopolis, Napoli 1996, da cui sono tratte le citazioni che seguono]. La problematica definizione dei rapporti tra la Riduzione e la Filosofia della pratica è al centro del mio Il fantasma della «prima forma». Saggio sulla Riduzione crociana, che introduce la nuova edizione della Riduzione, cit., supra, in nt. 2.

[4] Le pagine nelle quali Croce rievoca tali esperienze sono, in primo luogo, quelle del saggio Intorno alla mia teoria del diritto, in «La Critica»,12 (1914), pp. 445-450, spec. 449 s. [= in Pagine sparse I. Letteratura e cultura, Ricciardi, Napoli 1941, pp. 346-353, spec. 351 ss.; il saggio appare inoltre nell’edizione della Riduzione curata da Attisani, alle pp. 77-85; quindi nella nuova edizione a mia cura, alle pp. 77-85]; nonché quelle, di poco successive, del Contributo alla critica di me stesso (del 1915, edito nel 1918), a cura di G. Galasso, Adelphi, Milano 1989, pp. 9-70, spec. 23 s., rilette anche alla luce del Curriculum vitae (1907), pubblicato in Memorie della mia vita, Appunti che sono stati adoprati e sostituiti dal «Contributo alla critica di me stesso», Istituto Italiano per gli Studi Storici, Napoli 1966 (rist. anastatica 1992), pp. 5-24, spec. 13 s.

[5] Etica e politica (1931) [ed. naz. (riproduzione della terza ed., Laterza, Bari 1945), a cura di A. Musci, Bibliopolis, Napoli 2015]; ivi, l’identificazione dello Stato con il «governo», a cui si fa riferimento di seguito nel testo, è esplicitamente prospettata da Croce nelle prime pagine di Politica «in nuce».

[6] Si pensi, in primo luogo, alla Storia del Regno di Napoli (1925), a cura di G. Galasso, Adelphi, Milano 20052; quindi alla Storia d’Italia dal 1871 al 1915 (1928) [ed. naz. (riproduzione della nona ed., Laterza, Bari 1947), a cura di G. Talamo, con la collaborazione di A. Scotti, Bibliopolis, Napoli 2004], e alla Storia d’Europa nel secolo decimonono (1932), a cura di G. Galasso, Adelphi, Milano 19992.

[7] Sarebbe molto interessante, a mio giudizio, redigere una rassegna completa di queste note critiche. Nel corso degli anni, ho avuto modo di discutere più approfonditamente le recensioni crociane ai lavori di Giorgio Del Vecchio, Sui principi generali del diritto, in «Archivio giuridico Filippo Serafini», 85 (1921), pp. 33-90 (in «La Critica», 19 [1921], pp. 186-187 [= in Conversazioni critiche IV (1932), seconda ed., Laterza, Bari 1951, pp. 170-172]); Emilio Betti, Diritto romano e dogmatica odierna, in «Archivio giuridico Filippo Serafini»,99 (1928), pp. 129-150, e 100 (1928), pp. 26-66 (in «La Critica»,28 [1930], pp. 289-291 [= in Conversazioni critiche IV, pp. 183-186]); Guido Calogero, La logica del giudice e il suo controllo in Cassazione, Cedam, Padova 1937 (in «La Critica»,35 [1937], pp. 375-378 [= in Conversazioni critiche V (1939), seconda ed., Laterza, Bari 1951, pp. 279-283]); Piero Calamandrei, Il giudice e lo storico, in Studi di storia e diritto in onore di Enrico Besta per il XL anno del suo insegnamento II, Giuffrè, Milano s.d. (ma 1939), pp. 353-376 [= con alcune varianti e aggiunte bibliografiche, in «Rivista di diritto processuale civile», 16 (1939) I, pp. 105-128], e La relatività del concetto d’azione, in «Rivista di diritto processuale civile», 16 (1939) I, pp. 22-46 [= in Scritti giuridici in onore di Santi Romano IV, Cedam, Padova 1940, pp. 79-101] (in «La Critica», 37 [1939], pp. 445-446 [= in Pagine sparse III. Postille – Osservazioni su libri nuovi, Ricciardi, Napoli 1943, pp. 344-347]). Mi permetto di rinviare, pertanto, ai miei studi di seguito indicati: Sui principi generali. Idealismo e filosofia del diritto in un dibattito italiano di primo Novecento, in «Roma e America. Diritto romano comune»,35 (2014), pp. 41-49 [= in Principi generali del diritto: un ponte giuridico tra Italia e Argentina, a cura di A. Calore e A. Saccoccio, Mucchi, Modena 2014, pp. 205-213]; Il giudice e la legge. Consolidamento e crisi di un paradigma nella cultura giuridica italiana del primo Novecento, Giuffrè, Milano 2012; Prime note sul carteggio Calamandrei-Calogero (1936-1956), in Un caleidoscopio di carte. Gli archivi Calamandrei di Firenze, Montepulciano, Trento e Roma, a cura di F. Cenni, Il Ponte, Firenze 2010, pp. 145-161; «Il giudice e lo storico». L’esperienza del giudizio nel ‘cattivo avviamento’ dei tempi, in Parti e giudici nel processo. Dai diritti antichi all’attualità, a cura di C. Cascione, E. Germino, C. Masi Doria, Satura, Napoli 2006, pp. 601-687.

[8]Estetica come scienza dell’espressione e linguistica generale. Teoria e storia (1902)[ed. naz. (riproduzione della seconda ed., Sandron, Milano-Palermo-Napoli 1904), a cura di F. Audisio, Bibliopolis, Napoli 2014, p. 86 (da tale edizione sono tratte le citazioni che seguono)]. Quanto al secondo esempio, riferito alla socialità come oggetto di studio della «Sociologia», si v. tale ultima voce, nello stesso Lessico, cit., supra, in nt. 1.

[9]Estetica2, p. 86.

[10]Estetica come scienza dell’espressione e linguistica generale. Teoria e storia, Filosofia come scienza dello spirito I (19083) [ed. naz. (riproduzione della nona ed., Laterza, Bari 1950), a cura di F. Audisio, Bibliopolis, Napoli 2014, p. 99 (da tale edizione sono tratte le citazioni che seguono)].

[11]Estetica9, p. 99 (secondo le varianti indicate, per la terza edizione, nell’Apparato critico, p. 163 s.): «il diritto è una regola, una formola (orale o scritta, qui importa poco), in cui è consegnato un rapporto economico voluto da un individuo o da una collettività. Questo lato economico lo unisce e distingue insieme dall’attività morale».

[12] V., supra, nt. 2.

[13] V., supra, nt. 3.

[14] La lettura della Riduzione e della Pratica può essere utilmente integrata con quella delle seguenti pagine crociane: Obiezioni alla mia tesi sulla natura del diritto, in «La Critica»,6 (1908), pp. 149-155 [= Obiezioni intorno alla mia teoria del diritto, in Pagine sparse I, pp. 339-346; il saggio appare inoltre nell’edizione della Riduzione curata da Attisani, alle pp. 69-77; quindi nella nuova edizione a mia cura, alle pp. 67-75], e Intorno alla mia teoria del diritto, cit., supra, in nt. 4.

[15] Riduzione, p. 10, 13 s.; cfr. Filosofia della pratica, p. 367.

[16] Riduzione, p. 9 s.«Il rapporto di diritto e morale – avverte Croce –, che il giurista von Jhering chiamava il capo Horn (o capo delle Tempeste) della scienza giuridica, mi sembra, in verità, il capo dei Naufragi» (ibid.; cfr. Filosofia della pratica, p. 366). Cfr. R. Jhering, Geist des römischen Rechts auf den verschiedenen Stufen seiner Entwicklung, Teil 2, Bd. 1, Breitkopf und Härtel, Leipzig 1854, p. 48 (§ 26), ove il rapporto in questione è descritto come «das Kap Horn der Rechtsphilosophie».

[17] Riduzione, p. 14.

[18] Riduzione, p. 32; cfr. Filosofia della pratica, p. 379.

[19] Riduzione, p. 14 ss., 52; quei concetti – scrive Croce –, «per quanto imprecisi, hanno, per circa due secoli, con la loro presenza, impedita la confusione totale del diritto con l’etica» (ivi, p. 51).

[20] Riduzione, p. 38.

[21] Riduzione, p. 38 s.; v., infra, nt. 25.

[22] Riduzione, p. 16, 45. Croce esclude, in proposito, l’ipotesi secondo la quale un tratto distintivo dell’attività giuridica, rispetto a quella genericamente economica, avrebbe dovuto essere rinvenuto nel carattere della «socialità» (ivi, p. 44 ss.; cfr. Filosofia della pratica, p. 317 ss.).

[23] Riduzione, p. 48 s. Semplici «regole», e cioè meri «enunciati di relazioni tra concetti empirici», sarebbero, proprio per la mancanza dell’elemento volitivo, le leggi della natura (o leggi naturalistiche): schemi o strumenti di cognizione, non (ancora) di azione (Filosofia della pratica, p. 327 s.).

[24]Filosofia della pratica, p. 315 ss., 380 ss.

[25]Filosofia della pratica, p. 317; di analogo tenore: «Le leggi [...] sono atti volitivi concernenti classi di azioni» (ivi, p. 327); «le leggi sono volizioni di classe, ossia prescrivono serie di atti singoli, serie più o meno ricche, ma sempre invincibilmente limitate» (ivi, p. 330 s.); «La legge, come volizione di una classe di azioni, [...]» (ivi, p. 337); «La volontà che vuole classi di azioni, l’attività che pone leggi, [...]» (ivi, p. 355).

[26]Filosofia della pratica, p. 337. «Tanto l’elemento astratto è inessenziale al diritto – scrive Croce –, che questo non nasce davvero se non nel momento che l’astratto e il generale sono abbandonati e sostituiti dall’individualizzazione. ‘Le leggi son; ma chi pon manoad esse?’. Il diritto non è la legge, che dorme nel codice; ma la legge a cui si pone mano, e che cessa così di essere alcunché di generale, e diventa un’azione individuale» (Riduzione, p. 50, con citazione di Dante, Commedia, Purgatorio, c. XVI, v. 97).

[27]Filosofia della pratica, p. 338. In senso analogo: «il caso individuale [...] come tale è sempre irregolare» (ivi, p. 94).

[28]Filosofia della pratica, p. 338.

[29] Merita di essere segnalata, al riguardo, la recensione crociana di H.U. Kantorowicz (Gnaeus Flavius), La lotta per la scienza del diritto (1906), Sandron, Milano-Palermo-Napoli 1908, in «La Critica»,6 (1908), pp. 199-201 [= in Conversazioni critiche I (1918), quarta ed., Laterza, Bari 1950, pp. 245-248].

[30]Filosofia della pratica, p. 340. «Se all’azione singola bisogna alla perfine venire, e all’azione del singolo è da rimettere la deliberazione ed esecuzione, a qual pro stringere intorno agli uomini, che debbono operare, bende e legami, che bisogna poi strappare e rompere per operare? A qual pro foggiare con grandi ansie e fatiche strumenti, che all’atto pratico bisogna gettar via per valersi delle nude mani?» (ibid.).

[31]Filosofia della pratica, p. 341.

[32] In tal senso, v. già Riduzione, p. 50: «Giova infatti, anche per l’attività pratica economica, riassumere in formole generali i suoi modi di azione, per tenerli meglio a mente e per orientarsi nel campo sterminato e infinito degli umani voleri».

[33]Filosofia della pratica, p. 342 s., 346 s., 349.

[34]Filosofia della pratica, p. 343. «Non li pensiamo – scrive Croce –, ma ci aiutano a pensare; non li immaginiamo, ma ci aiutano a immaginare. Così il filosofo ferma di solito la mente sugli pseudoconcetti, per ascendere di là agli universali; e l’artista anch’esso vi rivolge l’attenzione, per ritrovare sotto di quelli l’individuale e l’intuizione ingenua e viva, ch’egli cerca» (ibid.).

[35]Logica come scienza del concetto puro, Filosofia come scienza dello spirito II (19092) [ed. naz.(riproduzione della settima ed., Laterza, Bari 1947), a cura di C. Farnetti, Bibliopolis, Napoli 1996, p. 39 ss., 140 ss., 185 ss.].

[36]Filosofia della pratica, p. 357 s.

[37] Riduzione, p. 32 ss., 53 ss.; cfr. Filosofia della pratica, p. 358 ss.

Nitsch Carlo



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