Brevi note sulla litis contestatio nella cognitio extra ordinem in età classica
Lucia Zandrino*
Brevi note sulla litis contestatio nella cognitio extra ordinem in età classica**
English title: Short remarks on the litis contestatio in the cognitio extra ordinem during the Classical age
DOI: 10.26350/18277942_000204
Sommario: 1. Premessa: termini del problema. 2. Litis contestatio: etimologia e configurazione nelle procedure per legis actiones e per formulas. 3. Litis contestatio: dal processo per formulas alla cognitio extra ordinem. 4. Litis contestatio e cognitio extra ordinem: plausibilità della sopravvivenza e ravvisabilità nelle fonti. 5. Osservazioni conclusive.
- Premessa: termini del problema
Si intendono formulare qui alcune prime osservazioni (che si sperano suscettibili di una più ampia rielaborazione in futuro) sull’individuabilità della litis contestatio all’interno della cognitio extra ordinem civile in età classica. La questione presenta aspetti diversi. In prima battuta, tale individuabilità va valutata sotto il profilo della ricorrenza lessicale, verificando se il sintagma litis contestatio (o altre espressioni ad esso riconducibili) sia rinvenibile nelle fonti giuridiche romane di età imperiale in riferimento alla cognitio[1]. Dalla risposta positiva a tale domanda, derivano evidentemente due domande ulteriori, ossia:
1) se tale sintagma designi un momento processuale simile o dissimile rispetto a quello della litis contestatio formulare;
2) se al momento processuale di cui sub 1) siano o no connessi effetti simili a quelli della litis contestatio nel processo formulare; o se tali effetti appaiano diversi, o se si possa parlare di “effetti” della litis contestatio nella cognitio tout court.
Si vedrà nelle pagine seguenti quale risposta possa essere offerta a tali punti di indagine.
- Litis contestatio: etimologia e configurazione nelle procedure per legis actiones e per formulas
Alcune brevi osservazioni relative alla configurazione della litis contestatio nelle forme procedurali che precedettero la cognitio extra ordinem appaiono necessarie rispetto alla comprensione del medesimo momento processuale nella cognitio stessa.
La ‘contestatio litis’ è il momento in cui le parti richiedono/constatano[2] la presenza dei testimoni[3] affinché questi a loro volta prendano atto della lite (rectius, non della semplice esistenza di una lite qualsivoglia, ma dei termini della stessa); ed è peraltro evidente la derivazione di ‘contestatio’ da ‘cum’ e ‘testis’ e il conseguente riferirsi del vocabolo all’atto della testimonianza ossia alla presenza di testimoni[4]. La dottrina maggioritaria ritiene che tale nozione di ‘litis contestatio’ attenga al sistema delle legis actiones[5], ove appunto i termini della lite venivano fissati avanti a testimoni (fors’anche attribuendosi in tal modo all’atto una valenza religiosa)[6], con ciò attuandosi il momento della ‘contestatio litis’ nel senso proprio originario.
Con la creazione della procedura formulare, il momento processuale di tale fissazione appare diversamente percepito nelle sue caratteristiche, poiché l’aspetto precipuo dell’atto non sembra più essere l’intervento dei testimoni (che pure taluno ha ritenuto dovessero in ogni caso essere presenti, quantomeno fino all’età preclassica)[7], bensì l’intervento del magistrato, nella complessa determinazione del testo della formula che si attua nella procedura del dare dictare accipere iudicium.
È noto quanto la natura della litis contestatio formulare sia stata discussa, anche e soprattutto in ragione della teoria di Wlassak, che vide in tale momento processuale la formazione tra le parti di un accordo contrattuale, dunque di un accordo produttivo di effetti obbligatori[8]; e quanto suddetta teoria sia stata, dopo un primo momento di successo[9], respinta dalla dottrina maggioritaria, che diversamente ha ritenuto, con varie sfumature, di considerare la litis contestatio come atto processuale sui generis[10]. Proprio alla litis contestatio della procedura formulare la giurisprudenza romana volle ricondurre una serie di importanti effetti[11], quali quello preclusivo, quello estintivo, quello conservativo e infine anche quello novativo[12], ove peraltro, in quest’ultimo caso, lo sforzo di elaborazione e costruzione sistematica sembra presentare qualche fallacia in termini di simmetricità rispetto alla novazione contrattuale[13].
La necessità di ricondurre tali effetti ad un momento processuale specifico è evidentemente insita nella dinamica processuale astrattamente intesa; si potrebbe dunque presumere che tale necessità permanesse nel passaggio dal sistema formulare a quello extra ordinem. Una valutazione delle probabili mutazioni subite dalla litis contestatio appare dunque opportuna.
- Litis contestatio: dal processo per formulas alla cognitio extra ordinem
La comprensione della nuova natura della litis contestatio entro la cognitio extra ordinem ha quale necessaria premessa qualche considerazione sulle modalità del passaggio dalla procedura formulare al nuovo sistema, tenuto anche conto della risalente diffusione della procedura formulare nelle province[14].
Come e in che termini il passaggio sia avvenuto, è tema discusso[15]. Respinta l’ipotesi di una derivazione diretta della cognitio extra ordinem dalle forme di cognitio già esistenti in età repubblicana (come ad es. la causae cognitio del Pretore)[16], e ferma la premessa relativa all’applicazione occasionale e non programmatica delle cognitiones (e non già della cognitio)[17] in riferimento a problemi giuridici specifici, appaiono evidenti due macroambiti di emersione della nuova procedura, ossia quello provinciale e quello urbano. Entrambi gli ambiti, va osservato, muovono dall’estrinsecazione del potere dell’autorità statuale, che è direttamente quella del princeps[18] (da cui deriva quella dei funzionari dallo stesso nominati o delegati, nelle province o dentro l’Urbe): estrinsecazione che è causata, o da esigenze di amministrazione e governo dei territori dell’impero (le province, appunto), o da nuove esigenze relative a materie specifiche (tipicamente nel caso dei fedecommessi), o diversamente dalla creazione di una (inesistente nella procedura formulare) possibilità di appello rispetto a sentenze già emesse.
Il primo ambito, ossia quello provinciale, merita però qualche osservazione ulteriore in merito alla risalenza della cognitio.
Si è tradizionalmente presunta[19], in via di probabilità storica, una permanente difficoltà, all’interno del frammentato contesto provinciale uso a proprie norme o prassi giuridiche, nell’applicazione del processo formulare romano[20]. In questa prospettiva, ad oggi non scomparsa, supportata da un latente pregiudizio avverso l’ipotesi dell’accessibilità delle formule ai provinciali[21], al processo formulare nelle province è attribuito scarso rilievo, quando addirittura non se ne esclude radicalmente l’applicabilità per l’età del Principato, quantomeno per le province imperiali[22].
Appare però evidente come l’autorità provinciale, anche nel caso in cui essa assumesse la funzione giudicante, dovesse invece applicare (salve le peculiarità dei casi relativi ad aree a “regime speciale”)[23] la procedura formulare[24], poiché era la medesima autorità ad emanare l’editto provinciale che appunto si fondava sul processo per formulas[25]. Peraltro, attestazioni dell’applicazione della procedura formulare in ambito provinciale ancora per l’età del Principato emergono oramai chiaramente dalla Lex Irnitana e dalla Lex Rivi Hiberiensis[26].
Ecco dunque che, nell’ambito provinciale, il rapporto tra processo formulare e cognitio extra ordinem appare verosimilmente nato, non nel senso di una immediata e netta contrapposizione tra le due forme quale, a vicenda storica compiuta, appare necessario supporre, bensì nel senso di una (forte) influenza del primo sulla seconda[27] (seppure certo non esattamente per via di un diretto sviluppo logico)[28]. Ciò tuttavia tenendo ferma la nascita delle cognitiones in ragione di un atto autoritativo imperiale, nell’esternazione del quale il princeps, in quanto libero dai vincoli normativi dell’ordo iudiciorum privatorum, agisce extra ordinem.
In entrambi gli ambiti, il dato saliente delle cognitiones è il dissolvimento della distinzione tra la fase in iure e la fase apud iudicem; ed è tale dissolvimento ad essere cruciale nella rideterminazione concettuale della litis contestatio.
Nella procedura formulare, il dare dictare accipere iudicium non solo appariva facilmente individuabile quale momento processuale in ragione delle sue chiare caratteristiche formali, ma determinava altresì definitivamente il testo della formula e con esso i termini della controversia. La pretesa (e l’opposizione alla stessa, in forma di mera difesa o di eccezione) veniva fissata nella fase in iure e trasmessa alla fase apud iudicem senza che in questa vi fosse possibilità di modifica. Da ciò nascevano, quale logica conseguenza, gli effetti preclusivi, estintivi e conservativi della litis contestatio formulare.
Venendo a mancare la distinzione tra le due fasi processuali e con essa il dare dictare accipere iudicium, nella procedura extra ordinem l’individuazione dell’evento a cui riconnettere gli effetti summenzionati non era immediata. Il procedimento aveva bensì un inizio (con la semplice istanza, dipoi con la supplicatio e poi ancora successivamente con la denunciatio e la evocatio)[29] e una fine (con la sentenza), sicchè si sarebbe potuto scegliere, quale via simplicissima, di sbarazzarsi in toto del passato e attribuire gli effetti all’uno o all’altro di questi due momenti. Il diritto, e massimamente quello romano, è tuttavia una disciplina tradizionalista; e la sopravvivenza della litis contestatio nella cognitio extra ordinem appare sostenibile sulla base di considerazioni sia di ordine generale sia testuali.
- Litis contestatio e cognitio extra ordinem: plausibilità della sopravvivenza e ravvisabilità nelle fonti
Sulla base delle considerazioni già formulate relative alla protratta coesistenza della procedura formulare e della cognitio e all’iniziale rapporto tra i due sistemi processuali non in termini immediati di netta contrapposizione ma di dialogo, la sopravvivenza della litis contestatio,sia pure in forma diversa rispetto a quella formulare, appare probabile. A tali considerazioni può aggiungersi che funzionari e magistrati, formatisi originariamente sul processo formulare o ai quali comunque, ove anche privi di una preparazione giuridica specifica, il sistema era familiare, dovevano tendere ad applicare le medesime regole laddove possibile, per ragioni di semplicità.
La litis contestatio restò dunque in vita, sia pure in forma differente e attenuata, come momento intermedio tra la mera richiesta di convocazione della parte e la sentenza finale[30]. La necessità di riferirsi a tale momento non doveva però certo emergere in ogni situazione, posti due aspetti inoppugnabili della nuova procedura extra ordinem: in primo luogo, l’ammissione del processo contumaciale, che rendeva la presenza di entrambe le parti nel processo facoltativa[31]; in secondo luogo, la scomparsa della distinzione tra la fase in iure e quella apud iudicem, dalla quale scomparsa conseguiva l’impossibilità che la litis contestatio, qualora determinatasi, producesse nella cognitio i medesimi effetti fondamentali che aveva nel processo formulare, ossia quelli estintivi/conservativi/preclusivi[32].
Quattro noti testi avvalorano questa tesi, nei termini che seguono.
a) C. 3.9.1
Una definizione di ‘litis contestatio’, ritenuta recentemente uno dei primi interventi generali in materia di cognitio extra ordinem [33], è contenuta in una costituzione di Settimio Severo e Caracalla risalente all’inizio del terzo secolo d.C.:
C. 3.9.1: Res in iudicium deducta non videtur, si tantum postulatio simplex celebrata sit vel actionis species ante iudicium reo cognita. Inter litem enim contestatam et editam actionem permultum interest. Lis enim tunc videtur contestata, cum iudex per narrationem negotii causam audire coeperit(Sev. et Ant. aa. Valenti. )
In C. 3.9.1 si descrive esplicitamente la litis contestatio come il momento in cui il giudice “per narrationem negotii causam audire coeperit”, ossia ascolta, attraverso una narratio, i fatti che sono origine della controversia[34]; vi si chiarisce altresì che solo in tale momento la controversia appare dedotta in giudizio, e che per tale deduzione non è sufficiente né la postulatio né il fatto che si conosca la species actionis prescelta[35]. Ipotizzando, come si è detto, una influenza del processo per formulas sullo sviluppo della cognitio, appare ragionevole ritenere che tale narratio debba essere interpretata come duplice, ossia che essa coinvolgesse tanto l’attore quanto il convenuto[36].
La definizione severiana di litis contestatio ha dunque, come è stato osservato, una “impronta classica”[37], poiché conserva il rilievo sostanziale relativo alla narrazione dei termini della lite, ma non menziona quello formale relativo alla redazione della formula. L’inclusione di C. 3.9.1 nel Codice rende peraltro evidente che la definizione di litis contestatio come narratio era rilevante anche per i giustinianei[38].
In questo senso, va osservato che C. 3.9.1 reca nel suo testo l’inciso “si tantum postulatio simplex celebrata sit vel actionis species ante iudicium reo cognita”, che appare assai evidentemente attinente alla procedura libellare, e anzi, in relazione all’espressione “postulatio simplex”, addirittura specificamente riferibile al lessico giustinianeo, sicché tale inciso è stato ritenuto interpolato[39]. Ciò tuttavia, considerato il tenore generale della costituzione severiana, non sembrerebbe far dubitare della sostanza di essa, soprattutto quanto alla sua generale riferibilità alla procedura extra ordinem e non a quella formulare. Difficilmente, infatti, può immaginarsi che al principio del terzo secolo un intervento imperiale potesse essersi reso necessario in merito ad un punto che, nel processo per formulas, appariva piuttosto un fondamento incontestabile che una fonte di dubbio giuridico; ma diversamente deve dirsi per la cognitio, ove il mutato susseguirsi degli eventi processuali rendeva quel medesimo intervento chiarificatore con ogni probabilità necessario. Peraltro, a prescindere da possibili interventi aggiuntivi sul testo, è un fatto che la definizione severiana offre una descrizione della litis contestatio che prescinde totalmente dagli aspetti formulari dell’atto, in ciò confermandosi l’ipotesi enunciata. A ulteriore conferma dell’autenticità di C. 3.9.1, va altresì osservato che un’altra costituzione di Settimio Severo e Caracalla fa evidente riferimento alla litis contestatio in relazione ai fedecommessi[40], materia di sicura competenza della cognitio extra ordinem; e che due costituzioni di Caracalla menzionano ulteriormente la litis contestatio in ambiti riconducibili alla cognitio[41].
b) D. 2.12.1 pr. - 2
Incerta appare la valutazione sulla sicura attinenza alla cognitio o alla procedura per formulas di un lungo testo ulpianeo concernente l’applicabilitàdi una serie di norme processuali. Tale applicabilità sarebbe stata disposta dall’oratio Marci, un complesso provvedimento normativo emanato da Marco Aurelio con il quale l’imperatore intendeva riordinare in maniera accurata le discipline procedurali romane[42]. La difficoltà sorge dal fatto che le norme processuali esaminate erano presumibilmente già in vigore in una delle due procedure; l’intento imperiale sarebbe dunque stato quello di procedere, nei limiti del possibile e nel rispetto delle differenze sostanziali tra la cognitio e il processo per formulas, ad una maggiore omogeneità tra le regole che governavano l’una e l’altra procedura. Ancorché il paragrafo di rilievo ai fini di indagine qui perseguiti sia solo il secondo, una rapida esposizione dell’intero frammento appare opportuna onde meglio comprendere il contesto.
D. 2.12.1 pr. - 2 (Ulp. l. 4 de omnibus tribunalibus):pr.Ne quis messium vindemiarumque tempore adversarium cogat ad iudicium venire, oratione divi Marci exprimitur, quia occupati circa rem rusticam in forum compellendi non sunt. 1. Sed si praetor aut per ignorantiam vel socordiam evocare eos perseveraverit hique sponte venerint: si quidem sententiam dixerit praesentibus illis et sponte litigantibus, sententia valebit, tametsi non recte fecerit qui eos evocaverit: sin vero, cum abesse perseveraverint, sententiam protulerit etiam absentibus illis, consequens erit dicere sententiam nullius esse momenti (neque enim praetoris factum iuri derogare oportet): et citra appellationem igitur sententia infirmabitur. 2. Sed excipiuntur certae causae, ex quibus cogi poterimus et per id temporis, cum messes vindemiaeque sunt, ad praetorem venire: scilicet si res tempore peritura sit, hoc est si dilatio actionem sit peremptura. Sane quotiens res urguet, cogendi quidem sumus ad praetorem venire, verum ad hoc tantum cogi aequum est ut lis contestetur, et ita ipsis verbis orationis exprimitur: denique alterutro recusante post litem contestatam litigare dilationem oratio concessit.
D. 2.12.1 pr. esordisce dichiarando che l’oratio Marci avrebbe consentito al chiamato in giudizio di poter evitare di presentarsi nel periodo delle messi e della vendemmia, ove il chiamato stesso fosse impegnato in tali attività agricole. Il § 1 esplora le conseguenze sulla sentenza della iterata evocatio della parte processuale, evocatio avvenuta per errore o socordia del Pretore: detta sentenza resta valida ove le parti siano entrambi presenti, per quanto sia invece invalida la convocazione; diversamente, in assenza delle parti, la sentenza “nullius esse momenti”, sicché può essere appellata. Infine, il § 2 specifica che la regola tuttavia non si applica a talune cause, per le quali vale invece l’obbligo di comparizione (“ex quibus cogi poterimus”), come nel caso in cui la dilazione di tempo implichi il perimento della cosa oggetto del contendere, ossia della stessa azione (“si res tempore peritura sit, hoc est si dilatio actionem sit peremptura”). In tali casi, tuttavia, osserva Ulpiano che è equo, come è peraltro espresso dalle parole della stessa oratio (“et ita ipsis verbis orationis exprimitur”), che l’obbligo di comparizione concerna solo la litis contestatio, sicchè una dilatio può essere concessa solo post litem contestatam laddove una delle parti non intenda procedere nel giudizio (“alterutro recusante”)[43].
Molto si è scritto su quale sia il processo a cui il lungo passaggio si riferisce. Tralasciando le posizioni più risalenti[44], appare oramai indubbio in dottrina che D. 2.12.1.1 si riferisca alla cognitio[45] (come peraltro è reso evidente dall’esplicito riferimento nel testo all’evocatio – “eos evocaverit” – quale modalità di convocazione delle parti tipica del processo cognitorio).
Quanto però a D. 2.12.1.2 qui di interesse, seppure vi sia parimenti un sostanziale consenso sulla riferibilità alla cognitio[46], taluno autore ha invece ritenuto di negare il punto[47], ritenendo invece che tale testo vada riferito alla procedura formulare.
La divergenza d’opinione, motivata con ampiezza di ragionamento, muove soprattutto dalla ipotizzata connessione tra D. 2.12.1.2 e D. 2.12.3 pr.[48], entrambi di Ulpiano. In D. 2.12.3 pr., il giurista torna effettivamente a discutere delle liti per le quali si aveva obbligo di presentarsi avanti al magistrato anche in tempo di mietitura o vendemmia[49], e di tali liti egli fornisce esempi consistenti in delicta e giudizi liberali, fattispecie che avrebbero dovuto essere esaminate nella procedura formulare.
L’interpretazione, senz’altro supportata da solidi argomenti, incontra però una difficoltà quanto ai giudizi liberali, per i quali sotto Settimio Severo era stata aumentata la competenza extra ordinem del prefectus urbi, e forse, più probabilmente, era stato creato, sempre nell’ambito della cognitio, un praetor de liberalibus causis[50]. È evidente, peraltro, che il testo di D. 2.12.1 pr.-2 appaia entro il Digesto come un insieme armonioso quanto al suo contenuto, com’è ragionevole che sia se si considera il fatto che per i giustinianei esso doveva, in tutte le sue parti, applicarsi ad una procedura soltanto, ossia quella extra ordinem. Che tale armoniosità derivi da un rimaneggiamento di età giustinianea (che avrebbe omesso i riferimenti specifici che consentivano di riferire il testo all’una o all’altra procedura) può però, alla luce di quanto osservato sulle causae liberales, essere il risultato di una percezione fallace, laddove invece non può escludersi che lo stesso Ulpiano, a prescindere dall’originario contenuto dell’oratio Marci, considerasse le regole esposte come riferibili all’una e all’altra procedura.
c) D. 34.2.35 pr-1
Ancora, costituisce una testimonianza della sopravvivenza della litis contestatio nella cognitio il seguente testo paolino:
D. 34.2.35 pr-1 (Paul. l. 14 responsorum):pr. "Titiae amicae meae, cum qua sine mendacio vixi, auri pondo quinque dari volo": quaero, an heredes ad praestationem integrae materiae auri an ad pretium et quantum praestandum compellendi sint. Paulus respondit aut aurum ei, de qua quaeritur, praestari oportere, aut pretium auri, quanti comparari potest. 1. Item quaero, si lite contestata praetor ita pronuntiavit, ut materia praestetur, an tutores audiendi sint ab hac sententia pupillum, adversus quem pronuntiatum est, apud successorem eius in integrum restituere volentes. Paulus respondit praetorem, qui auro legato certi ponderis materiam praestari iussit, recte pronuntiasse videri.
Il caso concerne un fedecommesso (non un legato, come l’espressione “auro legato” al §1 potrebbe far ritenere)[51], avente ad oggetto una certa quantità d’oro (“auri pondo quinque”) disposto dal de cuius a favore di Tizia. Nel principium, alla domanda, se gli eredi debbano corrispondere l’oro o piuttosto il valore di esso (“pretium”), il giurista risponde che entrambe le soluzioni sono accettabili[52]. Nel § 1, ci si chiede se, essendosi il praetor fideicommissarius, a seguito della litis contestatio, pronunciato nel senso “ut materia praestetur” (ossia, che venga dato l’oro), i tutori che vogliano chiedere la restitutio in integrum a favore del loro pupillo debbano essere sentiti. Il giurista risponde che il pretore che ha imposto la corresponsione dell’oro “recte pronuntiasse videri”.
Che la materia dei fedecommessi sia sottoposta alla cognitio è nozione assodata, e la menzione della litis contestatio è esplicita. Tale menzione, anzi, sembra assumere una specifica rilevanza quanto al fatto che, attesa la definizione severiana della litis contestatio come narratio dell’attore e contradictio del convenuto, la questione di quale prestazione sia dovuta (se quella originariamente formulata dal testatore o la sua conversione in termini monetari) è già stata evidentemente discussa, il che spiega la risposta conclusiva del giurista in favore della sententia[53] del pretore, che appare fondata su una effettiva disamina. Quanto ai soggetti effettivamente coinvolti, poiché è evidente che la vertenza concerne un pupillo (nel probabile ruolo non di beneficiario del fedecommesso ma di erede del testatore)[54], si deve presumere che alla menzionata litis contestatio abbiano partecipato i medesimi tutori che successivamente richiedono l’in integrum restitutio, in un estremo ma non insolito tentativo di sottrarre il pupillo ad una prestazione gravosa[55].
d) D. 5.3.20.6c
Infine, un passo evidentemente importante in tema di litis contestatio nella cognitio è costituito da uno dei frammenti che contengono il testo del Senatoconsulto Giuvenziano:
D. 5.3.20.6c (Ulp. l. 15 ad edictum): Item eos qui bona invasissent, cum scirent ad se non pertinere, etiamsi ante litem contestatam fecerint, quo minus possiderent, perinde condemnandos, quasi possiderent: eos autem, qui iustas causas habuissent, quare bona ad se pertinere existimassent, usque eo dumtaxat, quo locupletiores ex ea re facti essent.
Il testo disciplina il caso di coloro che hanno preso possesso dei beni (“qui bona invasissent”) sapendo che detti beni non appartenevano loro; seppure abbiano cessato di possedere prima del compimento della litis contestatio, costoro devono essere condannati come se possedessero ancora; coloro che invece hanno “iustas causas”, avendo acquistato il possesso dei beni stimando che i beni medesimi appartenessero loro, devono essere condannati nei limiti del loro arricchimento.
Il passo va compreso nel contesto dell’intero frammento[56]. Il § 6a concerne un’ipotesi di lite fiscale, in cui il fisco reclama i caduca di Rustico, avendo però coloro che ritenevano di essere eredi (anche di tali caduca, evidentemente) già venduto l’eredità; si dispone dunque che gli interessi sul prezzo ottenuto dalla vendita non possano essere richiesti, e che tale decisione si applichi anche in futuro ai casi simili. Il § 6b dispone invece che coloro contro i quali sia stata pronunciata sentenza (“adversus eos iudicatum esset”) a seguito di richiesta giudiziale dell’eredità (“hereditas petita fuisset”) debbano restituire il prezzo dei beni ereditari venduti, anche nel caso che tali beni siano deperiti o diminuiti prima della suddetta richiesta giudiziale. Il § 6d stabilisce che il momento in cui si deve considerare l’eredità richiesta in favore del fisco è quello in cui le parti siano state informate dell’azione, ossia al momento della denuntiatio o della convocazione in giudizio con lettere o editto.
I §§ 6a e 6d concernono esplicitamente liti fiscali, di sicura competenza cognitoria. Il § 6b, che esamina l’ipotesi in cui l’hereditas “petita fuisset”, potrebbe apparentemente riferirsi ad una petitio hereditatis intentata da un privato. Tale lettura è però impedita dal contenuto di D. 5, 3, 20, 9[57], ove Ulpiano, interpretando il testo del senatoconsulto e pur dichiarandone l’applicabilità anche alle petitiones tra privati, afferma “senatus consultum...licet in publica causa factum sit”. Si deve dunque ritenere che il § 6b attenga parimenti alle liti fiscali, seppure esso menzioni la richiesta dell’intera hereditas, laddove invece il § 6a menzioni solo i caduca[58].
Ciò premesso, il punto è determinare se il § 6c, qui di interesse in ragione del riferimento alla litis contestatio, attenga alla cognitio o invece alla procedura formulare[59]. Sgombrato infatti il campo dalle ipotesi più risalenti, secondo cui la menzione della litis contestatio costituirebbe un’interpolazione[60], va comunque osservato che il caso descritto nel § 6c (“invasione” di beni) non presenta esplicitamente una connessione per materia con la cognitio: il dubbio, dunque, si pone.
Una risposta a tale dubbio può trovarsi se si esamina il complesso del Senatoconsulto Giuvenziano. Come si è detto, i §§ 6a, 6b e 6d attengono certamente alla cognitio: dunque, secondo un presumibile criterio di organizzazione tematica del provvedimento normativo, appare improbabile che in esso ci si occupi dapprima di due casi di cognitio, per poi passare ad un caso attinente alla procedura formulare, per poi ancora tornare alla cognitio[61]. È ragionevole pertanto ritenere che anche il § 6c attenga alla cognitio.Peraltro, il già menzionato testo di D. 5.3.20.9, seppure faccia riferimento specifico alla petitio hereditatis, è evidentemente assertivo quanto alla originaria riferibilità del Senatoconsulto alla publica causa, tale da radicare in essa ogni sua parte. Va aggiunto, sotto questo profilo, che l’estensione, menzionata da D. 5.3.20.9, del Senatoconsulto Giuvenziano ai casi di petitio hereditatis tra privati sembrerebbe essere avvenuta mediante una costituzione di Antonino Pio contenuta in C. 3.31.1 pr.[62]; tale costituzione fa preciso riferimento all’obbligo di restitutio di cui si occupa il § 6c, dal che appare evidente che anche tale paragrafo attenesse alle liti fiscali. Ne deriva, dunque, che anche il § 6c è riferibile alla cognitio[63].
- Osservazioni conclusive
All’inizio della presente disamina sono state formulate due domande, ossia: 1) se il sintagma ‘litis contestatio’ designi nella cognitio un momento processuale simile o dissimile rispetto a quello della litis contestatio formulare; 2) se al momento processuale di cui sub 1) siano o no connessi effetti simili a quelli della litis contestatio nel processo formulare; o se tali effetti appaiano diversi, o se si possa parlare di ‘effetti’ della litis contestatio nella cognitio tout court. Sulla scorta di quanto precedentemente osservato, a tali domande può ora essere data risposta nei termini seguenti.
In primo luogo, appare sicura la sopravvivenza della litis contestatio come istituto anche nella cognitio: essa appare beninteso ormai svincolata dalle tecnicità della procedura formulare (dare dictare accipere), ma allo stesso tempo immutata quanto al significato concreto dell’atto, che consiste nella creazione del contradditorio tra le parti e, conseguentemente, nella fissazione dei termini della lite (come emerge da C. 3.9.1 e D. 34.2.35 pr-1).
In secondo luogo, a questo contradditorio – che è, nei fatti, per ciascun caso probabile ma non certo, stante la possibilità di un giudizio contumaciale – non sono più connessi gli effetti preclusivi, conservativi e novativi[64] della litis contestatio formulare, che non vengono più nominati nella normazione imperiale; e neppure vi sono connessi specifici effetti nuovi. Piuttosto, da quanto è possibile giudicare, la litis contestatio viene assunta nel sistema processuale della cognitio – quantomeno per la fase qui considerata – come momento dal quale decorre il termine per un certo atto, o dal quale direttamente un certo atto può o non può più essere compiuto o un certo fatto ha o non ha rilevanza. Così, come si è visto, in D. 2.12.1 pr.-2 l’eventuale perimento della cosa post litem contestatam non pregiudica il susseguente processo; e in D. 34.2.35 pr-1 il compimento della litis contestatio rende inaccoglibile la richiesta di restitutio in integrum. Questo tipo di rilevanza sembra peraltro essersi ampliata ulteriormente nei secoli successivi al periodo considerato, come alcune costituzioni imperiali postclassiche e giustinianee lascerebbero intendere[65].
Ciò detto, si tratta comunque di una rilevanza che potremmo definire “suppletivo-straordinaria”, il che spiega anche il fatto che i passi attinenti alla litis contestatio in tema di cognitio siano in numero limitato. L’assunzione della litis contestatio come termine a quo o ad quem, infatti, vista la possibilità della contumacia, doveva apparire funzionale solo nei casi ove entrambe le parti fossero effettivamente presenti in giudizio (o lo fossero state, come in D. 34.2.35 pr-1), o laddove la presenza di esse potesse essere legittimamente coartata in ragione di regole specifiche attinenti alla materia (come nel caso di D. 2.12.1.2, “si res tempore peritura sit, hoc est si dilatio actionem sit peremptura”). Pertanto, ove la litis contestatio non vi fosse stata, si deve presumere che si sarebbe fatto riferimento ad un diverso momento processuale, da individuarsi verosimilmente o all’inizio (istanza, evocatio, ecc.), o alla fine del procedimento (sentenza).
Conclusivamente, appare che il ruolo assunto dalla litis contestatio nella cognitio, pur perdendosi il valore cruciale e fondativo che l’atto aveva all’interno della procedura formulare, fosse quello di un momento processuale di riferimento frequente, anche considerata la possibilità che i giudizi in cui le parti erano presenti superassero in numero quelli contumaciali, ma non strettamente necessario, seppure utile a fornire un criterio applicativo nei casi in cui esso si verificava[66].
Abstract: This paper examines the evolving of the litis contestatio in the frame of the cognitio extra ordinem during the Classical age. It firstly focuses on the emerging of the cognitio under the Principate and the probable consequences that the appearance of the new procedure had on the conception of the litis contestatio. Juridical sources being relatable to the chosen period are then examined. The study shows as a conclusion that the litis contestatio survived mostly as a reference for procedural time limits.
Key Words: Litis contestatio, Cognitio extra ordinem, Roman civil procedure, Roman trial.
* Università degli Studi di Torino (lucia.zandrino@unito.it).
** Il contributo è stato sottoposto a double blind peer review.
[1]Va peraltro osservato che, nella fase della tarda antichità, si determina un ampliamento semantico di rilievo, tale per cui il sintagma ‘litis contestatio’ viene usato anche in riferimento (non esclusivo, ma inclusivo) alla denuntiatio, ossia al momento processuale in cui l’attore esponeva le sue pretese, mediante il libellus denuntiationis, e chiedeva formalmente al funzionario giudicante, a seguito di iscrizione del medesimo libello presso il tribunale, di dare luogo alla lite: v. L. Di Cintio, La litis contestatio nell’interpretatio visigotica, in BIDR, 109 (2015), p. 328 ss., ed Ead., Nuove ricerche sulla «Interpretatio Visigothorum» al «Codex Theodosianus». Libri I-II, Milano, 2018, p. 117 ss. (scaricabile online da https://www.ledonline.it/ rivistadirittoromano/ allegati/808-interpretatio-visigothorum.pdf – consultato il 30.11.2024); ma v. già J. Gothofredus, Codex Theodosianus cum perpetuis commentariis, Lipsiae, 1739, p. 110, su cui, con approfondita disamina della denuntiatio costantiniana, U. Agnati, Costantino abolisce la ‘privata testatio’ (c.th. 2.4.2), in Teoria e storia del diritto privato, 5 (2012), passim, part. p. 7 ss.; cfr. K. P. Müller-Eiselt, «Divus Pius constituit». Kaiserliches Erbrecht, Berlin, 1982, p. 99 nt. 19. Ci si può ovviamente chiedere se tale ampliamento sia semplice “spia” di un generale fenomeno di perdita di precisione del linguaggio giuridico, fenomeno peraltro diffuso nel tardoantico, ma il punto va raffrontato con i testi paolini sui giudizi septemvirali in tema di querela inofficiosi testamenti, in particolare D. 5, 2,7, ove già Paolo ammette la trasmissione dell’azione proprio in riferimento alla denunciatio e non alla litis contestatio. V. in questo senso A. J. Boyé, La «denunciatio» introductive d’instance sous le Principat, Bordeaux, 1922, p. 219 ss.; K. P. Müller-Eiselt, «Divus Pius constituit», cit., p. 95 ss.;L. Gagliardi, Decemviri e centumviri: origini e competenze, Milano, 2002, p. 354; F. Arcaria, Septemviralia iudicia, in Studi in onore di A. Metro, a cura di C. Russo Ruggieri, vol. I, Milano, 2009, p. 60 s.; e diffusamente A. Guasco, Gli atti introduttivi del processo civile nelle cognitiones extra ordinem, Torino, 2017, p. 40 ss. Per un quadro generale della nozione di ‘denuntiatio’, oltre la risalente ma ancora fondamentale monografia di Boyé già citata, v. L. Di Giovanni, Istituzioni scienza giuridica codici nel mondo tardoantico: alle radici di una nuova storia, Roma, 2007, p. 299, e più ampiamente J. Ph. Levy, Litis denunciatio et sa place dans l’évolution de la procedure extraordinaire, in Mélanges à la memoire de A. Magdelain, Paris, 1998, p. 247 ss. (in cui vedasi la nt. 1 per una bibliografia deli autori più risalenti); U. Agnati, Costantino abolisce la ‘privata testatio’ (C.Th. 2.4.2), cit., p. 1 ss., e A. Guasco, Gli atti introduttivi del processo civile nelle cognitiones extra ordinem, cit., 33 ss., p. 133 ss.
[2] La doppia valenza dell’atto può facilmente evincersi dalle presumibili circostanze fattuali dell’atto stesso, al momento del quale i testimoni dovevano comunque, per ragioni pratiche, trovarsi già in prossimità delle parti.
[3] V. Festo, De verborum significatu (ed. Lindsay), s.v. ‘Contestari’, p. 34: contestari est cum uterque reus dicit: testes estote; e s.v. ‘Contestari litem’, p. 50: contestari litem dicuntur duo aut plures adversarii, quod ordinato iudicio utraque pars dicere solet: testes estote.
[4] S.v. ‘Testis’, in A. Ernoux, A. Meillet, in Dictionnaire etymologique de la langue latine: histoire des mots, 4a ed., vol. II, Paris, 1960, 689; e in A. Walde, J. B. Hofmann, Lateinisches etymologisches Wörterbuch, 5a ed., vol. II, Heidelberg, 1972, p. 676 s.
[5] Così, tra gli altri, C. Gioffredi, Contributi allo studio del processo civile romano, Milano, 1947, p. 50; A. Biscardi, La litis contestatio nella procedura per legis actiones, in Studi in onore di V. Arangio-Ruiz, III, Napoli, 1952, p. 461; G. Jahr, Litis contestatio: Streitbezeugung und Prozessbegrundung im Legisaktionen- und im Formularverfahren, Koln-Graz, 1960, p. 19 ss.; G. Pugliese, Il processo civile romano, vol. I, Le legis actiones, Roma, 1962, p. 389 s. (vedi anche p. 390 nt. 291 per la bibliografia più risalente); J.G. Wolf, Die litis contestatio im römischen Zivilprozess, Karlsruhe, 1968, p. 22 ss, p. 39 s.; B. Albanese, Il processo privato romano delle legis actiones, Palermo, 1993, p. 117 e nt. 402; M. Kaser, K. Hackl, Das Römische Zivilprozessrecht, 2° ed., München, 1996, p. 11 e nt. 40; M. Varvaro, Lineamenti di procedura civile romana, Napoli, 2023, p. 18 e nt. 27. Per un quadro delle opinioni più risalenti sugli effetti della litis contestatio nelle legis actiones, v. G. Luzzatto, Procedura civile romana, II, Le legis actiones, Bologna, 1948, p. 311 ss., p. 315 s. sui testi festini citati alla nota 3; nonché N. Bellocci, La genesi della litis contestatio nel procedimento formulare, Napoli, 1965, p. 7 ss.
[6] Così A. Biscardi, Quelques observations sur la litis contestation, in RIDA,3 (1950), p. 159 ss.; contra, G. Pugliese, op. ult. cit., p. 392 nt. 395.
[7] Così N. Bellocci, I testimoni nella litis contestatio classica, in Studi Senesi, 75 (1963), 57 ss.
[8] Così M. Wlassak, Die Litiskontestation im Formularprozess, in Festschrift Windscheid, Leipzig, 1889, p. 69 sgg., part. p. 108, p. 111; Id., Anklage und Streitbefestigung: Abwehr gegen Philipp Lotmar, Wien, 1920, p. 9 sgg.
[9] Per le opinioni della dottrina più risalente sulla tesi di Wlassak, v. la bibliografia in S. Di Paola, La ‘litis contestatio’ nella ‘cognitio extra ordinem’ dell’età classica, in Annali del seminario giuridico dell’Università di Catania, 2 (1948), p. 253 nt. 2; e in G. Sacconi, Studi sulla litis contestatio nella procedura formulare, Napoli, 1982, p. 45 s. nt. 92.
[10] V. S. Schloβmann, Litis contestatio: Studien zum Römischen Zivilprozess, Leipzig, 1905, p. 9 ss.; R. Sohm, Die litis contestatio in ihrer Entwicklung vom frühen Mittelalter bis zur Gegenwart: ein Beitrag zur Geschichte des Zivilprozesses, München, 1914, rist. anastatica Aalen, 1970, p. 2 ss.; E. Betti, Per una costruzione giuridica della c. d. consunzione processuale in diritto romano classico, Parma, 1919, p. 9 ss.; Id., Falsa impostazione della questione storica, dipendente da erronea diagnosi giuridica, in Studi Arangio-Ruiz, vol. IV, cit., p. 110 s.; O. Carrelli, La genesi del procedimento formulare, Milano, 1946, p. 80 ss., p. 136 ss.; C. Gioffredi, Contributi allo studio del processo civile romano. Note critiche e spunti ricostruttivi, Milano, 1947, p. 55 ss.; F. Bonifacio, Appunti sulla natura della litis contestatio nel processo formulare, in Studi Albertario, vol. I, Milano, 1953, p. 63 ss.; G. Jahr, Litis contestatio. Streitbezeugung und Prozessbegründung im Legislaktionen- und im Formularverfahren, Köln Graz, 1960, p. 218 ss.; N. Bellocci, La genesi della «litiscontestatio» nel processo formulare, cit., p. 158 ss.; M. Kaser, Zum Formproblem der litiscontestatio, in ZSS, 84 (1967), p. 13 ss.; J. G. Wolf, Die «litiscontestatio» im römischen Zivilprozess, cit., p. 8 ss.; B. Kupisch, Cicero ad Atticum 16, 15. Zur litis contestatio im Formularprozess, in ZSS, 96 (1979), p. 63; G. Sacconi, Studi sulla litis contestatio nel processo formulare, cit., p. 45 ss., part. p. 55 ss.; S. Schlinker, Litis contestatio. Eine Untersuchung über die Grundlagen des gelehrten Zivilprozess in der Zeit vom 12. bis zum 19 Jahrhundert, Frankfurt a. M., 2008, p. 18.
[11] Per una nozione istituzionale di tali effetti, v. C. A. Cannata, Profilo istituzionale del processo privato romano, vol. I, Il processo formulare, Torino, 1982, p. 175 ss.; M. Kaser, K. Hackl, Das Römische Zivilprozessrecht, cit., p. 295 ss.; M. Varvaro, Lineamenti di procedura civile romana, cit., p. 138 s.; nonché, più specificamente, G. Pugliese, La litis contestatio nel processo formulare, in Scritti Antonio Scialoia, vol. IV, Bologna, 1953, p. 363 ss.; G. Jahr, op. ult. cit., p. 120 ss.; N. Bellocci, op. ult. cit., p. 161 ss.; B. Kupish, op. ult. cit., p. 43 ss.; G. Sacconi, op. ult. cit., p. 36 ss., p. 45 ss.
[12] Potrebbe dirsi che proprio questo particolare effetto, nella sua componente “creatrice” ossia obbligatoria (potendosi idealmente scindere l’effetto novativo in estintivo e obbligatorio), abbia in qualche senso influito sull’ipotesi di assimilazione tra la litis contestatio e l’accordo contrattuale. In questa direzione, v. l’ipotesi di G. Luzzatto, Procedura civile romana, cit., p. 316: lo studioso, lungi dall’aderire alla dottrina maggioritaria secondo cui la teoria sull’effetto novativo nella litis contestatio sarebbe stata elaborata in età classica, ritiene il testo cardine contenuto in Gai Inst. 3.180-181 come riferibile già all’età delle legis actiones, e ciò sulla base del fatto che Gaio ravvisa tale effetto nei iudicia legitima, ossia in quei “rapporti il cui riconoscimento, agli effetti dell’azione, risale al procedimento per legis actiones”; chiarisce tuttavia il medesimo G. Luzzatto, rec. a G. Jahr, Litis contestatio, in SDHI, 26 (1960), p. 412, che in questa direzione la nota opinione di Wlassak va seguita, giungendo a parificare la litis contestatio al contratto novativo, ossia alla stipulatio. Contra, G. Sacconi Studi sulla litis contestatio nella procedura formulare, cit., p. 58 nt. 119.
[13] V. D. 46.2.29; D 46.2.18 e D. 22.1.35; D. 20.1.13.4 e D. 16.1.13.1. L’effetto novativo della litis contestatio appare dunque più limitato rispetto a quello della novazione contrattuale, poiché il primo non investe i pegni, le usurae, ecc., e soprattutto concerne i soli iudicia legitima (v. la nota precedente). Sui rapporti tra novazione contrattuale e delegazione, v. G. Sacconi, op. ult. cit., p. 58 ss., e il mio La delegazione nel diritto romano. Profili semantici ed elementi di fattispecie, Napoli, 2010, p. 185 ss.
[14] Sul punto, su cui si tornerà infra,, si vedano C. Buzzacchi, Lex Rivi Hiberiensis. Per un’indagine sul processo civile nelle province, Roma, 2013, p. 31 ss., p. 89 ss.; L. Di Cintio, Archivio di Babatha: un’esperienza ai confini dell’impero romano. Sul processo nelle province, Milano, 2021 (scaricabile online da https:// www.ledonline.it/ rivistadirittoromano/indice.html?/rivistadirittoromano/983-archivio-babatha-impero-romano.html - consultato il 30.11.2024), part. cap. 1-3, p. 29 ss. La procedura formulare venne formalmente abrogata da Costanzo e Costante (C. 2.57.1) solo nel 342 d.C.: v. O. Cuneo, La legislazione di Costantino II, Costanzo II e Costante (337-361), Milano, 1997, p. 90 s. La portata della costituzione è stata discussa da A. Guarino, Aucupatio syllabarum, inMélanges en l’honneur de Cannata,éd. R. Ruedin,Bâle-Genève-Münich, 1999, p. 168 (ciò peraltro esplicitamente ampliando considerazioni già nel testo della Cuneo), e più definitivamente contestata da G. Bassanelli Sommariva, Costanzo e Costante hanno davvero abolito il processo formulare?, in Rivista di diritto romano, 1 (2001) (url: https://www.ledonline.it/ rivistadirittoromano/allegati/dirittoromano0102bassanelli.pdf – consultato il 30.11. 2024), p. 1 ss.; cfr. sul punto S. Liva, Il ‘iudex pedaneus’ nel processo privato romano. Dalla procedura formulare alla cognitio extra ordinem, Milano, 2012, p. 66 ss.
[15]In questo senso, va ricordato che lo studio del processo extra ordinem è reso difficoltoso dallo stato delle fonti, le quali – limitandosi alla materia civile che qui compete – non solo non offrono una trattazione organica del tema, ma presentano anzi una certa occasionalità, laddove poi non si ponga l’ancor più sostanziale problema della riferibilità alla materia, quando si tratti di un testo della giurisprudenza classica di cui si ritenga che sia stato alterato dai compilatori per poterlo riferire al processo extra ordinem, il solo ormai applicato in età giustinianea. Ciò pur esistendo, sia pure in un quadro di (quantomeno apparente) minore rilevanza dell’argomento tra quelli trattati dai giuristi romani, opere che si dedicavano integralmente al tema: così può dirsi per i libri de cognitionibus di Callistrato e Paolo, nonché per i libri de appellationibus di Ulpiano, Marciano, Paolo, Macro. Per un quadro delle fonti giuridiche in tema di cognitio extra ordinem, v.G. Scherillo, Lezioni sul processo. Introduzione alla “cognito extra ordinem”, Milano, 1960, p. 9 ss.; R. Bonini, I ‘libri de cognitionibus’ di Callistrato, Milano, 1961, passim, part. p. 130 ss.; G. Luzzatto, Il problema d’origine del processo extra ordinem, vol. I, Premesse di metodo. I cosiddetti rimedi pretori, Bologna, 1965, p. 6 ss.; Id., In tema di origine del processo ‘extra ordinem’, in Studi Volterra, vol. II, Milano, 1971, p. 666 nt. 1.; N. Palazzolo, Potere imperiale ed organi giurisdizionali nel II secolo d.C. L’efficacia processuale dei rescritti imperiali da Adriano ai Severi, Milano, 1974, p. 206 nt. 6, p. 207 nt. 8.
[16] V. diffusamente sul punto G. Luzzatto, op. ult. cit., p. 52 ss.
[17] Nota è la posizione espressa da R. Orestano, La cognitio extra ordinem: una chimera, in SDHI 46 (1980), p. 246 ss., secondo cui la cognitio extra ordinem non esisterebbe come forma processuale unitaria e sistematizzata, ma esisterebbero bensì tante cognitiones diverse, l’una creata indipendentemente dall’altra; cfr. sul punto la panoramica di N. Palazzolo, Processo civile e politica giudiziaria nel Principato. Lezioni di diritto romano, 2° ed., Torino, 1991, p. 37 ss.; nonché Id., Dalle cognitiones alla cognitio: principe e giuristi verso la costruzione del nuovo sistema processuale, in I tribunali dell’impero, Relazioni del Convegno Internazionale di Diritto romano. Copanello, 7-10 giugno 2006, a cura di F. Milazzo, Milano, 2015, p. 217 ss. Si veda anche l’approfondita ricostruzione del concetto di ‘cognitio extra ordinem’ in L. Di Cintio, Archivio di Babatha: un’esperienza ai confini dell’impero romano, cit., 15 ss. La percezione da parte dei giuristi romani di una non (o quantomeno non perfetta) omogeneità della cognitio nelle sue diverse estrinsecazioni può desumersi da D. 50.13.5 pr. (Call. l. 1 de cognit.), ove Callistrato menziona il cognitionum numerus e i genera cognitionum: v. in merito R. Bonini, I libri De cognitionibus di Callistrato: ricerche sull'elaborazione giurisprudenziale della cognitio extra ordinem, Milano, 1964, p. 32. Contra la posizione di Orestano, v. F. Arcaria, Oratio Marci: giurisdizione e processo nella normazione di Marco Aurelio, Torino, 2003, p. 278, che ravvisa proprio nel suo tema di indagine (l’oratio Marci) la normazione unificatrice della cognitio.
[18] V. N. Palazzolo, Dalle cognitiones alla cognitio, cit., p. 22 s.; nonché Id., Processo civile e politica giudiziaria nel Principato, cit., p. 40 s.
[19] V. P. De Francisci, ΣΥΝΑΛΛΑΓΜΑ. Storia e dottrina dei cosiddetti contratti innominati, vol. II, Pavia, 1916, p. 248; V. Scialoja, Procedura civile romana: esercizio e difesa dei diritti, Roma, 1936, p. 251 ss.; per ulteriore bibliografia v. G. Luzzatto, Il problema d’origine del processo extra ordinem, cit., p. 15 nt. 1.
[20] In particolare, G. Scherillo, Lezioni sul processo, cit., p. 182 s., ha considerato significativa la facoltà (di cui in D. 1.18.8-9; cfr. C. Th. 1.2.7 sulla delegazione ad altro giudice) del governatore provinciale di trattenere la causa presso di sé, divenendone così giudice diretto, in contraddizione con quanto previsto dal sistema formulare nel caso di lite avanti al Pretore. Entrambi i testi menzionati, che presentano differenze e probabili interpolazioni, affermano che il governatore provinciale non è tenuto ad assumere personalmente il ruolo di giudice nella causa che pure gli sia stata rimessa dall’imperatore, con ciò dando evidentemente per scontata tale facoltà. cfr. M. Kaser, K. Hackl, Das Römische Zivilprozess, cit., p. 451 e nt. 46, p. 634 s. e nt. 16, secondo cui peraltro il processo formulare non sarebbe (addirittura) mai stato utilizzato nelle province. Nella stessa direzione, G. Pugliese, Figure provinciali ai confini tra iudicia privata e iudicia publica, in Studi Solazzi, Napoli, 1948, p. 402 s., ha sostenuto la peculiare (rispetto alle diverse regole sulla scelta concorde del giudice effettuata dalle parti) facoltà (o prassi abituale) del medesimo governatore provinciale di nominare direttamente il giudice a sua sola discrezione, senza rilevanza formale dell’opinione delle parti sul punto (e peraltro, in alcune province, senza che la redazione di una lista dei giudici nominabili fosse neppure prevista). Contra, F. La Rosa, Decemviri e centumviri, in Labeo, 4 (1958), p. 40 ss.
[21] V. le osservazioni di L. Di Cintio, Archivio di Babatha: un’esperienza ai confini dell’impero romano, cit., p. 13 e nt. 6. Per una recente presa di posizione nel senso indicato, v. A. Guasco, Gli atti introduttivi del processo civile nelle cognitiones extra ordinem, cit., Premessa, p. xviii.
[22] V. C. Buzzacchi, Lex Rivi Hiberiensis, cit., p. 42 s.; Ead., Lex Rivi Hiberiensis: domande allo storico del processo romano, in Lex Rivi Hiberiensis: diritto e tecnica in una comunità di irrigazione della Spagna romana. Giornate di studio in ricordo di Giorgio Luraschi, Milano 2-3 luglio 2012, a cura di L. Maganzani e C. Buzzacchi, Napoli, 2014, 106 ss.; L. Di Cintio, Archivio di Babatha: un’esperienza ai confini dell’impero romano, cit., p. 16 ss.
[23] Quali quelli dell’Egitto, ove veniva applicata la tradizione giuridica locale e preromana: v. G. Foti Talamanca, Ricerche sul processo nell’Egitto greco-romano, vol. I, L’organizzazione del conventus del praefectus Aegypti, Milano, 1973; vol. II.1, L’introduzione del giudizio, Milano, 1979; vol. II.2, L’introduzione del giudizio, Napoli, 1984. Sugli editti del praefectus Aegypti, da cui peraltro emerge la sostanziale non-applicazione del processo formulare nel territorio di competenza, v. G. Purpura, Gli editti dei prefetti d’Egitto. I sec. a.C. – I sec. d.C., in AUPA, 42 (1992), p. 487 ss.
[24] V. K. Hackl, Il processo civile nelle province, in Gli ordinamenti giudiziari di Roma imperiale: princeps e procedure dalle leggi giulie ad Adriano: atti del Convegno internazionale di diritto romano e del 3. Premio romanistico G. Boulvert. Copanello, 5-8 giugno 1996, a cura di F. Milazzo, Napoli, 1999, p. 314 ss. (= Der Zivilprozeß des frühen Prinzipats in den Provinzen, in ZSS, 114, 1997, p. 141 ss.), in espressa critica alla posizione di Kaser qui citata alla nota 20; nonché, nel medesimo volume, la Replica, cit., p. 334, alle questioni poste dall’Intervento di R. Mancini, cit., p. 324. V. in proposito recentemente A. Guasco, Gli atti introduttivi del processo civile nelle cognitiones extra ordinem, cit., Premessa, p. xviii nt. 10, il quale, pur dichiarandosi esplicitamente a favore della posizione di Kaser, esprime cautele che mi pare non lo portino lontano dalle mie considerazioni in testo.
[25] V. L. Maganzani, Pubblicani e debitori d’imposta. Ricerche sul titolo edittale De publicanis, Torino, 2002, p. 77 ss.; Ead., Juririsdiction romaine et autonomie locale dans le provinces au dernier siècle de la République, in RHDFE, 85 (2007), p. 353 ss; Ead., Editto provinciale e processi locali nella Sicilia dell’età di Cicerone, in Studi Nicosia, vol. I, Milano, 2007, p. 1 ss.
[26] V. C. Buzzacchi, Lex Rivi Hiberiensis, cit., passim; Ead., Lex Rivi Hiberiensis: domande allo storico del processo romano, cit., p. 93 ss.; L. Maganzani,, La formula con intentio incerta della Lex Rivi Hiberiensis, in Lex Rivi Hiberiensis: diritto e tecnica in una comunità di irrigazione della Spagna romana, cit., p. 181 ss.; F. Lamberti, “Tabulae Irnitanae”. Municipalità e “ius Romanorum”, Napoli, 1993, passim. Una cospicua bibliografia sulla Lex Irnitana può vedersi in L. Di Cintio, Archivio di Babatha: un’esperienza ai confini dell’impero romano, cit., p. 63 ss. e note relative, part. p. 64 nt. 141.
[27] V. S. Di Paola, La ‘litis contestatio’ nella ‘cognitio extra ordinem’ dell’età classica, cit., p. 260 s.
[28] Così invece G. Scherillo, Lezioni sul processo, cit., p. 76, 196, esplicitamente sulla generica scorta di Scialoja di cui lo Scherillo non specifica la citazione ma le cui posizioni sul punto appaiono rinvenibili in V. Scialoja, Procedura civile romana: esercizio e difesa dei diritti, Roma, 1936, p. 252. Contra Scherillo, esplicitamente, v. G. Luzzatto, Il problema d’origine del processo extra ordinem, cit., p. 28 ss.; M. Kaser, K. Hackl, Das Römische Zivilprozess, cit., 436. Cfr. le complesse e condivisibili considerazioni sul punto di I. Buti, La ‘cognitio extra ordinem’: da Augusto a Diocleziano, in ANRW, vol. XIV, 1982, p. 34 ss., p. 42 ss.
[29] V. diffusamente A. Guasco, Gli atti introduttivi del processo civile nelle cognitiones extra ordinem, cit., p. 1 ss., p. 33 ss.
[30] V. S. Di Paola, La ‘litis contestatio’ nella ‘cognitio extra ordinem’ dell’età classica, cit., p. 260; P. Bonetti, La litis contestatio in uno scolio dei Basilici, in Studi Biondo Biondi, vol. I, Milano, 1965, p. 481 ss.
[31] V. P. Bonetti, op. ult. cit., p. 481. Sulla contumacia nella cognitio extra ordinem, v. tra i molti: L. Aru, Il processo civile contumaciale. Studio di diritto romano, Roma, 1934; G. Provera, Il principio del contradditorio nel processo civile romano, Torino, 1970, p. 183 ss.; G. Foti Talamanca, Ricerche sul processo nell’Egitto greco-romano, II.1, L’introduzione del giudizio, cit., p. 53 ss.; A. Bellodi Ansaloni, Ricerche sulla contumacia nelle cognitiones extra ordinem, Bologna, 1998. Un contemperamento alla possibile contumacia dell’attore arriverà in via definitiva solo con l’obbligo di prestare la fideiusssio de lite prosequenda (sia al fine di evitare liti temerarie, sia di garantire il contradditorio assicurato dalla litis contestatio) di cui a Nov. Iust. 53, 1-4, su cui v. A. Trisciuoglio, “…perché gli attori imparino a non giocare con la vita altrui…”. A proposito di Nov. Iust. 53.1-4, in Principi generali e tecniche operative del processo civile romano nei secoli IV-VI d.C. Atti del Convegno (Parma, 18-19 giugno 2009), a cura di S. Puliatti e U. Agnati, Parma, 2010, p. 163 ss. Cfr. anche la recensione di F. Pergami, Aequum iudicium e processo romano della tarda antichità, in SDHI, 78 (2012), ora in Id., Nuovi studi di diritto romano tardoantico, Torino, 2014, p. 13.
[32] V. P. Bonetti, La litis contestatio in uno scolio dei Basilici, cit., 482; I. Buti, La ‘cognitio extra ordinem’, cit., p. 50; M. Kaser, K. Hackl, Das Römische Zivilprozessrecht, cit., p. 490 s., secondo cui l’espressione “controversiam (litem ecc.) movere” ha significato analogo (p. 490 nt. 47). Cfr. S. Di Paola, La ‘litis contestatio’ nella ‘cognitio extra ordinem’ dell’età classica, cit., p. 259 s.
[33] Già A. Fliniaux, Le Senatoconsulte Juventien et la litis contestatio, in RHDFE, IV ser., 2 (1923), p. 101 s., aveva ritenuto che, stando al tenore del suo contenuto attuale, C. 3.9.1 fosse riferibile solo alla cognitio, seppure egli avesse considerato la costituzione interpolata (vedi infra nel testo presente) e, nel suo contenuto originale, diversamente riferibile alla procedura formulare. Il rilievo su C. 3.9.1 come intervento di ordine generale in tema di cognitio è di R. Fercia, «Aliud petere» e la metafora delle ὁδοί, in Rivista di diritto romano, 4, 2004 (url: https://www.ledonline.it/ rivistadirittoromano/allegati/dirittoromano04fercia.pdf – consultato il 30.11.2024), 8. C. 3.9.1 è parimenti ritenuta riferibile alla cognitio extra ordinem da L. Di Cintio, Nuove ricerche sull’«Interpretatio Visigothorum» al «Codex Theodosianus», cit., p. 45 nt. 102.
[34] È evidente che, nella frase “iudex per narrationem negotii causam audire coeperit”, l’espressione “narratio negotii” si riferisce ai fatti accaduti e per i quali vi è lite. V. in questo senso la traduzione del testo in G. Provera, Lezioni sul processo civile giustinianeo. I-II, Torino, 1989, p. 231, che rende la frase con «quando il giudice ha incominciato a prendere conoscenza della causa»; e di B. W. Frier (ed.), The Codex of Justinian. A New Annotated Translation, with Parallel Latin and Greek Text, vol. I, Cambridge, 2016, p. 635, che rende «when the judge has commenced to hear the case by listening to the statement of facts». L’espressione “narratio negotii” sembra essere stata tradotta in greco quale “ἡ διήγησις τῆς ὑποθέσεως” nello scolio ad Bas. 7.1.3 in Heimbach I, 242, e nel medesimo scolio riportato però ad Bas. 6.1.49 in Scheltema I, Scholia in Libri I-XI, 1953, 33 (per la spiegazione di tale diverso riferimento dello scolio nelle due edizioni, v. P. Bonetti, La litis contestatio in uno scolio dei Basilici, cit., p. 469 nt. 1,). Heimbach stesso, ritraducendo il greco in latino, usa la medesima espressione. P. Bonetti, op. cit., p. 474 e nt. 21 riferisce che Scheltema avrebbe, in uno scambio epistolare intercorso, datato lo scolio al XII-XIII secolo, ma ne contesta l’opinione, sulla base del rilievo che il contenuto stesso dello scolio sembra piuttosto riferirsi ad una età in cui le distinzioni dell’epoca classica sono ancora rilevanti.
[35] V. N. Palazzolo, Potere imperiale ed organi giurisdizionali nel II secolo d.C, cit., p. 79 nt. 16; e diffusamente R. Fercia, «Aliud petere» e la metafora delle ὁδοί, cit., p. 7 ss. Cfr. M. Kaser, K. Hackl, Das Römische Zivilprozessrecht, cit., p. 221, p. 221 nt. 6.
[36] L’interpretazione della litis contestatio nella procedura extra ordinem come narrazione sia dell’attore sia del convenuto è diffusa nella dottrina più risalente: v. V. Scialoja, Procedura civile romana, cit., p. 270;S. Di Marzo, Istituzioni di diritto romano, 4° ed., Milano, 1942, p. 127. Per una rassegna completa, v. P. Bonetti, La litis contestatio in uno scolio dei Basilici, cit., p. 479 ntt. 34-40. Il punto è nuovamente ribadito da S. Di Paola, La ‘litis contestatio’ nella ‘cognitio extra ordinem’ dell’età classica, cit., 295 s., che pure non analizza C. 3.9.1 né lo richiama in tutto il suo articolo. Ancora su tale posizione è N. Palazzolo, Potere imperiale ed organi giurisdizionali nel II secolo d.C., cit., 105; e così L. Di Giovanni, Istituzioni scienza giuridica codici, cit., 300; nonché, più recentemente, L. Di Cintio, Nuove ricerche sull’«Interpretatio Visigothorum» al «Codex Theodosianus», cit., 45. Tuttavia, nella dottrina più moderna, il punto è piuttosto ribadito con specifico riferimento al processo giustinianeo: v. A. Biscardi, Le papyrus de la «prokatarxis», in SDHI, 33 (1967), p. 320 ss.; D. Simon, Untersuchungen zur Justinianischen Zivilprozess, München, 1969, p. 123 e nt. 131, ove ampia bibliografia; e F. Pergami, Introduzione al processo privato nella tarda antichità, in Id., Altri studi di diritto romano tardoantico, Torino, 2019, p. 48. Peraltro, emerge da C. 3.1.14.4 (Imp. Iustinianus A. Iuliano pp.) che nel linguaggio giuridico giustinianeo l’esposizione dei fatti da parte del convenuto è specificamente definita contradictio, mentre la narratio è preferibilmente riferita al solo attore: v. ancora P. Bonetti, op. ult. cit., p. 477.
[37] G. Provera, Lezioni sul processo civile giustinianeo, cit., p. 230 s.
[38]In realtà, è evidente come l’intero Corpus Iuris Civilis sia colmo di passi sulla litis contestatio, il che è dimostrazione del fatto che l’espressione costituiva, per i giustinianei, un sintagma significante riconducibile ad un significato noto; né il fatto che il diritto processuale sia, nel medesimo Corpus, apparentemente narrato ancora in termini formulari, ancorché la cognitio fosse oramai la sola procedura applicata, deve far presumere che quei termini non fossero comprensibili ed applicabili anche ai processi del tempo.
[39] L’espressione “postulatio simplex” è infatti menzionata in due soli testi antecedenti l’epoca giustinianea (oltre a C. 3.9.1 qui illustrato, v. C. 12.25(26).4.2). Propendono per l’interpolazione del testo P. Bonetti, La litis contestatio in uno scolio dei Basilici, cit., p. 473, p. 474 nt. 22; e M. Kaser, K. Hackl, Das Römische Zivilprozessrecht, cit., p. 221 nt. 6, p. 571 nt. 7; cfr. S. Riccobono, Cognitio extra ordinem (nozione e caratteri del «ius novum»), in RIDA, 2 (1949), p. 277, secondo cui la litis contestatio sarebbe scomparsa dalla cognitio extra ordinem già nell’età dei Severi. V. però la diversa opinione di É. Jakab, Antwort auf Bernhard Palme, in Symposion 2007: Vortrage zur griechischen und hellenistichen Rechtsgeschichte (Durham, 2.-6. september 2007) = Akten der Gesellschaft für Griechische und Hellenistische Rechtsgeschichte,vol. XX, hrsgg. von E. Harris-G. Thür, Wien, 2008, p. 298 s. e nt. 13.
[40] C. 6.47.1: Legatorum seu fideicommissorum usuras ex eo tempore, quo lis contestata est, exigi posse manifestum est. Sed et fructus rerum et mercedes servorum, qui ex testamento debentur, similiter praestari solent (Sev. et Ant. aa. Maximo. ). Contra, M. Kaser, K. Hackl, op. ult. cit., p. 490 nt. 44; e M. Kaser, Das römische Privatrecht, 2° ed., vol. II, München, 1975, p. 559 nt. 46, che considera il testo interpolato.
[41] C. 3.28.5:Si pater tuus post litem contestatam vel postquam propositum habuisset inofficiosum fratris testamentum dicere te herede relicto decessit, causam coeptam vel quocumque modo illi placitam exsequi non prohiberis. (Ant. a. Aelio. ); C. 6.47.2.2: Quod si satisdationem implere non poteritis, arbitro dato diem vobis praefiniet, intra quem altera parte cessante partibus suis fungetur. Et si constiterit legi falcidiae locum non esse, et usuras et fructus post litem contestatam percipietis. (Ant. a. libertis Cassiani. ).
[42] F. Arcaria, Oratio Marci, cit., p. 164 ss.
[43] Dettaglio che peraltro conferma l’interpretazione della litis contestatio come definita in C. 3.9.1 nel senso di atto a cui devono partecipare entrambe le parti: v. S. Di Paola, La ‘litis contestatio’ nella ‘cognitio extra ordinem’ dell’età classica, cit., p. 295.
[44] Nota l’opinione di M. Wlassak, Zum Römischen Provinzialprozeß, Wien, 1919, p. 62 ss., secondo cui il testo proverebbe l’applicazione dell’oratio alla giurisdizione degli iuridici in ambito provinciale; nonché quella di A. Fliniaux, Le Senatoconsulte Juventien et la litis contestatio, cit., p. 111 e nt. 4, secondo cui il testo sarebbe inutilizzabile perché il § 2 (ossia quello che specificamente menziona la litis contestatio) si riferirebbe alla procedura formulare. Per una critica del primo, v. A. J. Boyé, La «denunciatio» introductive d’instance sous le Principat, cit., p. 285 ss.; G. Pugliese, Il processo civile romano, II, Il processo formulare, Milano, 1963, pp. 110, 153, 155 s.; e soprattutto F. Arcaria, Oratio Marci, cit., p. 165 ss., peraltro con vasta bibliografia; per una critica del secondo, v. S. Di Paola, op. ult. cit., p. 262 ss., 254 ss.
[45] A. J. Boyé, op. ult. cit., p. 194 e nt. 65; p. 287; L. Aru, Il processo civile contumaciale, Roma, 1934, p. 193; S. Di Paola, La ‘litis contestatio’ nella ‘cognitio extra ordinem’ dell’età classica, cit., p. 263; C.S. Tomulescu, Über die Entwicklung des römischen Zivilprozessesrechtes, in Labeo, 13 (1967), p. 357; W. Simshäuser, «Iuridici» und Munizipalgerichtsbarkeit in Italien, München, 1973, p. 261 s.; M. Kaser, K. Hackl, Das Römische Zivilprozessrecht, cit., p. 479 e nt. 68; p. 497 e nt. 32.
[46] A. J. Boyé, op. ult. cit., p. 318 s.; S. Di Paola, op. ult. cit., p. 263 ss.; P. Bonetti, La litis contestatio in uno scolio dei Basilici, cit., p. 477; C.S. Tomulescu, op. ult. cit., p. 357; A. Biscardi, Le papyrus de la «prokatarxis», cit., p. 333; W. Simshäuser, op. ult. cit., p. 262; M. Kaser - K. Hackl, op. ult. cit., p. 490, p. 490 nt. 44.
[47] F. Arcaria, Oratio Marci, cit.,p. 164 ss., part. p. 173 ss.
[48] D. 2.12.3 pr. (Ulp. l. 2 ad edictum): Solet etiam messis vindemiarumque tempore ius dici de rebus quae tempore vel morte periturae sunt. Morte: veluti furti: damni iniuriae: iniuriarum atrocium: qui de incendio ruina naufragio rate nave expugnata rapuisse dicuntur: et si quae similes sunt. Item si res tempore periturae sunt aut actionis dies exiturus est. 1. Liberalia quoque iudicia omni tempore finiuntur. 2. Item in eum, qui quid nundinarum nomine adversus communem utilitatem acceperit, omni tempore ius dicitur.
[49] Osserva F. Arcaria, Oratio Marci, cit.,p. 167, p. 174, che ilpunto appare peraltro in relazione con la disciplina desumibile dalla lex Irnitana riguardo i limiti dell’applicabilità alla procedura formulare dell’actus rerum, ossia delle regole che presiedevano alla determinazione del calendario processuale. Dalla lex Irnitana, cap. 49, sembra infatti di potersi evincere: 1) che dai giorni utilizzabili per le liti andassero di regola escluse le feriae, nelle quali erano ricompresi i giorni della mietitura e della vendemmia; 2) che tuttavia fosse fatta eccezione per le liti “quae tempore vel morte periturae sunt” come elencate in D. 2.12.3 pr.. Così. F. La Rosa, La «lex Irnitana» e la nomina del giudice, in Iura 40 (1989), p. 71; e soprattutto esplicitamente F. Lamberti, “Tabulae Irnitanae”, cit., p. 180 ss., part. p. 182 s.
[50] Così C. 4.56.1 (su cui cfr. N. Palazzolo, Potere imperiale ed organi giurisdizionali nel II secolo d.C., cit., p. 172 s.) e D. 1.12.1.8 (testo, quest’ultimo, dello stesso Ulpiano). Il punto si riflette peraltro sulla riferibilità di D. 38.2.16.3 (Ulp. l. 45 ad ed.) alla cognitio extra ordinem nella prima parte “Petisse - destitit”, la cui seconda parte “sed duravit” è invece ritenuta interpolata per evidente contradditorietà con la prima: v. S. Di Paola, La ‘litis contestatio’ nella ‘cognitio extra ordinem’ dell’età classica, cit., p. 266 ss. Cfr. tuttavia M. Kaser, K. Hackl, Das Römische Zivilprozessrecht, cit., p. 490 nt. 44, che considerano lapidariamente D. 38.2.16.3 “nicht sicher”.
[51] Così A. Metro, Decreta praetoris e funzione giudicante, in Ius Antiquum, 6 (2000), url: https:// www.dirittoestoria.it /iusantiquum/articles/N6Metro.htm#_ftn23 – consultato il 30.11.2024; cfr. S. Di Paola, op. ult. cit., p. 270 nt. 63, che osserva come i termini ‘legatum’ e ‘legare’ siano usati anche in riferimento ai fedecommessi.
[52] Cfr. la più radicale soluzione di Modestino in D. 34.2.9, ove il giurista si pronuncia nettamente nel senso che vada corrisposto il prezzo.
[53] Sulla mancanza di distinzione tra decretum e sententia nella cognitio e in 34.2.35 pr-1 in specifico, v. G. Mancuso, Decretum praetoris, in SDHI, 43 (1997), p. 396 ss.; A. Metro, Decreta praetoris e funzione giudicante, cit. Cfr. sul punto F. Arcaria, D. 26.10.7, 26.10.2, 26.10.4 e l’accusatio suspecti tutoris: la competenza del praetor tutelaris e del praefectus urbi sulla remotio tutoris e quella del praetor urbanus sulla missio in possessionem rei servandae causa, in Tesserae iuris, II.2 (2021), p. 30 e nt. 120.
[54] Così S. Di Paola, La ‘litis contestatio’ nella ‘cognitio extra ordinem’ dell’età classica, cit., p. 273 nt. 78. È infatti evidente che la restitutio in integrum è rimedio utile a chi si trovi in una situazione svantaggiosa, e nel caso di specie lo svantaggio è dell’erede tenuto al fedecommesso, ossia tenuto a dover corrispondere una certa quantità d’oro – materia di difficile reperibilità e dal valore più certo di qualunque altro bene, soprattutto in un contesto quale quello antico – in luogo del suo prezzo.
[55] Né può escludersi che, nei fatti, la difficoltà di adempimento venisse fronteggiata anche dai tutori stessi, quantomeno in funzione di supporto del pupillo.
[56] Così l’intero testo di D. 5.3.20.6 (Ulp. l. 15 ad edictum): pr. Praeter haec multa repperimus tractata et de petitione hereditatis, de distractis rebus hereditariis, de dolo praeterito et de fructibus. De quibus cum forma senatus consulto sit data, optimum est ipsius senatus consulti interpretationem facere verbis eius relatis. "Pridie idus martias quintus Iulius Balbus et Publius Iuventius Celsus Titius Aufidius Oenus Severianus consules verba fecerunt de his, quae imperator Caesar Traiani Parthici filius divi Nervae nepos Hadrianus Augustus imperator maximusque princeps proposuit quinto nonas martias quae proximae fuerunt libello complexus esset, quid fieri placeat, de qua re ita censuerunt. 6a. Cum, antequam partes caducae ex bonis rustici fisco peterentur, hi, qui se heredes esse existimant, hereditatem distraxerint, placere redactae ex pretio rerum venditarum pecuniae usuras non esse exigendas idemque in similibus causis servandum. 6b. Item placere, a quibus hereditas petita fuisset, si adversus eos iudicatum esset, pretia, quae ad eos rerum ex hereditate venditarum pervenissent, etsi eae ante petitam hereditatem deperissent deminutaeve fuissent, restituere debere. 6c. Item eos qui bona invasissent, cum scirent ad se non pertinere, etiamsi ante litem contestatam fecerint, quo minus possiderent, perinde condemnandos, quasi possiderent: eos autem, qui iustas causas habuissent, quare bona ad se pertinere existimassent, usque eo dumtaxat, quo locupletiores ex ea re facti essent. 6d. Petitam autem fisco hereditatem ex eo tempore existimandum esse, quo primum scierit quisque eam a se peti, id est cum primum aut denuntiatum esset ei aut litteris vel edicto evocatus esset. Censuerunt". Aptanda est igitur nobis singulis verbis senatus consulti congruens interpretatio.
[57] D. 5.3.20.6 (Ulp. l. 15 ad edictum): In privatorum quoque petitionibus senatus consultum locum habere nemo est qui ambigit, licet in publica causa factum sit.
[58] V. Y. Gonzáles Roldán, Il senatoconsulto Q. Iulio Balbo et P. Iuventio Celso consulibus factum nella lettura di Ulpiano,Bari, 2008, p. 405, il quale peraltro ritiene tale differenza non significativa, posto che i caduca sono comunque parte dell’eredità.
[59] G. Longo, L’hereditatis petitio, Padova, 1933, p. 104 ss.; M. Kaser, Die Passivlegitimation zur hereditatis petitio, in ZSS, 72 (1955), p. 114 ss., 125; Id., Controversiam movere, in Studi in onore di C. Sanfilippo, Milano, 1984, p. 236; F. J. Andrés Santos, Subrogación real y patrimonios especiales en el derecho romano clásico, Valladolid, 1997, p. 85.
[60] G. Beseler, Beiträge zur Kritik der römischen Rechtsquellen, vol. IV, Tubingen, 1920, p. 4 ss., p. 13 ss. Il testo di D. 5.3.25.7 (Ulp. l. 15 ad ed.), che conferma l’autenticità della menzione della litis contestatio nel §6c, è stato conseguentemente ritenuto interpolato dallo stesso Beseler, ibid., p. 35, p. 39. V. la complessa opinione di S. Di Paola, La ‘litis contestatio’ nella ‘cognitio extra ordinem’ dell’età classica, cit., p. 278 s., p. 278 nt. 83, che, pur ritenendo il testo interpolato quanto al principio della controversia mota, sostanzialmente ne salva il contenuto di interesse.
[61] Così S. Di Paola, op. ult. cit.,p. 282; e Y. Gonzáles Roldán, Il senatoconsulto Q. Iulio Balbo et P. Iuventio Celso, cit., p. 407.
[62]C. 3.31.1 pr.: Senatus consultum auctore divo Hadriano avo meo factum, quo cautum est, quid et ex quo tempore evicta hereditate restitui debeat, non solum ad fisci causas, sed etiam ad privatos hereditatis petitores pertinet (T. Ael. Ant. A. Augurino Procons. Africae. ).
[63] Così G. Provera, La vindicatio caducorum. Contributo allo studio del processo fiscale romano, Torino, 1964, p. 100 ss; A. Biscardi, Aspetti del fenomeno processuale nell’esperienza giuridica romana, Milano, 1973, p. 106.
[64] Diversamente è a dirsi, proprio per ciò che concerne l’effetto novativo, per l’età romano barbarica e soprattutto per quella medievale, ove la litis contestatio, quale atto scritto redatto di fronte a pubblico ufficiale, diviene la forma di novazione ordinariamente applicata: v. L. Di Cintio, La litis contestatio nell’interpretatio visigotica, cit., p. 334 s. e nt. 30; Ead., Nuove ricerche sulla «Interpretatio Visigothorum» al «Codex Theodosianus», cit., p. 120 ss.; A. Padoa Schioppa, Martino da Fano processualista, note sul Formularium, in Medioevo notarile. Martino da Fano e il formularium super contractibus et libellis. Atti del Convegno Internazionale di studi. Imperia-Taggia, 30 settembre- 1 ottobre 2005, a cura di V. Piergiovanni, Milano, 2007, p. 67 ss.
[65] Ad es., C. 3.1.12.1 (termine entro il quale deve avvenire la ricusazione del giudice); C. 10.1.11 (termine a quo per la durata massima semestrale delle azioni pubbliche), C. 3.1.13.1 (termine a quo per la durata massima triennale delle altre azioni). V. P. Bonetti, La litis contestatio in uno scolio dei Basilici, cit., p. 482 s., e F. Pergami, Introduzione al processo privato nella tarda antichità, cit., p. 49. Isolata invece appare l’opinione di U. Zilletti, Studi sul processo civile giustinianeo, Milano, 1965, p. 128 ss. e p. 143 ss., secondo cui la litis contestatio nel processo giustinianeo sarebbe stata anche considerata come momento estremo entro il quale potesse mutare la editio actionis espressa nel libellus conventionis: contra, v. D. Simon, Untersuchungen zur Justinianischen Zivilprozess, cit., p. 124 ss.; G. Provera, Lezioni sul processo civile giustinianeo, cit., p. 230 ss.; F. Goria, Azioni reali per la restituzione della dote in età giustinianea: profili processuali e sostanziali, in Diritto e processo nella esperienza romana: atti del Seminario Torinese (4-5 dicembre 1991) in memoria di Giuseppe Provera, Napoli, 1994, p. 257 nt. 99; R. Fercia, «Aliud petere» e la metafora delle ὁδοί, cit., 4. Cfr. però la differente prospettiva di S. Sciortino, Il nome dell’azione nel libellus conventionis giustinianeo, Torino, 2018, il quale, ponendo ad oggetto della sua ricerca la necessità stessa di effettuare l’editio actionis nella procedura libellare, ravvisa in essa non un obbligo dell’attore ma un suo vantaggio. In generale, può dirsi che il ruolo della litis contestatio appaia comunque enfatizzato in età giustinianea, come il già citato testo di Nov. Iust. 53.1-4 (v. la precedente nt. 37) sembrerebbe confermare.
[66] In questa medesima direzione cfr. S. Di Paola, La ‘litis contestatio’ nella ‘cognitio extra ordinem’ dell’età classica, cit., p. 310 ss.; e analogamente, per l’età tardo antica e in riferimento al Codex Theodosianus e all’Interpretatio, L. Di Cintio, La litis contestatio nell’interpretatio visigotica, cit., p. 321 ss.; ed Ead., Nuove ricerche sulla «Interpretatio Visigothorum» al «Codex Theodosianus», cit., p. 117 ss.
LUCIA ZANDRINO
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