fbevnts Bisogni sociali e finalità di tutela nella prospettiva delle strette relazioni di vita

Bisogni sociali e finalità di tutela nella prospettiva delle strette relazioni di vita

02.07.2024

Chiara Prussiani*

 

Bisogni sociali e finalità di tutela

nella prospettiva delle strette relazioni di vita**

 

English title: Social needs and protection purposes from the perspective of close relationships

DOI: 10.26350/18277942_000178

 

Sommario: 1. Le strette relazioni di vita: descrizione del fenomeno. 2. Le proposte di regolamentazione rimaste incompiute e i recenti orientamenti della dottrina. 3. I riferimenti sparsi nell’ordinamento. 4. Prospettive di epifania tra solidarietà e sostenibilità sociale. 5. Considerazioni ricostruttive intorno ai termini di rilevanza del fenomeno.

 

1. Le strette relazioni di vita: descrizione del fenomeno

 

Nel linguaggio corrente, la formula “convivenze” viene utilizzata per compendiare una vasta casistica di rapporti interpersonali. Il riferimento più praticato è quello per indicare le convivenze similconiugali, tradizionalmente note come “convivenze more uxorio” e, dopo la legge 20 maggio 2016, n. 76, come “convivenze di fatto” in senso proprio [1]. Si riportano a tale alveo i rapporti di coppia che reiterano, sul piano fattuale, il modello di vita coniugale; dunque, si estrinsecano in guisa di un vincolo amoroso, postulando la condivisione di scelte intime ed esistenziali tra due persone non unite da vincoli pregressi di coniugio, ovvero di parentela o affinità [2]. La realtà sociale conosce, però, anche “altre” forme di “convivenza”, che nascono da “strette relazioni di vita [3] diverse da quelle sentimentali, ma non per questo sono animate da legami meno profondi. Il fenomeno è rimasto poco esplorato, sebbene abbia origini non recenti; ancora oggi, si presenta al di fuori di schemi formalizzati con lineamenti che attendono una più compiuta definizione.

La presente analisi si prefigge di sondare le esperienze di vita convissuta che si svolgono al di fuori del matrimonio e, più generale, dello schema paraconiugale, per cercare di ricostruirne la fisionomia e capire quale spazio abbiano a disposizione all’interno dell’ordinamento [4].

Lo scenario è composito. Una scriminante di fondo è l’integrazione dei sessi, giacché si possono distinguere relazioni per cui questo elemento assume rilevanza, e quelle che invece ne prescindono [5]. La scelta, in questa sede, è di indagare i rapporti che non si identificano costitutivamente in forza di un’intesa sessuale, né di un legame amoroso. Pur dentro questo perimetro, lo spaccato si presenta variamente assortito: trovano posto fattispecie sorrette da vincoli di parentela o affinità; si fanno spazio, altresì, le aggregazioni di “amicizia” in senso lato, che hanno lo scopo di alimentare il sostegno materiale e/o affettivo tra i rispettivi componenti. Nel tentativo di fornire una rappresentazione quanto più esaustiva possibile, si tratteggia una cornice affollata da relazioni che possono essere spontanee, poiché nascono su base volontaria; necessitate dallo stato di bisogno, di supporto economico o dell’altrui assistenza; ancora, costituite all’interno di agglomerati organizzati, se non addirittura istituzionalizzati, volti a raggruppare persone che condividono i medesimi interessi e cooperano per realizzare un progetto comune. Non è chiaro se possano essere ricondotte alle strette relazioni di vita anche le fattispecie che si dispiegano, non già in via fattuale, ma sulla scorta di un apposito titolo negoziale, in base al quale il rapporto è suscettibile di qualificarsi come gratuito o di scambio. In questa seconda eventualità, le parti potrebbero assumere l’impegno di prestarsi aiuto reciproco e vicendevole, oppure l’uno potrebbe obbligarsi ad accudire l’altro in cambio di una controprestazione economica. È questo il caso, ad esempio, della relazione tra il/la badante e l’assistito, che si esplica sulla base di uno specifico contratto di lavoro; ovvero, della relazione che nasce, e si giustifica, in forza di un contratto di mantenimento, o vitalizio improprio. Si potrebbero, poi, aggiungere anche i casi di convivenza derivanti da misure di amministrazione di sostegno, curatela o tutela, dove la variabile è data dallo stato di capacità dei conviventi e, conseguentemente, dalla adozione di apposite misure di protezione [6].

Nel concreto, si hanno di fronte relazioni tra soggetti che, da un lato, condividono le spese e il lavoro domestico; dall’altro lato, si accudiscono reciprocamente assistendosi nella cura della persona, ovvero offrendosi compagnia e conforto. In questi frangenti, la relazione risponde a esigenze di convenienza economico-organizzativa, ovvero a bisogni di natura fisica o spirituale. Le motivazioni possono essere le più disparate, ma al fondo si scorge una finalità comune, che presenta una valenza spiccatamente solidaristica. L’unione sorge con lo scopo di consentire ai suoi componenti di prestarsi mutuo soccorso nel fronteggiare le difficoltà quotidiane e condurre una vita dignitosa.

Dentro al panorama così tratteggiato prende vita il fenomeno del c.d. cohousing, che affonda le radici nei sistemi della Scandinavia e di altri Paesi del Nord Europa, oltre che di Stati Uniti, Canada, Giappone e Australia. Questa figura, pur essendo approdata nel nostro ordinamento, non riceve ancora un inquadramento certo né una disciplina organica. Stando alle prime elaborazioni che affiorano in sede pretoria, il cohousing sembrerebbe delineare un modello coabitativo ispirato a “reciproca diretta cooperazione” tra persone “che, senza essere legate da vincoli o legami parentali, scelgono di risiedere in un’unica unità immobiliare della quale condividono gli spazi comuni”. L’esperienza si presta a diverse declinazioni, potendo trovare applicazione tanto nelle relazioni tra giovani quanto tra anziani, anche per fronteggiare situazioni di disagio o disabilità. In ogni caso, individua un “fenomeno spontaneo di aggregazione”, che si definisce secondo “le direttrici dell’incoraggiamento della socialità, dell’aiuto reciproco, dei rapporti di buon vicinato, della riduzione della complessità della vita, della sua migliore organizzazione con conseguente diminuzione dello stress, della riduzione dei costi di gestione delle attività quotidiane”. Dunque, si caratterizza per “un alto livello di condivisione delle scelte, […] legami di collaborazione e socialità, […] condivisione di molti spazi e servizi”; al fondo, si connota all’insegna della “volontarietà della condivisione abitativa, in condizione di piena autosufficienza e senza l’intermediazione di soggetti terzi esterni a detta esperienza [7].

Di fronte a un assetto come quello dianzi descritto, si intuisce che le strette relazioni di vita ben possono coinvolgere una pluralità di soggetti, aprendosi alla dimensione di gruppo o di comunità. La fluidità della società moderna porta così ad emersione situazioni relazionali che si allontanano dal paradigma di coppia, mettendo in tensione la fisionomia della convivenza similconiugale, quale convivenza socialmente tipica, sia sotto il versante del legame sentimentale, sia sotto il versante della dualità del rapporto.

Il tema è delicato e serve cautela. Si rende opportuno soppesare il significato del termine “convivenze” che viene invocato quando si discorre di strette relazioni di vita [8], precisando che questa terminologia non appare del tutto appropriata, giacché rischia di ingenerare accostamenti equivoci o fuorvianti rispetto al fenomeno delle convivenze paraconiugali.

Intanto, la convivenza è tale in quanto non venga confusa con la mera coabitazione. La coabitazione si risolve nella condivisione della medesima dimora, senza ulteriori implicazioni; può essere abituale, provvisoria oppure occasionale. La convivenza, al contrario, implica la comunione di vita e interessi tra coloro che vi prendono parte, così da escludere che possa trattarsi di un fenomeno episodico. Non si trascura che l’attuale costume sociale volge ad ammettere la convivenza similconiugale anche quando questa non si svolga sotto il medesimo tetto. Secondo un’interpretazione recente, la vita quotidiana dentro le stesse mura domestiche sembrerebbe costituire un “dato recessivo[9]; posizioni più rigorose ribadiscono la necessità che i soggetti coinvolti nella relazione condividano quanto meno un punto di ritrovo abituale, ancorché non adibito a dimora quotidiana [10]. Rispetto alle strette relazioni di vita, si deve allora fare i conti con l’interrogativo se possa assecondarsi un tale atteggiamento, o si debba invece tenere ferma la coabitazione quale elemento essenziale perché si possa riconoscere rilevanza al rapporto [11].

Non tutte le convivenze, poi, sono significative per l’ordinamento. Si richiede che i conviventi esprimano “una qualche […] opzione volitiva di imprimere alla coabitazione e alla comunanza di vita […] una sorta di “valore aggiunto” in senso qualificativo della convivenza stessa [12]. A fare la differenza è il fatto di trovarsi davanti a un sostrato condiviso di vita, esperienze e interessi, così da far ritenere il rapporto “primario”, ovvero “qualificato” in termini differenziali nella sfera sociale del soggetto. Allo stesso tempo, sembra imprescindibile che la relazione si colori all’insegna della stabilità, o quanto meno persegua tale vocazione in termini di durata[13].

L’eterogeneità delle ipotesi in esame rende palese, in ultimo, la difficoltà di sondare i presupposti al sussistere dei quali si possono riguardare relazioni tanto diverse dentro una visione unitaria, ovvero si rende opportuno adottare approcci diversi. L’ordinamento si mostra tanto più lacunoso quanto più la persona coinvolta sia priva di una rete di legami di parentela, affinità o adozione, non risulti sottoposta a misure di protezione né, ad un tempo, sia posta in carico ai servizi sanitari e sociali. Non si nega, invece, che i rapporti che si sviluppano dentro la trama familiare costituiscono oggetto di maggiore attenzione da parte del diritto positivo; non di meno, spesso lo sono a prescindere dalla sussistenza di un rapporto di convivenza, ovvero anche solo di coabitazione [14]. Quel che interessa è capire fino a che punto sia consentito propendere per una tutela differenziata al fine di privilegiare il nucleo di solidarietà che può rinvenirsi all’interno di un rapporto familiare, a discapito di altri nuclei di pari intensità che possono scorgersi nell’ambito di rapporti di diversa natura.

 

2. Le proposte di regolamentazione rimaste incompiute e i recenti orientamenti della dottrina

 

Le strette relazioni di vita, diverse da quelle similconiugali, individuano un’area priva di una sistemazione giuridica. Non sarebbe però corretto asserire che l’ordinamento è finora rimasto insensibile alle istanze di tutela provenienti da questa realtà di rapporti. Una tale affermazione troverebbe più d’una smentita.

Da una sommaria ricognizione emerge, anzitutto, il contributo proveniente dalla legislazione regionale. Non sono pochi i provvedimenti che enunciano un certo favor per la platea di “convivenze” istituite con finalità di solidarietà o mutuo aiuto, talora anche con prescrizioni programmatiche o di dubbia precettività [15]. Affiora un certo interesse nella materia relativa all’assegnazione degli alloggi di edilizia residenziale pubblica: a titolo d’esempio, si ricorda l’esperienza della regione Lazio, che, con la legge 6 agosto 1999, n. 12, si è assunta l’impegno di porre rimedio al sottoutilizzo delle unità abitative in regime di edilizia residenziale pubblica promuovendo“forme di convivenza solidale […] dirette a fronteggiare: a) comprovate situazioni di fragilità socio-economica o di non autosufficienza; b) necessità di assistenza materiale e morale di persone affette da handicap psicofisici o da disturbi psichiatrici o anziane sole con particolari situazioni socio-economiche o a rischio di isolamento sociale” (art. 12-bis, rubricato “Convivenza solidale”) [16].

Mantenendo il focus sulle fonti territoriali, si rammenta altresì il contributo di alcuni Comuni italiani, che in passato hanno provveduto a istituire un “registro delle unioni civili”, con la funzione di certificare pubblicamente una condizione soggettiva di convivenza. L’iscrizione non aveva l’effetto di creare un nuovo status civile, ma di attestare una condizione giuridicamente rilevante per il singolo Comune, cui l’ente ricollegava una serie di benefici sociali di competenza locale. Tra le iscrizioni previste, si faceva menzione della registrazione delle c.d. unioni di mutuo aiuto, definite in genere quali unioni “tra due persone coabitanti da almeno un anno per motivi di reciproca assistenza morale e/o materiale ed aventi dimora abituale nel Comune [17].

Spostando l’attenzione sul piano delle fonti statali, nel tempo si sono succeduti diversi progetti di legge volti a regolare il fenomeno delle “convivenze” tout court. Tra questi, un numero non esiguo ha lambito i confini delle relazioni di solidarietà: viene in evidenza, per fare un esempio, il Disegno di legge n. 909 del 3 luglio 2013, che prevedeva di introdurre uno statuto normativo flessibile e leggero di diritti essenziali anche per le unioni basate su esigenze solidaristiche, denominandole “unioni di mutuo aiuto[18]. Tali proposte, tuttavia, non si sono concretizzate. L’iter legislativo, come è noto, si è concluso con l’approvazione della legge 20 maggio 2016, n. 76, che ha inquadrato dentro un assetto normativo soltanto le convivenze paraconiugali. Infatti la novella, al comma 36, raccorda la figura dei conviventi di fatto al riscontro di “legami affettivi di coppia e di reciproca assistenza morale e materiale”, espungendo dal perimetro applicativo qualunque relazione fondata su “reciproci rapporti di parentela, affinità o adozione”, ovvero avente natura diversa da quella sentimentale [19].

Malgrado questa battuta d’arresto, le strette relazioni di vita continuano a reclamare riconoscimento. Spunti interessanti si rinvengono nella legislazione speciale, ancorché si tratti di interventi mirati a rispondere ai bisogni di alcune porzioni della società, che si identificano perlopiù con persone affette da disabilità e anziane. Sotto il primo versante, si segnala la legge 22 giugno 2016, n. 112 recante “Disposizioni in materia di assistenza in favore delle persone con disabilità grave prive del sostegno familiare” (c.d. “Dopo di noi”), che ha previsto la costituzione di un fondo per l’assistenza alle persone con disabilità grave prive del sostegno familiare, destinandolo, inter alia, alla realizzazione di “interventi innovativi di residenzialità per le persone con disabilità grave di cui all’articolo 1, comma 2, volti alla creazione di soluzioni alloggiative di tipo familiare e di co-housing, che possono comprendere il pagamento degli oneri di acquisto, di locazione, di ristrutturazione e di messa in opera degli impianti e delle attrezzature necessari per il funzionamento degli alloggi medesimi, anche sostenendo forme di mutuo aiuto tra persone con disabilità[20].Sul secondo versante, si evidenzia l’approvazione della legge 23 marzo 2023, n. 33, contente “Deleghe al Governo in materia di politiche in favore delle persone anziane”, che, ai sensi dell’art. 2, lett. m), nel quadro dei principi e criteri direttivi per una riforma delle misure di sostegno a favore delle persone vulnerabili, ha incluso la ”riqualificazione dei servizi di semiresidenzialità, di residenzialità temporanea o di sollievo e promozione dei servizi di vita comunitaria e di coabitazione domiciliare (cohousing), nei limiti delle compatibilità finanziarie di cui alla presente legge”.

Nell’attesa che il legislatore torni a prendere posizione con interventi di più ampio respiro, una parte della dottrina apre all’applicazione a favore dei soggetti legati da relazioni qualificate su base non sentimentale di tutele analoghe a quelle dettate per i conviventi similconiugali [21]. L’ipotesi si fa concreta riguardo alle prerogative che, pur rivolgendosi ai conviventi di fatto, trovano una ratio più profonda nella finalità di promuovere i sodalizi di vita a prescindere dal numero e dal genere dei rispettivi componenti. Si pensi, a titolo d’esempio, al diritto di visita nelle carceri, ovvero al diritto di accesso e assistenza presso le strutture sanitarie in caso di malattia del partner: sulla premessa che simili previsioni mirano a promuovere la solidarietà che governa le relazioni sociali, non si fatica ad ammettere che ne possano godere anche coloro che siano legati da rapporti diversi da quelli di convivenza similconiugale.

Un tale approccio appare però scivoloso, giacché, ove portato alle estreme conseguenze, potrebbe condurre ad assimilare alla convivenza tradizionale rapporti che sono invece diversi per conformazione intrinseca; assimilazione che, peraltro, risulterebbe per buona parte rimessa all’interprete. Il passo, per questa via, è breve perché si giunga ad annacquare il nucleo identificativo delle convivenze così come finora conosciute e della relativa disciplina, rendendo fumosa la percezione del confine tra fattispecie che sottendono rapporti e interessi diversi.

 

3. I riferimenti sparsi nell’ordinamento

 

Di là delle prospettazioni enunciate, non sembra si possa contestare che alcune delle tutele divisate nell’ordinamento si prestano ad essere comuni a formazioni sociali aventi diversa geometria. L’approccio non è tanto quello di chi constata le tutele a favore dei conviventi paraconiugali, e da queste risale a quelle valide anche per “altri conviventi”. Si prende atto bensì che l’ordinamento contiene prerogative che, per come concepite, sono o possono ritenersi già in sé rivolte a un bacino di “conviventi” più ampio, che trascende la dimensione del rapporto di coppia; ciò sulla base di quanto emerge dal dato testuale, ovvero dal percorso interpretativo che le corti hanno compiuto per arrivare ad una loro definizione. Di seguito, si proverà a sintetizzare i riferimenti che acquistano maggiore significatività.

Spunti interessanti si colgono sul terreno delle norme sociali e giuslavoristiche, ove l’interesse primario è rappresentato da una finalità assistenziale a sostegno del soggetto debole. In questo contesto, il legislatore è solito calibrare i benefici estendendoli non solo ai componenti della famiglia nucleare, coniuge e figli, ma anche ai parenti e affini entro un certo grado; altresì, ci si avvede di una certa apertura verso il “convivente” in senso lato. Si pensi, per fare un esempio, alla disposizione di legge che attribuisce la priorità nella trasformazione del contratto di lavoro da tempo pieno a tempo parziale alla “persona convivente”, senza ulteriori qualificazioni, con un soggetto affetto da totale e permanente inabilità lavorativa nei termini individuati dall’art. 3, comma 3, della legge 5 febbraio 1992, n. 104, che abbia necessità di assistenza continua non essendo in grado di compiere gli atti della vita quotidiana [22]. Qui, non vi è spazio per dubitare che la “persona convivente” sia legata al soggetto debole da un legame diverso da quello affettivo che anima la convivenza paraconiugale, giacché, a seguito della modifica introdotta con d. lgs. 30 giugno 2022, n. 105, il convivente di fatto è fatto oggetto di separata menzione [23].

Uno spiraglio potrebbe intravedersi anche rispetto al trattamento previdenziale di reversibilità, che, ad oggi, nel nostro ordinamento compete al coniuge (o unito civilmente), ai figli ovvero ad altri appartenenti alla famiglia parentale. La prestazione pensionistica di reversibilità spetta in costanza di due presupposti, la “vivenza a carico” e lo “stato di bisogno”, da riferire al soggetto istante nei rapporti con il de cuius. Tali presupposti lasciano trasparire che la prestazione, alla radice, è preordinata ad assicurare ai superstiti la continuità del sostentamento dopo il decesso del lavoratore, quale esigenza di protezione che, in sé considerata, sembra andare oltre il vincolo coniugale, ovvero il legame parentale in senso stretto. Su queste basi si raccolgono sollecitazioni, per quanto finora disattese, volte a estendere la pensione di reversibilità anche ai conviventi, in primis a quelli similconiugali. La stessa Corte costituzionale, nel suo argomentare, riconosce che “la nozione di famiglia, presa in considerazione dal regime generale previdenziale […], non é quella ristretta alla famiglia che si costituisce con il matrimonio, con i vincoli di consanguineità e di affinità. La tutela previdenziale riguarda anche quei rapporti assistenziali che si atteggiano in modo simile a quelli familiari a condizione che il lavoratore defunto provvedesse in vita, in via non occasionale, al sostentamento di soggetti classificabili come "familiari". […] Non si richiede essenzialmente nemmeno la convivenza. Invero la convivenza non esclude la possibile autonomia socio-economica del soggetto che, pertanto, non beneficia del trattamento previdenziale, mentre la mancanza di convivenza non esclude anche la sopportazione del carico. Quello che si richiede é proprio quest’ultima condizione, intendendosi per "vivenza a carico" la cura del sostentamento del "familiare" in modo continuativo e non occasionale, in adempimento di uno specifico obbligo giuridico o di un mero dovere[24].

Ricercando spunti nel codice civile, si apre uno scorcio nella materia delle misure di protezione dei soggetti privi in tutto o in parte di autonomia. La disciplina codicistica, per come formulata dopo la legge 9 gennaio 2004, n. 6, riconosce al convivente, insieme a parenti e affini entro i gradi indicati dalla legge, la legittimazione a chiedere l’applicazione delle misure stesse, nonché la eleggibilità ad amministratore di sostegno, curatore o tutore. Letteralmente si fa uso dell’espressione “persona stabilmente convivente [25], sotto la quale si è soliti riportare il convivente more uxorio, e, dopo la legge n. 76 del 2016, il convivente di fatto (commi 47-48). Una parte dell’opinione insiste per ricondurvi, altresì, i soggetti stabilmente conviventi, ancorché non familiari in senso stretto, ovvero non coinvolti in un rapportosimilconiugale [26]. Un ambiente nel quale si avverte il bisogno di allargare la platea dei soggetti legittimati a richiedere l’apertura di una misura di protezione (in particolare, l’amministrazione di sostegno) è quello delle congregazioni religiose, i cui membri raggiungono sempre più spesso un’età avanzata in condizioni di solitudine dal contesto familiare d’origine. È diffusa, in questo spaccato di società, la necessità di valorizzare il vincolo che lega i confratelli e/o le consorelle non come semplice condivisione di convinzioni religiose, ma più in generale come esperienza di vita all’interno della medesima congregazione; e, certamente, una simile lettura sarebbe conforme alla disciplina delle misure di protezione, che mira ad abbracciare coloro che abbiano conoscenza diretta della persona beneficiaria e, quindi, siano in grado di interpretare al meglio la sua volontà e i suoi bisogni [27].

Un altro terreno fertile per ipotizzare forme di tutela a favore delle persone legate da strette relazioni di vita si ravvisa intorno alla disciplina degli immobili adibiti ad uso abitativo [28]. A tale proposito, viene in evidenza la disciplina delle locazioni portata dalla legge 27 luglio 1978, n. 392. L’ art. 6, comma 1, della legge, già nella sua versione originaria, stabiliva che “In caso di morte del conduttore, gli succedono nel contratto il coniuge, gli eredi ed i parenti ed affini con lui abitualmente conviventi”. Esprimendosi in questi termini, il legislatore ha inteso tutelare la convivenza di un aggregato esteso di persone, che, andando oltre i confini della famiglia nucleare e parentale, ricomprenda anche gli estranei, potendo gli eredi essere tali, nonché i parenti senza limiti di grado e finanche gli affini, a condizione che risultino “abitualmente” conviventi con il conduttore. La Corte costituzionale, con la sentenza 7 aprile 1988, n. 404, ha poi dichiarato l’illegittimità della norma laddove non ricomprendeva, nell’elencazione dei successori nel contratto di locazione per morte del conduttore, chi al titolare originario del contratto fosse legato more uxorio nella stabile convivenza. Si può concludere, pertanto, che oggi la legge appresta tutela ai conviventi abituali del conduttore, pur in presenza di rapporti di natura diversa che li legano a quest’ultimo (coniugio, convivenza more uxorio, parentela o affinità, finanche mera istituzione di erede). Quel che più interessa, la Corte costituzionale ha ricostruito la ratio legis in termini di salvaguardia del bene primario dell’abitazione e dell’abituale convivenza che ivi si svolge, proclamando l’apertura a forme estese di convivenza [29]. A tutti gli effetti, l’oggetto assunto a tutela dalla legge è dunque “quel dovere di solidarietà sociale, che ha per contenuto l’impedire che taluno resti privo di abitazione, e che qui si specifica in un regime di successione nel contratto di locazione, destinato a non privare del tetto, immediatamente dopo la morte del conduttore, il più esteso numero di figure soggettive, anche al di fuori della cerchia della famiglia legittima, purché con quello abitualmente conviventi [30].

Un ulteriore richiamo può essere indirizzato ai contratti di locazione che contengono, oltre al divieto di sublocazione, anche clausole che vietano l’ospitalità non temporanea e protratta nel tempo di persone estranee al nucleo familiare anagrafico, così esercitando il controllo sulle relazioni che si svolgono dentro le mura domestiche del conduttore. Il giudice civile non ha esitato a sanzionare simili previsioni con la nullità, riconoscendo come le stesse si pongano in conflitto con “l’adempimento dei doveri di solidarietà che si può manifestare attraverso l’ospitalità offerta per venire incontro ad altrui difficoltà, oltre che con la tutela dei rapporti sia all’interno della famiglia fondata sul matrimonio sia di una convivenza di fatto tutelata in quanto formazione sociale, o con l’esplicazione di rapporti di amicizia[31]. In tale frangente il diritto vivente si impegna, ancora una volta, ad accordare protezione a tutti i soggetti coinvolti in rapporti non solo di coppia, ma anche affettivi in senso lato o di mera amicizia.

Una casistica interessante si va, poi, formando rispetto alle previsioni contenute nei regolamenti di condominio, con cui vengono apposte restrizioni al godimento dei singoli condomini sulle rispettive unità immobiliari di proprietà esclusiva. Non è raro il caso di clausole che prescrivono di “adibire gli appartamenti ad uso di civile abitazione o di studi o uffici professionali privati”, nonché sanciscono “il divieto di destinare gli stessi a stanze ammobiliate d'affitto, pensioni e locande”; più in generale, vietano di svolgere “industrie, professioni, laboratori, commerci, arti e mestieri” a tutela dell’igiene, della tranquillità e del decoro del condominio, altrimenti subordinando un tale utilizzo all’adozione di un’apposita delibera assembleare. Simili clausole, secondo l’avviso del giudice civile, sono da ritenersi legittime [32], pur quando vincolino al punto di “consentire le sole abitazioni private, e non anche l’uso ad abitazioni collettive di carattere stabile, ivi comprese le residenze assistenziali rivolte agli anziani, in forma di case di riposo, case famiglia o anche comunità alloggio[33]. Sennonché, non è sempre facile discernere se ricorra l’esercizio di un’attività imprenditoriale, quale potrebbe essere la gestione di una casa di cura e riposo alla stregua di attività alberghiera, oppure una coabitazione in regime di stabile residenza, soprattutto quando le persone anziane sono ospitate all’interno dei locali di un appartamento in condominio per una durata minima non breve. In simili frangenti, si cerca comunque di assicurare tutela a favore delle convivenze che si vengono a instaurare, ritenendo configurata un’esperienza di cohousing laddove il dato concreto consenta di considerare “prevalente, rispetto alla messa a disposizione dell’alloggio, il carattere socio assistenziale”e, altresì,si ravvisi la destinazione “a creare una abitazione confortevole e duratura per anziani autosufficienti[34].

Altri orizzonti si aprono, infine, nel campo della responsabilità aquiliana, quando sia in gioco il risarcimento dei danni derivanti dalla morte, ovvero dalla lesione materiale, cagionata al convivente per condotta illecita del terzo. Questa prerogativa, di cui si ritengono da tempo titolari i conviventi more uxorio [35], è oggi sancita positivamente per i conviventi di fatto [36]. Più in generale, la stessa prerogativa è estesa a chiunque intrattenga (o intrattenesse) con la vittima, lesa o deceduta per fatto illecito del terzo, un rapporto di reciproco sostegno morale e materiale, caratterizzato da una certa solidità, almeno in termini prognostici, così da attribuire rilievo alla sfera relazionale della persona in quanto tale. Infatti, il diritto vivente allarga la legittimazione ad agire in sede risarcitoria ai “prossimi congiunti” della vittima primaria, definiti “quali soggetti danneggiati iure proprio a cagione del carattere plurioffensivo dell’illecito”, uniti alla vittima stessa da “un saldo e duraturo legame affettivo […]”, “a prescindere dall’esistenza di rapporti di parentela o affinità giuridicamente rilevanti come tali”, con la precisazione che “la convivenza non ha da intendersi necessariamente come coabitazione, quanto piuttosto come stabile legame tra due persone, connotato da duratura e significativa comunanza di vita e di affetti [37]. In questo campo, la giurisprudenza civile ha finanche riconosciuto agli enti religiosi la legittimazione a richiedere il risarcimento del danno qualora un appartenente alla loro congregazione resti vittima del fatto illecito di un terzo [38].

 

4. Prospettive di epifania tra solidarietà e sostenibilità sociale

 

Le comunioni di vita che traggono origine da relazioni non sentimentali spingono, come si è visto, per uscire dal cono d’ombra. Si affaccia allora la questione se tale novero di rapporti sia meritevole di riconoscimento, in conformità all’assiologia costituzionale, ed entro quali termini.

Nello sforzo di estrapolare le coordinate che potrebbero guidare, o quanto meno, ispirare l’approccio al tema, pare opportuno muovere dalla considerazione che le relazioni in esame delineano un arcipelago di rapporti liberi nella forma, struttura e intensità. Le relazioni di vita non sentimentali si candidano così a trovare sostegno all’art. 2 Cost., laddove l’ordinamento si proclama aperto ad accogliere le più diverse formazioni sociali, impegnandosi ad assicurare al loro interno le istanze inviolabili della persona [39]. Il punto è di intendere quando una stretta relazione di vita sia idonea ad assumere tale rilievo. Una formazione sociale, secondo la giurisprudenza costituzionale, è “ogni forma di comunità, semplice o complessa, idonea a consentire e favorire il libero sviluppo della persona nella vita di relazione, nel contesto di una valorizzazione del modello pluralistico[40].Le aggregazioni, anche di fatto, possono dunque assurgere al livello di tutela costituzionale ove siano teleologicamente orientate a fungere da luogo di armonico sviluppo della personalità di ognuno. Stabilire la soglia minima di rilevanza resta comunque un’operazione delicata, che sconta il vaglio di liceità dell’unione in relazione all’ordine pubblico; proprio su questo terreno, dovranno concentrarsi gli sforzi dell’interprete.

Le comunioni di vita, in particolare quelle animate da finalità di mutua assistenza, possono poi aspirare a trovare copertura all’art. 2 Cost. anche per la parte in cui l’ordinamento garantisce l’adempimento dei doveri inderogabili di solidarietà. Infatti tali comunioni di vita costituiscono, per loro stessa natura, manifestazione concreta di comportamenti solidaristici nei rapporti tra privati; in questi termini, si è avuto dimostrazione che sono apprezzate anche nella prassi. Resta inteso che il principio solidaristico opera in sinergia con altri principi costituzionali: da un lato, va coordinato con il principio di uguaglianza e non discriminazione; dall’altro lato, si contempera alla luce delle istanze di proporzionalità e ragionevolezza che innervano il nostro ordinamento [41].

Nell’attuale assetto, la solidarietà sembra saldarsi strettamente al principio di sostenibilità [42]; proprio questo principio potrebbe offrire un ulteriore indice di riconoscimento delle strette relazioni di vita.  La sostenibilità è transitata, nel breve periodo, dal piano della politica e dell’etica a quello più strettamente giuridico, assumendo i contorni di un vero e proprio principio di diritto. Originariamente, ha trovato la sua genesi sul terreno dell’ecologia, dove si declina come impegno a preservare le risorse naturali per i bisogni delle future generazioni [43]. Oggi, si articola sempre più in accezioni afferenti al settore economico-finanziario [44] e lambisce, altresì, il piano della organizzazione sociale [45]. Sembra così emergere una nozione di sostenibilità avente portata generale, che spinge l’ordinamento ad avanzare nella tutela della identità e dignità della persona umana, anche all’interno della sfera relazionale. Specialmente quando siano in gioco i diritti inviolabili dell’uomo, la sostenibilità sollecita a costruire una società fondata sui valori primari di giustizia, equità, uguaglianza e pari opportunità.

Secondo l’accezione comunemente accolta, la sostenibilità imprime la spinta a cercare soluzioni a lungo termine, ponderando le scelte regolatorie in funzione del benessere non solo della collettività attuale, ma anche delle generazioni a venire. Gli obiettivi si coniugano a politiche di prevenzione e responsabilità, ispirate alla cura degli interessi e dei bisogni intergenerazionali. La sostenibilità, ad un tempo, induce a misurarsi con sfide su scala globale,“a livello di grandi numeri e di risultati complessivi[46]. Pone dinanzi a “questioni che superano la dimensione territoriale, anzi ne sono in qualche misura indipendenti, e debbono essere quindi governate in una prospettiva globale[47]. Se quanto fin qui detto è vero, basta poco per avvedersi che la sostenibilità, soprattutto ove applicata al campo dei rapporti sociali, si presta a declinarsi anche in termini “capillari, fino a permeare i comportamenti individuali e le relazioni puntuali all’interno della società”, così da aprire “una prospettiva concreta di recupero delle ragioni sostanziali della persona[48]. Significa che, quando lo sguardo volge all’assetto dei rapporti sociali, l’uomo non è più visto soltanto come il destinatario finale di politiche “green” e di innovazione tecnologica finalizzate a consegnare alle future generazioni un ecosistema in equilibrio e un’economia efficiente, ma diviene il centro dell’azione pubblica. La prospettiva inevitabilmente si accorcia e la sostenibilità invita ad adottare scelte regolatorie con effetti immediati e diretti sulla realtà quotidiana.

Nel prisma di uno sviluppo sostenibile, potrebbe allora trovare spazio il riconoscimento dei rapporti animati da mutuo aiuto. Su questo terreno il diritto privato, in quanto diritto che governa i rapporti inter privates, potrebbe giocare un ruolo importante al fine di orientare l’ordinamento verso obiettivi di sostenibilità [49]. Soprattutto, se si considera che il dibattito intercetta un bisogno di solidarietà che è presente, in forma diffusa, nei diversi luoghi e a diversi livelli del tessuto sociale [50].

 

5. Considerazioni ricostruttive intorno ai termini di rilevanza del fenomeno

 

Nel convergere verso l’apertura alle relazioni qualificate su basi diverse da quelle sentimentali, gli aspetti da soppesare non sono pochi, e così anche le perplessità.

Si è chiamati a dirimere la perenne tensione tra libertà e responsabilità. Nell’ambito di rapporti improntati a serietà e reciproco affidamento, si rende avvertito il bisogno di proteggere i soggetti coinvolti, soprattutto quando versino in posizione di debolezza. Non di meno, quanto più il legislatore si ingerisce nella sfera delle parti, tanto più si rischia di sacrificare l’autonomia privata.

Si profila la scelta tra due opzioni: rendere la disciplina eteronoma automaticamente applicabile, ovvero rimettere alle parti l’onere di rendere un’apposita dichiarazione in tal senso. La riflessione ricalca, per buona parte, gli itinerari già battuti dalla dottrina riguardo alle convivenze similconiugali. Non si omette, però, di osservare che le ipotesi di nuova estrazione si declinano secondo tratti peculiari, che richiedono un approccio ispirato a diversa sensibilità. Nel primo caso le relazioni non sentimentali, sulle orme di quanto si è verificato per le convivenze paraconiugali, acquisterebbero rilevanza sol che si realizzino in concreto i presupposti. Una tale conclusione, come è implicito, presuppone di avere chiare le sembianze che le strette relazioni di vita devono esibire perché siano riconoscibili come tali. Così però non è, giacché le relazioni di cui si discorre sono suscettibili di concretizzarsi secondo fattezze e contenuti diversi. Il rischio è che si finisca per attrarre dentro la disciplina legale soggetti che preferirebbero muoversi sul piano della condotta spontanea. Per ovviare a ciò, l’alternativa è di subordinare il riconoscimento a un’espressa manifestazione d’intenti, così da valorizzare l’autodeterminazione dei soggetti coinvolti. Neppure questa seconda opzione va però esente da profili critici, poiché finisce per rimettere alla parte forte la scelta se attribuire o meno rilevanza al rapporto, a scapito delle ragioni di quella più debole.

Quand’anche si ipotizzi di agganciare il riconoscimento delle strette relazioni di vita ad una manifestazione esterna, si profila l’alternativa tra la predisposizione di appositi adempimenti, ovvero il ricorso a quelli esistenti.

Supponendo di ragionare secondo gli istituti già presenti nel nostro ordinamento, si suggerisce la tesi che questi rapporti vadano registrati, o quanto meno siano registrabili, come famiglie anagrafiche. La famiglia anagrafica, si ricorda, costituisce un “insieme di persone legate da vincoli di matrimonio, unione civile,parentela, affinità, adozione, tutela o da vincoli affettivi, coabitanti ed aventi dimora abituale nello stesso comune[51]. Richiamando il concetto di famiglia anagrafica, si vuole significare che i soggetti devono nutrire un legame solidaristico tanto significativo da poter essere considerato affettivo [52]. Il riferimento riporta sul terreno frequentato da chi, da tempo, si interroga intorno alla definizione di famiglia, ovvero di mera vita familiare [53]. La famiglia individua un concetto, pregiuridico o metagiuridico, tutt’altro che univoco, che non può essere esaurientemente indagato in questa sede. Mantenendoci aderenti al piano normativo, la nozione riceve una declinazione “pluralistica”, ad assetto variabile, che impone all’interprete di ponderare il riferimento alla dimensione familiare in relazione al settore di riferimento e alle istanze perseguite in sede di politica del diritto; per questo motivo, non è facile da intendere nella sua esatta portata [54]. Pur limitando il discorso al concetto di famiglia anagrafica, non può non avvertirsi un certo stridore quando nella materia delle comunioni di vita non sentimentalici si imbatte nell’utilizzo di espressioni che evocano, anche solo latamente, la dimensione familiare. Il rinvio alla “famiglia anagrafica” non appare convincente neppure ove si metta conto che tale registrazione raggruppa anche le persone legate da “vincoli di matrimonio”, “unione civile” ovvero da una convivenza similconiugale, sicché si finirebbe, ancora una volta, per assimilare sotto il medesimo titolo agglomerati diversi. Riferendoci alle comunioni di vita solidale, si prende atto che dentro a questi nuclei si fa esperimento della condivisione di vita domestica; tuttavia, possono mancare altri elementi che connotano l’accezione di famiglia, come l’intimità sessuale e l’apertura alla prole [55]. Se il legame affettivo è presente alla base dei più disparati sodalizi umani, diverse possono essere le componenti del rapporto, quali il grado di intimità, la progettualità e le potenzialità per il futuro, l’ufficialità e la vincolatività che ne deriva tra i suoi membri, e ancora la stabilità del legame nel tempo. Nel concreto, non è comunque escluso che i rapporti possano combinare fattori di diversa natura, così da addensare sfumature tra cui non è sempre facile districarsi [56]: un esempio di convivenza familiare, seppure in senso ampio, si rinviene nelle unioni solidali che nascono all’interno di rapporti di parentela o affinità.

Per altro verso, si potrebbe avanzare l’idea di registrare le strette relazioni di vita come mere convivenze anagrafiche, definite in guisa di un “insieme di persone normalmente coabitanti per motivi religiosi, di cura, di assistenza, militari, di pena e simili, aventi dimora abituale nello stesso comune[57]. Le convivenze anagrafiche talora nascono dalla condivisione del medesimo programma religioso, ideologico, culturale o educativo (come è per il caso di comunità di recupero, conventi, seminari); talaltra sorgono come forzoso rimedio per assicurare cura e assistenza alla persona (come è per il caso delle residenze per anziani). Secondo alcuni, la convivenza anagrafica potrebbe essere idonea a ospitare al suo interno legami di reciproca solidarietà e assistenza [58]. Per altro verso, vi è chi sostiene invece che essa, reggendosi sul dato della coabitazione per motivi sociali, darebbe luogo soltanto a forme di vita comune contingenti [59].

Da parte la questione di capire come possa dispiegarsi l’attenzione dell’ordinamento nei confronti delle comunioni di vita non sentimentali[60], vi è da decifrare anche il tenore delle prerogative cui i soggetti possono essere ammessi a godere. L’idea è di valorizzare la finalità socio-assistenziale delle strette relazioni di vita, alla stregua di un’iniziativa privata che serve di rinforzo a un tessuto sociale coeso. Si osserva che le esperienze di comunione inter privates, pur condotte all’interno delle mura domestiche, concorrono a offrire un importante sostegno alla persona. Si coglie nei rapporti non sentimentali una primordiale cellula di cooperazione sociale, che l’ordinamento può avere interesse a promuovere nel prisma del principio di sussidiarietà orizzontale, secondo una lettura integrata tra il piano di organizzazione dei servizi sociali e la finanza pubblica in supporto alle funzioni dello Stato sociale.

Da questo angolo visuale, si punta a rafforzare la tutela delle istanze fondamentali della persona. Si avverte la priorità di assicurare tutela al singolo, che dentro le relazioni interpersonali si valorizza uti socius. I cambiamenti demografici in corso sottolineano, infatti, l’esigenza di riguardare il soggetto, oltre che come individuo, secondo la prospettiva tradizionalmente privatistica, anche come componente di aggregati sociali in cui realizza sé stesso insieme ad altri. Resta però inteso che il focus ricade sulla persona, mentre rimane sullo sfondo la formazione sociale cui afferisce, che non pare meritevole in sé di protezione. Il traguardo che ci si pone risponde all’obiettivo di realizzare il connubio tra solidarietà e sostenibilità dentro a un sistema pluralistico, improntato al principio personalista. Questa visione sembra trovare conforto, seppure in nuce, anche nei pochi e disordinati frammenti normativi che si reperiscono nell’ordinamento e che, poco sopra, abbiamo cercato di enfatizzare per ricavare un primo sostrato di tutele valido anche per le “convivenze” non sentimentali.

Se quanto detto finora individua il possibile piano di rilevanza delle strette relazioni di vita per l’ordinamento, ci si domanda, come si accennava anche all’inizio di questo lavoro, se le stesse possano essere regolate in maniera più articolata dai soggetti che le compongono. Lo strumento a disposizione è quello negoziale, con il quale l’autonomia privata potrebbe predisporre clausole relative ai rapporti patrimoniali interni, alla disponibilità della dimora comune o, ancora, ai profili di solidarietà post fine rapporto, salvo capire i limiti entro cui ad essa è consentito esprimersi[61]

Rimane, in ultimo, da chiarire il criterio secondo cui coordinare i rapporti con le fattispecie che assumono connotazioni similconiugali, o addirittura vengono formalizzate all’interno del vincolo matrimoniale o dell’unione civile. Senza cadere in ripetizioni inutili, si rammenta che i riferimenti normativi che si prestano a rivolgersi alle strette relazioni di vita, come è emerso nel corso di questa analisi, sono perlopiù comuni a quelli già previsti per i conviventi paraconiugali. Quanto appena detto non deve però far pensare che l’indirizzo sia nel senso di avallare un avvicinamento tra queste diverse situazioni relazionali. Piuttosto, nel tracciare le linee di uno sviluppo aperto ad ospitare i legami interpersonali qualificati, si dovrà edificare un sistema integrato e graduato di tutele, nel rispetto delle peculiarità di ogni aggregato. In quest’ottica, le strette relazioni di vita potranno individuare il nucleo indefettibile perché l’ordinamento si renda disponibile a garantire la persona nella sua dimensione sociale. Si ipotizza, cioè, che chi si impegna in una convivenza, quale esperienza di comunione di vita e interessi anche non sentimentale, potrà essere ammesso a godere di una soglia minima di tutele. Non di meno, si fa salva l’ipotesi che la persona possa accedere a livelli di tutela più stratificati sulla scorta del diverso apprezzamento che ne fa il legislatore, laddove il rapporto si carichi di una significatività che va oltre il piano della collaborazione a fini assistenziali, attingendo alla sfera intima dei soggetti e proiettandosi nel futuro con una connotazione di progettualità.

 

 

Abstract (ENG):The paper investigates “close relationships” between persons that establish strong bonds of solidarity in a different way from the scheme of marriage or nonmarital partnerships. After regulatory proposals which, over time, remained ignored, the Author looks into the current framework to hypothesize a minimum threshold of protection for such relational situations. The issue is to point out the constitutional basis, as well as the terms and limits, to recognize “close relationships”.

 

Keywords (ENG):close relationship, solidarity, social sustainability.



* Università Cattolica del Sacro Cuore - chiara.prussiani@unicatt.it

** Il contributo è stato sottoposto a double blind peer review.

[1] Il riferimento è alla legge 20 maggio 2016, n. 76, recante la “Regolamentazione delle unioni civili tra persone dello stesso sesso e disciplina delle convivenze”.

[2] Le convivenze similconiugali sono aperte alla sessualità, quale “componente fisiologica” del rapporto di coppia. Non di meno, la vita sessuale potrebbe anche mancare o declinarsi senza il carattere della esclusività, purché i conviventi si riconoscano come unico “punto di riferimento affettivo” e condividano un’intimità caratteristica soltanto dei rapporti di coppia: così G. Buffone, Nozione ed elementi costitutivi, in G. Buffone - M. Gattuso - M.M. Winkler, Unione civile e convivenza. Commento alla l. 20 maggio 2016, n. 76 aggiornato ai dd.lgs. 19 gennaio 2017, nn. 5,6,7 e al d.m. 27 febbraio 2017, Milano, 2017, p. 448.

[3] L’espressione “relazioni strette” o “rapporti stretti di vita” è ripresa da S. Riondato, Introduzione a «famiglia» nel diritto penale italiano, in Diritto penale della famiglia, a cura di Id., nel Trattato di diritto di famiglia, dir. P. Zatti, 2ª ed., Milano, 2011, pp. 67 ss.

[4] Su questo tema, di recente, P. Morozzo della Rocca, Tracce di rilevanza giuridica delle convivenze solidali nel secolo europeo della vecchiaia, in Nuova giur. civ. comm., 1(2023), pp. 160 ss.; prima, Id., La convivenza di diritto civile come alternativa alla prestazione sociale di residenzialità, in Doveri di solidarietà e prestazioni di pubblica assistenza, a cura di Id., Napoli, 2013, pp. 235 ss. Tra gli altri, si vedano anche F. Brunetta d’Usseaux - A. D’Angelo (a cura di), Matrimonio, matrimonii, Milano, 2000; L. D’Adamo, Le convivenze senza matrimonio: diversità di modelli e presupposti di tutela, in Vita notarile, 2001, pp. 1650 ss.; E. Del Prato, Patti di convivenza, in Familia, 4(2002), pp. 959 ss., sp. 975 ss.; G. Autorino Stanzione - P. Stanzione, Unioni di fatto e patti civili di solidarietà. Prospettive de iure condendo, in Il diritto di famiglia nella dottrina e nella giurisprudenza. Trattato teorico-pratico, dir. G. Autorino Stanzione, I, Torino, 2011, pp. 203 ss.

[5] Traccia questa partizione A. Palazzo, Le convivenze: diversità di modelli e ruolo dell’integrazione dei sessi, in Matrimonio, matrimonii, a cura di F. Brunetta d’Usseaux - A. D’Angelo, cit., pp. 135 ss. Sembra quasi superfluo precisare che le intese meramente erotiche, che non perseguono altro scopo se non la soddisfazione di reciproci bisogni sessuali, rimangono indifferenti all’ordinamento. A reclamare riconoscimento sono, piuttosto, quelle relazioni che si definiscono poliamorose, o poliaffettive, che, a differenza delle convivenze similconiugali, coinvolgono più persone spogliandosi del connotato della esclusività di coppia: sul tema, A. Vercellone, Più di due. Verso uno statuto giuridico della famiglia poliamore, in Riv. crit. dir. priv., 4(2017), pp. 607 ss. Questo fenomeno non è da confondere con quello relativo alla poligamia (o poliandria), che rimane impostata su di un modello di vita coniugale ancorché instaurata con due o più partner; al riguardo, Trib. Ancona 2 novembre 2019, n. 1861, in https://dejure.it/#/home(ultimo accesso 7 maggio 2024) ribadisce che “Il nostro ordinamento aderisce ad una visione monogamica del matrimonio e non ammette che chi non abbia libertà di stato possa contrarre nuovo vincolo matrimoniale. Trattandosi di impedimento che risponde a principi di ordine pubblico, lo stesso vale anche per lo straniero, a prescindere dal fatto che il suo ordinamento ammetta la poligamia”.

[6] Si tende, invece, a escludere la convivenza tra studenti fuori sede o colleghi di lavoro, perlopiù ai fini della mera divisione delle spese relative al mantenimento e alla gestione della casa.

[7] T.A.R. Lazio (Roma) 3 febbraio 2022, n. 1286, in One Legale (https://www.wolterskluwer.com/it-it/solutions/one/onelegale?utm_source=google&utm_medium=cpc&utm_campaign=IT-SEM-GoogleAds-Performance-Legale-[SEARCH]-BrandPuro&gad_source=1&gclid=Cj0KCQjw3ZayBhDRARIsAPWzx8oURbr0l54WJAiEMGOHMsy2jvPO659Q2AHetSFxJZFmJsGbQM06t5AaAhXbEALw_wcB- ultimo accesso 7 maggio 2024). Il cohousing, così tratteggiato, si mantiene distinto dalla coabitazione “intermediata da una organizzazione terza che si fa carico anche di erogare prestazioni tipiche dei servizi sociali”, ovvero “prestazioni di assistenza e sostegno […] rientranti nei servizi alla persona”. Le fattispecie di residenzialità in strutture con fine socio-assistenziale, per quanto concerne il versante del diritto pubblico, ricadono sotto la previsione normativa di specifici requisiti circa l’organizzazione dell’ambiente e la somministrazione di alimenti e bevande. Non di meno, sarebbe interessante indagare se, in ambito privatistico, si prestino a dar luogo a loro volta a relazioni primarie meritevoli di essere apprezzate al pari di quelle che nascono su base volontaria.

[8] Parla di “altre convivenze” e, precisamente, di “convivenze solidali” P. Morozzo della Rocca, Tracce di rilevanza giuridica delle convivenze solidali nel secolo europeo della vecchiaia, cit.

[9] Su tutti, Cass., ord., 13 aprile 2018, n. 9178, in Nuova giur. civ. comm., 9 (2018), pp. 1242 ss., nt. R. Mazzariol, Coabitazione e registrazione anagrafica: due requisiti non essenziali per la configurabilità di una “convivenza di fatto”.

[10] B. Toti, La coabitazione tra i partners: discrimen tra relazione affettiva e famiglia di fatto, cit., pp. 1058 ss., sp. 1061.

[11] Solleva il dubbio già E. Del Prato, Patti di convivenza, cit., p. 975.

[12] A. Pischetola - D. Muritano, Accordi patrimoniali tra conviventi e attività notarile, 2009, Milano, pp. 1 ss., sp. 10.

[13] A. Pischetola - D. Muritano, cit.

[14] Si pensi, a titolo d’esempio, alla tutela alimentare e successoria tra familiari prevista dal codice civile.

[15] Riguardo al quadro normativo regionale, si vedano le osservazioni di V. Marano, Le unioni non matrimoniali: problemi e prospettive di disciplina normativa, in Quaderni di diritto e politica ecclesiastica, 1(2002), pp. 197 ss., sp. 207 ss. A titolo esemplificativo, si ricorda la legge reg. Valle d’Aosta 27 maggio 1998, n. 44 recante “Iniziative a favore delle famiglie”, con la quale è stata riconosciuta “come formazione sociale primaria e soggetto di fondamentale interesse pubblico la famiglia comunque formata, fondata su legami socialmente assunti di convivenza anagrafica, di solidarietà, di mutuo aiuto, di responsabilità nella cura delle persone che la compongono e nell'educazione dei minori”.

[16] La disposizione prevede, altresì, che “In caso di decesso o di decadenza dell’assegnatario dall’assegnazione nel corso della convivenza solidale, la persona o le persone con lui conviventi da almeno quattro anni, previa verifica della sussistenza dei requisiti soggettivi e dei criteri stabiliti dalla presente legge e dal regolamento di cui all’articolo 17, comma 1, possono subentrare al medesimo se, entro trenta giorni dal decesso o dalla decadenza, presentano richiesta di autorizzazione ad una nuova convivenza solidale ai sensi del presente articolo, in mancanza della quale l’ente gestore competente avvia le procedure per il rilascio dell’alloggio” (comma 5).

[17] Sul punto, R. Di Maio, I registri delle unioni civili, in Fam. pers. succ., 1(2007), pp. 59 ss., sp. 63; altresì, S. Canata, La legalizzazione della vita di coppia: panorama europeo e prospettive di riforma in Italia, in Fam. pers. e succ., 3(2010), pp. 198 ss., sp. 209 e prima V. Marano, Le unioni non matrimoniali: problemi e prospettive di disciplina normativa, cit., pp. 215 ss. Non di meno, si segnala che le delibere comunali adottate in materia sono state in larga misura dichiarate illegittime per incompetenza delle amministrazioni locali ad intervenire nella materia.

[18] Il Disegno di legge n. 909 recante “Normativa sulle unioni civili e sulle unioni di mutuo aiuto” – XVII Legislatura, come espressamente dichiarato nel documento, si presenta affine alla Ley catalana de 28 de diciembre de 1998, sobre situaciones convivenciales de ayuda mutua (legge della Catalogna n. 19 del 28 dicembre 1998) e della Norvegian Joint Osso hold Act (legge norvegese 4 luglio 1991, n. 45), nonché al progetto di riforma del diritto di famiglia canadese elaborato dalla Law Commission nel 2000, nell’ambito del programma Recognizing and Supporting Close Personal Relationships Between Adults. Tra gli altri, si rammenta il Disegno di legge n. 1339 in materia di “Diritti e doveri delle persone stabilmente conviventi (DICO)” – XV Legislatura, il quale si rivolgeva ai rapporti tra “persone maggiorenni e capaci, anche dello stesso sesso, unite da reciproci vincoli affettivi, che convivono stabilmente e si prestano assistenza e solidarietà materiale e morale”, così da includere i legami fondati su vincoli diversi dalla affectio coniugalis, ancorché intercorrenti tra due soggetti, e non più di due: per un commento, G. Grasso, Tiziano e Duchamp: sul disegno di legge in tema di «Diritti e doveri delle persone stabilmente conviventi», in Fam. pers. e succ., 8/9(2007), pp. 723 ss. e S. Canata, La legalizzazione della vita di coppia: panorama europeo e prospettive di riforma in Italia,cit., pp. 198 ss. Di qualche tempo dopo, l’iniziativa volta a introdurre nell’ordinamento i c.dd. “contratti di unione solidale” o “accordi di unione solidale”, quali figure di accordi tipici, conclusi tra due persone anche dello stesso sesso, concepiti per dare veste a svariate forme di convivenza: cfr. il Disegno di legge n. 589 – XV Legislatura recante “Disciplina del contratto d’unione solidale” e il Disegno di legge n. 3231 – XVI Legislatura recante “Modifiche al codice civile in materia di disciplina dell’accordo di unione solidale”. Per una veloce rassegna dei disegni di legge presentati nel corso delle legislature al fine di approntare una disciplina alle relazioni tra conviventi, G. Oberto, I contratti di convivenza nei progetti di legge (ovvero sull’imprescindibilità di un raffronto tra contratti di convivenza e contratti prematrimoniali), in Fam. e diritto, 2 (2015), pp. 165 ss.

[19] Chiaramente F. Romeo, Dal diritto vivente al diritto vigente: la nuova disciplina delle convivenze. Prime riflessioni a margine della l. 20 maggio 2016, n. 76, in Nuove leggi civ. comm., 4(2016), pp. 676.

[20] Nella stessa direzione, si muove la legge reg. Lazio 17 giugno 2022, n. 10 “Promozione delle politiche a favore dei diritti delle persone con disabilità”, che afferma l’impegno a sostenere “interventi sperimentali nelle politiche dell'abitare ricorrendo a forme di cohousing, case protette e convivenze solidali di cui all'articolo 12 bis della legge regionale 6 agosto 1999, n. 12 […], privilegiando progetti di vita che garantiscano, anche dal punto di vista abitativo, modelli inclusivi piuttosto che segreganti, in tutti i casi in cui la tipologia di disabilità lo consenta secondo quanto previsto dalla l. 112/2016”.

[21] Argomenta a sostegno della estensione delle prerogative riconosciute ai conviventi di fatto a favore delle parti che compongono le unioni di mutuo aiuto, S. Polidori, Le convivenze di fatto e i loro presupposti di rilevanza, in Nuove sfide del diritto di famiglia. Il ruolo dell’interprete (Atti del Convegno del 7-8 aprile 2017 - Corte d’Appello di Lecce), a cura di F. Dell’Anna Misurale - F.G. Viterbo, Napoli, 2018, p. 131, secondo il quale “Esistono […] alcune unioni di mutuo aiuto che possono, astrattamente, descrivere una comunione di vita equiparabile a quella di una famiglia, sebbene priva dell’affettività di coppia. Si pensi a due sorelle, oppure due amiche, rimaste vedove e senza figli, che vivono insieme per sostenersi vicendevolmente nelle esigenze quotidiane; in questi casi si può creare un legame che attinge i connotati della solidarietà familiare, e forse potrebbe non essere inopportuna una legge ad hoc, sulla falsariga di quanto previsto in altri paesi europei. Nell’attesa, non sembra preclusa una cauta estensione ermeneutica, semmai limitata a quelli, fra i diritti sociali che la legge Cirinnà riserva ai conviventi di fatto, che siano compatibili con l’assenza di un legame affettivo di coppia”; Id., Costituzione e presupposti delle convivenze di fatto, in Legami di coppia e modelli familiari, a cura di G. Ferrando, M. Fortino - F. Ruscello, nel Trattato di diritto di famiglia. Le riforme, dir. P. Zatti, I, Milano, 2018, pp. 133 ss., sp. 150. Sul tema, si rinvia anche a P. Morozzo della Rocca, Tracce di rilevanza giuridica delle convivenze solidali nel secolo europeo della vecchiaia, cit., pp. 160 ss., il quale, pur escludendo un’equiparazione generalizzata alle convivenze di fatto, ipotizza la possibilità di estendere a quelle che chiama convivenze solidali la portata applicativa di alcuni istituti divisati nella legge n. 76/2016, ovvero di assumere questi ultimi come parametro di riferimento al fine di elaborare lo statuto minimo ad esse riferibile. Con riferimento alle unioni poliamorose, A. Vercellone, Più di due. Verso uno statuto giuridico della famiglia poliamore, cit., pp. 627 ss., ivi inclusi ampi riferimenti bibliografici, ove l’Autore esplora le opzioni di applicabilità diretta, ovvero di interpretazione estensiva o analogica, della disciplina sulle convivenze similconiugali alle unioni poliaffettive.

[22] Cfr. art. 8, comma 4, del d. lgs. 15 giugno 2015, n. 81.

[23] Un’altra fattispecie degna di nota è quella che riguarda l’istituto del permesso mensile retribuito, disciplinato dall’art. 33, comma 3, della legge 5 febbraio 1992, n. 104 “Legge-quadro per l’assistenza, l’integrazione sociale e i diritti delle persone handicappate”, quale misura volta a sostenere la continuità e l’assistenza del disabile in ambito familiare a tutela della salute psico-fisica di quest’ultimo. La disposizione, ove ritaglia la platea dei soggetti destinatari, è stata più volte rimaneggiata; oggi, si rivolge ai lavoratori dipendenti, pubblici o privati, che siano genitori di minore portatore di handicap in situazioni di gravità; parenti o affini, entro un certo grado; coniugi o uniti civilmente di una persona disabile e, per mano dell’art. 3 d. lgs. 30 giugno 2022, n. 105, altresì conviventi di fatto ai sensi dell’art. 1, comma 36, della legge n. 76/2016. Quel che più interessa, la novella è stata preceduta dalla sentenza della Corte costituzionale 23 settembre 2016, n. 213, con la quale i giudici hanno dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’art. 33, comma 3, della legge, n. 104 del 1992, nella parte in cui, al tempo, non includeva il “convivente” tra i soggetti legittimati a fruire in via ordinaria del permesso mensile retribuito. Il percorso argomentativo della Corte evidenzia una contraddittorietà logica “nella esclusione del convivente dalla previsione di una norma che intende tutelare il diritto alla salute psico-fisica del disabile. E ciò in particolare – ma non solo – nei casi in cui la convivenza si fondi su una relazione affettiva, tipica del “rapporto familiare”, nell’ambito della platea dei valori solidaristici postulati dalle “aggregazioni” cui fa riferimento l’art. 2 Cost.”, così lasciando intravedere un possibile approccio neutrale favorevole a far assumere rilevanza anche alle convivenze nonsimilconiugali. Rileva questo aspetto, pur mostrandosi critico, F. Astone, Aspettative verso convivente e aspettative verso il coniuge: prove di equiparazione ragionata, in Giur. cost., 5(2016), pp. 1788 ss. Si possono citare anche altri riferimenti normativi, con particolare riguardo alle convivenze che sorgono all’interno della rete dei legami familiari. Si veda la legge 13 agosto 1980, n. 466 recante “Speciali elargizioni a favore di categorie di dipendenti pubblici e di cittadini vittime del dovere o di azioni terroristiche”, che assicura un ristoro ai beneficiari superstiti nel caso di soggetti che, in servizio alla pubblica amministrazione, al ricorrere delle circostanze individuate, siano colpiti da un evento imprevedibile da cui derivi la loro morte o lesione agli stessi; tra i beneficiari superstiti, l’art. 6 comprende, oltre a coniuge, figli e genitori, anche i fratelli e le sorelle se conviventi a carico con la vittima. La norma attribuisce dunque significatività a una convivenza parentale ai fini della erogazione di una prestazione assistenziale; anche tale forma di convivenza, infatti, concorre a delimitare la categoria di persone che “in qualche modo godevano e comunque contavano sul reddito del soggetto colpito dall’evento”, così risultando meritevoli di tutela ai sensi degli artt. 4, 32 e 38 Cost.: sul punto, Cass., Sez. un., 25 settembre 2018, n. 22753; successivamente, App. Lecce, sez. Lavoro, 16 luglio 2019, n. 820, entrambe in One legale (https://www.wolterskluwer.com/it-it/solutions/one/onelegale?utm_source=google&utm_medium=cpc&utm_campaign=IT-SEM-GoogleAds-Performance-Legale-[SEARCH]-BrandPuro&gad_source=1&gclid=Cj0KCQjw3ZayBhDRARIsAPWzx8oURbr0l54WJAiEMGOHMsy2jvPO659Q2AHetSFxJZFmJsGbQM06t5AaAhXbEALw_wcB- ultimo accesso 7 maggio 2024). In altri frangenti, l’ordinamento estende la tutela anche ai familiari superstiti non conviventi o non a carico, come è per il caso dei superstiti di vittime del terrorismo e della criminalità organizzata ex art. 82 della legge 23 dicembre 2000, n. 388.

[24] Corte cost. 28 luglio 1987, n. 286.

[25] Cfr. artt. 406, 408, 417 e 424 CC.

[26] Tra i primi, S. Delle Monache, Prime note sulla figura dell’amministratore di sostegno: profili di diritto sostanziale, in Nuova giur. civ. comm., 1(2004), pp. 29 ss., sp. 45; poi, G. Bonilini e C. Coppola, Art. 408. Scelta dell’amministratore di sostegno, in Commentario al Codice civile. Della famiglia, a cura di G. Di Rosa, III, Torino, 2018, pp. 1543 ss. Di avviso contrario, U. Roma, La nozione di stabile convivenza e convivenza nella disciplina dell’amministratore di sostegno, dell’interdizione e dell’inabilitazione, in Nuove leggi civ. comm., 10(2006), pp. 508 ss. In giurisprudenza, si segnala Trib. Reggio Calabria, decr., 12 maggio 2007, in One Legale (https://www.wolterskluwer.com/it-it/solutions/one/onelegale?utm_source=google&utm_medium=cpc&utm_campaign=IT-SEM-GoogleAds-Performance-Legale-[SEARCH]-BrandPuro&gad_source=1&gclid=Cj0KCQjw3ZayBhDRARIsAPWzx8oURbr0l54WJAiEMGOHMsy2jvPO659Q2AHetSFxJZFmJsGbQM06t5AaAhXbEALw_wcB - (ultimo accesso 7 maggio 2024), secondo cui “sebbene la locuzione " persona stabilmente convivente con il beneficiario" appaia prima facie riferita ai rapporti di convivenza paraconiugale (cd. convivenza more uxorio), tuttavia la genericità della formula si presta a ricomprendere nel concetto di stabile convivenza anche soggetti che siano legati al beneficiario da legami particolarmente significativi, tali da connotare la convivenza stessa da vincoli di solidarietà e reciproco aiuto”. Sulla scorta della interpretazione fornita, in quel caso il giudice tutelare ha esteso la legittimazione a proporre il ricorso per la nomina di amministratore di sostegno ai genitori affidatari, sebbene non espressamente indicati dagli artt. 406 e 417 cc., facendoli rientrare “nell’ampio concetto di persona stabilmente convivente con il beneficiario”.

[27] È pur vero, in ogni caso, che il ricorso proposto da un soggetto privo di legittimazione ad agire può essere riguardato come una “segnalazione” da trasmettere al pubblico ministero, il quale, ove ritenga, è abilitato ad esercitare in proprio il potere di iniziativa: P. Loddo, L’amministratore di sostegno, Padova, 2019, pp. 147 ss. In argomento, si segnala la vicenda relativa alla domanda di amministrazione di sostegno proposta da una suora nell’interesse di una consorella: come riportato da C. Saini e F. Cassese, Caso 1. Ricorso per l’istituzione dell’amministrazione di sostegno – legittimazione attiva – persona stabilmente convivente – artt. 406 e 417 c.c., in op. ult. cit., 155 ss., in quell’occasione, l’autorità giudiziaria ha rilevato il difetto di legittimazione; il diniego è stato poi confermato in sede di reclamo, motivando come la “persona stabilmente convivente, di cui all’art. 417 c.c., sia solo la persona che abbia creato con l’interessato un particolare vincolo di natura familiare”, e non anche i soggetti legati da “rapporti amicali o di convinzioni religiose o altro”.

[28] Restando all’interno del codice civile, appare degno di nota il riferimento contenuto all’art. 1023, che delinea il concetto di famiglia su cui è parametrato il diritto reale di abitazione. Segnatamente, la norma codicistica estende il riconoscimento alle persone che convivono con l’habitatorper prestare a lui o alla sua famiglia servizio”, ovvero ai terzi conviventi che rendono al titolare del diritto prestazioni di collaborazione domestica ovvero assistenziale. Volgendo lo sguardo alla legislazione speciale, si raccolgono ulteriori spunti anche nella materia degli alloggi in edilizia popolare. Si evidenzia che la normativa prevede, ai fini del subentro nel diritto alla assegnazione dell’alloggio, una nozione ampia di nucleo familiare, che in genere ricomprende, oltre al coniuge e ai figli anche adottivi, il convivente more uxorio, gli ascendenti, i discendenti, i collaterali e gli affini entro un certo grado, purché la stabile convivenza di questi soggetti sia dimostrata nelle forme di legge per un periodo minimo fissato dai regolamenti prima della data di pubblicazione del bando di concorso. In questi termini, la tutela si declina a favore di un bacino di soggetti legati da vincoli familiari in senso ampio, che trascendono il rapporto di coppia. Non mancano poi casi in cui la stessa legge regionale estende la nozione di nucleo familiare stabilendo che “Sono considerati componenti del nucleo familiare anche persone non legate da vincoli di parentela o affinità, qualora la convivenza sia istituita da almeno due anni prima della data di pubblicazione del bando di concorso e sia finalizzata alla reciproca assistenza morale e materiale e purché i componenti siano inseriti nello stato di famiglia e producano idonea documentazione rilasciata dal Comune”: cfr. art. 2 della legge reg. Puglia 20 dicembre 1984, n. 54, la quale, come rileva il giudice amministrativo in T.A.R. Puglia (Bari) 9 luglio 2008, n. 1706 e T.A.R. Puglia (Bari) 11 luglio 2008 nn. 1963-1964, tutte in One legale (https://www.wolterskluwer.com/it-it/solutions/one/onelegale?utm_source=google&utm_medium=cpc&utm_campaign=IT-SEM-GoogleAds-Performance-Legale-[SEARCH]-BrandPuro&gad_source=1&gclid=Cj0KCQjw3ZayBhDRARIsAPWzx8oURbr0l54WJAiEMGOHMsy2jvPO659Q2AHetSFxJZFmJsGbQM06t5AaAhXbEALw_wcB - ultimo accesso 7 maggio 2024), apre lo spazio ai rapporti di “convivenza solidale”. D’altra parte, si rilevano anche segnali di indirizzo contrario: cfr. Cass., ord., 8 giugno 2018, n. 14903, secondo cui “in relazione alla normativa vigente nella regione Liguria, che presenta tratti sovrapponibili a quella esistente in Campania [… ] «in tema di assegnazione di alloggi di edilizia residenziale pubblica, il “convivente di fatto” - titolare, ai sensi della L.R. Liguria n. 10 del 2004, art. 12, del diritto al subentro nell'ipotesi di decesso dell’originario assegnatario - è il solo convivente “more uxorio”, con esclusione del coabitante per ragioni di lavoro, di servizio o di ospitalità, atteso che la “ratio” delle disposizioni sul subentro nel godimento degli alloggi di edilizia residenziale pubblica è ispirata a principi di solidarietà familiare»”; prima, Cass., ord., 19 ottobre 2017, n. 24665, entrambe in One legale (https://www.wolterskluwer.com/it-it/solutions/one/onelegale?utm_source=google&utm_medium=cpc&utm_campaign=IT-SEM-GoogleAds-Performance-Legale-[SEARCH]-BrandPuro&gad_source=1&gclid=Cj0KCQjw3ZayBhDRARIsAPWzx8oURbr0l54WJAiEMGOHMsy2jvPO659Q2AHetSFxJZFmJsGbQM06t5AaAhXbEALw_wcB - ultimo accesso 7 maggio 2024).

[29] Resta, comunque, da sottolineare che, secondo la giurisprudenza di legittimità, “la convivenza con il conduttore defunto, cui è subordinata la successione nel contratto di locazione, costituisce una situazione complessa, caratterizzata da una convivenza “stabile ed abituale”, da una “comunanza di vita”, preesistente al decesso, non riscontrabile qualora il pretendente successore si sia trasferito nell’abitazione locata soltanto per assistere il conduttore stesso e quindi per ragioni transitorie”: ex multis, Cass. 11 febbraio 2008, n. 3251, in De Jure (https://dejure.it/#/home - ultimo accesso 7 maggio 2024).

[30] Nell’ambito della stessa sentenza, si ricorda che la Corte costituzionale ha dichiarato altresì l’illegittimità dell’art. 6, comma 2, laddove non prevedeva la successione nel contratto di locazione al conduttore che abbia cessato la convivenza a favore del già convivente, quando vi sia prole naturale. Successivamente la Corte costituzionale, con sentenza 18 maggio 1989, n. 252, ha invece dichiarato infondata la questione di legittimità costituzionale dell’art. 6, comma 1, nella parte in cui non prevedeva la successione nel contratto di parenti ed affini del conduttore, con lui abitualmente conviventi, anche nell’ipotesi di abbandono dell’immobile o di recesso dal contratto da parte del titolare della locazione; in quel frangente, la Corte ha motivato affermando che sarebbe “contrario alla ratio legis tutelare l’ipotesi del volontario abbandono dell’immobile o del recesso dal contratto da parte del conduttore in favore di parenti od affini”, giacché ciò “sarebbe fonte di una forte attenuazione del diritto del locatore al di fuori di situazioni che impongono la solidarietà sociale. Il diritto del locatore, infatti, verrebbe a subire gli effetti compressivi di comportamenti non sempre necessitati, quando non arbitrari, del conduttore”.

[31] Cass. 18 giugno 2012, n. 9931, che a sua volta si richiama a Cass. 19 giugno 2009, n. 14343; più recentemente, App. Roma 12 maggio 2023, n. 3396, tutte in One legale (https://www.wolterskluwer.com/it-it/solutions/one/onelegale?utm_source=google&utm_medium=cpc&utm_campaign=IT-SEM-GoogleAds-Performance-Legale-[SEARCH]-BrandPuro&gad_source=1&gclid=Cj0KCQjw3ZayBhDRARIsAPWzx8oURbr0l54WJAiEMGOHMsy2jvPO659Q2AHetSFxJZFmJsGbQM06t5AaAhXbEALw_wcB - ultimo accesso 7 maggio 2024).

[32] Le restrizioni al godimento della proprietà esclusiva previste nei regolamenti condominiali costituiscono servitù atipiche reciproche, con cui “al fine di imprimere determinate caratteristiche all’edificio, si impongono limitazioni (il "peso" di cui all’art. 1027 c.c.) alla libertà di utilizzazione delle porzioni di proprietà esclusiva, attinenti non all’attività personale dei condomini, bensì alla proprietà del singolo immobile, incidendo oggettivamente, in modo negativo, sulla sua funzione ed arrecando vantaggio agli immobili contigui”. Tali clausole devono essere approvate da tutti i condomini, mentre la loro opponibilità ai terzi, in mancanza di espressa adesione, è subordinata all’adempimento dell’onere di trascrizione: cfr. Cass. 6 dicembre 2021, n. 38639, in Nuova giur. civ. comm., 3(2022), pp. 549 ss., con nota di C. Rendina, Regolamento condominiale c.d. contrattuale: questioni ermeneutiche.

[33] Cass., ord., 14 maggio 2018, n. 11609, in One legale (https://www.wolterskluwer.com/it-it/solutions/one/onelegale?utm_source=google&utm_medium=cpc&utm_campaign=IT-SEM-GoogleAds-Performance-Legale-[SEARCH]-BrandPuro&gad_source=1&gclid=Cj0KCQjw3ZayBhDRARIsAPWzx8oURbr0l54WJAiEMGOHMsy2jvPO659Q2AHetSFxJZFmJsGbQM06t5AaAhXbEALw_wcB - ultimo accesso 7 maggio 2024); poi, Cass. 6 dicembre 2021, n. 38639, cit. Se è pur vero che le comunità alloggio per anziani devono soddisfare “i requisiti edilizi previsti proprio per gli alloggi destinati a civile abitazione”, si ritiene che “non contrasta con la diversa considerazione che le medesime comunità alloggio si connot[ino] come strutture a ciclo residenziale, le quali prestano servizi socioassistenziali ed erogano prestazioni di carattere alberghiero”. L’attività delle case di cura e di riposo per anziani, pur perseguendo una funzione socio-assistenziale, ben si presta infatti a essere organizzata in forma di impresa commerciale per conseguire la remunerazione di fattori produttivi; quando è così, la scelta di adibire l’immobile a casa di riposo ricadrebbe nel divieto divisato nei regolamenti condominiali.

[34] App. Genova 8 ottobre 2021, n. 1019, in One legale (https://www.wolterskluwer.com/it-it/solutions/one/onelegale?utm_source=google&utm_medium=cpc&utm_campaign=IT-SEM-GoogleAds-Performance-Legale-[SEARCH]-BrandPuro&gad_source=1&gclid=Cj0KCQjw3ZayBhDRARIsAPWzx8oURbr0l54WJAiEMGOHMsy2jvPO659Q2AHetSFxJZFmJsGbQM06t5AaAhXbEALw_wcB - ultimo accesso 7 maggio 2024). Nell’eventualità riferita nel testo, il giudice civile è orientato a escludere profili di contrasto con le previsioni del regolamento condominiale: da un lato, si considera conservata la destinazione d’uso dell’immobile a civile abitazione; dall’altro, si assume che “ogni anziano (e, prima ancora, ogni persona) […] ha il diritto costituzionalmente garantito di beneficiare dell’assistenza socio-sanitaria necessaria a salvaguardare la propria salute”. Tanto basterebbe a negare che la presenza di uno o più anziani nelle abitazioni poste in condominio possa considerarsi “una sicura fonte di pregiudizio all’igiene, alla tranquillità e al decoro del condominio”. Cfr. Trib. Roma 30 settembre 2021, n. 15142, in One legale (https://www.wolterskluwer.com/it-it/solutions/one/onelegale?utm_source=google&utm_medium=cpc&utm_campaign=IT-SEM-GoogleAds-Performance-Legale-[SEARCH]-BrandPuro&gad_source=1&gclid=Cj0KCQjw3ZayBhDRARIsAPWzx8oURbr0l54WJAiEMGOHMsy2jvPO659Q2AHetSFxJZFmJsGbQM06t5AaAhXbEALw_wcB - ultimo accesso 7 maggio 2024);.

[35] Ex multis, Cass. 29 aprile 2005, n. 8976, in Giur. it., 2(2006), p. 246, nt. G. Mandirola, Danno riflesso e diritti del convivente more uxorio.

[36] Cfr. art. 1, comma 49, della legge n. 76 del 2016.

[37] Ex multis, Cass. 21 marzo 2013 n. 7128, in Diritto&Giustizia, 22 marzo 2013(2013), pp. 522 ss., nt. R. Savoia, La convivenza non è determinante per il risarcimento del danno non patrimoniale del congiunto.

[38] App. Torino, 5 marzo 1964, in Giur. it., I, 2 (1964), secondo cui “La Congregazione religiosa è legittimata ad agire per il risarcimento del danno derivante dalla morte di una suora”. Si veda anche Trib. Torino 14 marzo 1970, in Giur. It., I, 2(1970), secondo cui “In virtù del rinvio al diritto canonico, operato dal Concordato, il rapporto esistente fra i membri di una congregazione religiosa e la congregazione stessa è assimilabile a un vincolo familiare; tuttavia il sorgere di tale diverso rapporto non recide i vincoli esistenti fra il religioso ed i suoi consanguinei, di guisa che quando un religioso venga a mancare per fatto imputabile a un terzo, sia la congregazione, sia i familiari del religioso stesso hanno diritto a un congruo risarcimento”. Per ulteriori riferimenti, C. Valle, Tutela aquiliana per compromissione della relazione more uxorio (incestuosa), in Nuova giur. civ. comm., 7/8(2007), pp. 872, in nota a Trib. Venezia, 31 luglio 2006.

[39] In questo senso, si può leggere la Relazione al Disegno di legge n. 909 del 3 luglio 2013, cit., nella quale era rappresentato l’intento di assicurare un riconoscimento minimo “a forme di convivenza, che rappresentano del resto espressioni significative non soltanto del pluralismo su cui si basa necessariamente ogni Stato di diritto, ma anche e soprattutto del principio personalistico che ispira la nostra Costituzione. Consentire a ciascun cittadino di scegliere la forma di convivenza che meglio risponda alle proprie esigenze, senza per questo subire discriminazione alcuna – come espressamente sancito dall’articolo 2 del presente disegno di legge – costituisce infatti un dovere fondamentale, cui uno Stato democratico di diritto quale il nostro non può sottrarsi”.

[40] Corte cost., 15 aprile 2010, n. 138.

[41] In tema, S. Polidori, Ragionevolezza, proporzionalità e «giusto rimedio»: le tendenze evolutive e un’occasione perduta (dalla Cassazione), in Ragionevolezza e proporzionalità nel diritto contemporaneo, a cura di G. Perlingieri - A. Fachechi, II, Napoli, 2017, pp. 907-927. Non può mancare, altresì, il richiamo a G. Perlingieri, Profili applicativi della ragionevolezza nel diritto civile, Napoli, 2015, p. 137; Id., Ragionevolezza e bilanciamento nell’interpretazione recente della Corte costituzionale, in Aa. Vv., I rapporti civilistici nell’interpretazione della Corte costituzionale nel decennio 2006-2016 - Atti del 12° Convegno Nazionale della Società Italiana degli Studiosi di Diritto Civile (S.I.S.Di.C.), Napoli, 2018, pp. 283 ss.

[42] Per maggiori ragguagli, su tutti, D. Porena, Il principio della sostenibilità. Contributo allo studio di un programma costituzionale di solidarietà intergenerazionale, Torino, Giappichelli, 2017. Si veda anche la recensione di L. Bartolucci, Recensione a D. Porena, Il principio della sostenibilità. Contributo allo studio di un programma costituzionale di solidarietà intergenerazionale, in Nomos, 1(2018), p. 9.

[43] Cfr. art. 3-quater, d.lgs. 3 aprile 2006, n. 152. Oggi l’art. 9, comma 3, Cost., dopo la riforma con legge cost. 11 febbraio 2022, n. 1, recita che la Repubblica “Tutela l’ambiente, la biodiversità e gli ecosistemi, anche nell’interesse delle future generazioni”.

[44] L’art. 41 Cost., a seguito della già menzionata riforma con legge cost. 11 febbraio 2022, n. 1, contiene ora il riferimento alla salute e all’ambiente. Questa revisione è dai più apprezzata come recepimento, a livello costituzionale, del principio della sostenibilità nel campo della libertà di iniziativa privata e, in generale, dell’autonomia privata.

[45] È appena il caso di precisare che, in dottrina, si parla del triangolo della sostenibilità per indicare che questo principio investe tre dimensioni, ambientale, economica e sociale: cfr. L. Davico, Sviluppo sostenibile. Le dimensioni sociali, Roma, 2004, pp. 19 s. Queste linee direttrici trovano conferma nell’Agenda 2030 per uno sviluppo sostenibile, che traccia il programma d’azione per le persone, il pianeta e la prosperità, sottoscritta nel settembre 2015 dai Paesi membri dell’ONU. L’Agenda fissa diciassette obiettivi “interconnessi e indivisibili”, nei quali si articolano e, al contempo, si “bilanciano le tre dimensioni dello sviluppo sostenibile: la dimensione economica, sociale ed ambientale”. Sotto il profilo sociale, emerge l’impegno a costruire un mondo “aperto e socialmente inclusivo che soddisfi anche i bisogni dei più vulnerabili”. Il tutto attraverso un’azione comune volta a perseguire il traguardo di una crescita universale, in uno spirito di solidarietà globale, affinché possano trarne beneficio sia le generazioni di oggi sia quelle del futuro. Rispetto agli obiettivi e ai traguardi prefissati, sondano le possibili applicazioni del principio di sostenibilità, dal lato della materia giuslavoristica, V. Ferrante, Diritti dei lavoratori e sviluppo sostenibile, in Jus, 3(2022), pp. 349 ss.; da quello dell’attività di impresa, G. Presti, La sostenibilità nel diritto dell’impresa e delle società: l’auspicabile ritorno della regolazione pubblica, in Jus, 3(2022), pp. 371 ss.

[46] Presentazione, in Jus, 2022, 257 s.

[47] F. Zecchin, Sviluppo sostenibile delle catene di fornitura internazionali e diritti inviolabili, in Jus, 3(2022), pp. 399.

[48] Presentazione, cit., p. 258.

[49] In questi termini, F. Zecchin, Sviluppo sostenibile delle catene di fornitura internazionali e diritti inviolabili, cit., p. 398, il quale accoglie con favore l’allargamento del concetto di sostenibilità alle condizioni di vita degli esseri umani e, in tale direzione, riconosce un ruolo di rilevanza al diritto privato.

[50] Per fare un esempio, sta diventando sempre più urgente assicurare la tutela del genitore, in condizioni di fragilità per motivi di età o salute, giacché a carico dei figli sembrerebbe mancare la previsione di un generale obbligo di cura e assistenza: su tutti, M.N. Bugetti, La solidarietà tra genitori e figli e tra figli e genitori anziani, in Familia, 3(2017), pp. 313 ss.

[51] Cfr. art. 4 del D.P.R. 30 maggio 1989, n. 223 recante “Approvazione del nuovo regolamento anagrafico della popolazione residente”. A tale concetto il legislatore aggancia, altresì, la prova della convivenza di fatto ai sensi dell’art. 1, comma 37, della legge n. 76/2016.

[52] P. Morozzo della Rocca, La convivenza di diritto civile come alternativa alla prestazione sociale di residenzialità, cit., p. 236, nota n. 7, ove l’Autore si richiama a un parere pubblicato su Lo stato civile italiano, 17 gennaio 2012, n. 586247. Più approfonditamente, P. Morozzo della Rocca, Tracce di rilevanza giuridica delle convivenze solidali nel secolo europeo della vecchiaia, cit., 16.

[53] Sul punto, si veda A. Gorassini, Il nuovo ordine della famiglia nel terzo millennio, in La famiglia all’imperfetto, a cura di A. Busacca, 2016, pp. 15 ss. Il diritto al rispetto della vita familiare è espressamente sancito all’art. 8 CEDU, così da ricomprendere non soltanto le relazioni che nascono all’interno della famiglia fondata sul matrimonio, ma anche altri legami che si volgono fuori dal vincolo di coniugio: per un approfondimento sul tema, si veda la Guida all’articolo 8 della Convenzione europea sui diritti dell’uomo Diritto al rispetto della vita privata e familiare, del domicilio e della corrispondenza, a cura della Cancelleria della Corte europea dei diritti umani, aggiornata al 31 agosto 2021, in www.echr.coe.int(ultimo accesso 7 maggio 2024).

[54] Basta osservare che, mentre l’ordinamento anagrafico fa propria una definizione estesa di famiglia, che può comprendere persone legate da vincoli di parentela, affinità, adozione, tutela o semplicemente affettivi (non di meno, può essere costituita anche da una sola persona), senza nulla precisare in ordine alla natura della affettività richiesta, il codice civile, per converso, abbraccia la nozione di famiglia nucleare composta dai genitori uniti in matrimonio e i figli. Entrambi i concetti di famiglia, quello anagrafico e quello civilistico, convivono nel nostro sistema ma a diversi fini, giacché la nozione dettata dal regolamento anagrafico vale perlopiù a individuare i soggetti destinatati di servizi pubblici a livello locale: sulla distinzione tra questi due concetti, T.A.R. Veneto, 27 agosto 2007, n. 2786, in One legale (https://www.wolterskluwer.com/it-it/solutions/one/onelegale?utm_source=google&utm_medium=cpc&utm_campaign=IT-SEM-GoogleAds-Performance-Legale-[SEARCH]-BrandPuro&gad_source=1&gclid=Cj0KCQjw3ZayBhDRARIsAPWzx8oURbr0l54WJAiEMGOHMsy2jvPO659Q2AHetSFxJZFmJsGbQM06t5AaAhXbEALw_wcB - ultimo accesso 7 maggio 2024). A seguito delle riforme che si sono susseguite fino ai giorni nostri, il codice civile si è comunque aperto ad un modello di famiglia nucleare parentale, che include al proprio interno anche le relazioni parentali e di affinità configurando il tutto come una rete di protezione e di solidarietà. Restando all’interno del codice civile, si scoprono poi altre accezioni di famiglia: come si è detto nel testo, la nozione di famiglia rilevante ai fini della delimitazione del raggio applicativo dei diritti reali d’uso e abitazione include anche soggetti terzi estranei, che rendano i propri servizi al titolare del diritto e alla sua famiglia (art. 1023 CC); per riportare altri esempi, si può fare un cenno alla definizione di familiare collaboratore nell’impresa, che comprende anche i parenti entro il terzo grado e gli affini entro il secondo (art. 230-bis CC); ancora, si fa notare che l’obbligo alimentare si estende ai collaterali in secondo grado ed agli affini in primo grado (art. 433 CC). Altra e diversa, poi, è la nozione di famiglia fiscale, che identifica il nucleo produttivo di reddito e rileva pertanto a fini impositivi o, ancora, di nucleo familiare ai fini della assegnazione degli alloggi di residenza in edilizia popolare.

[55] Distingue le “convivenze solidali” dall’arcipelago delle nuove famiglie P. Morozzo della Rocca, Tracce di rilevanza giuridica delle convivenze solidali nel secolo europeo della vecchiaia, cit., pp. 160 ss. Nella stessa direzione, si veda anche G. Autorino Stanzione - P. Stanzione, Unioni di fatto e patti civili di solidarietà. Prospettive de iure condendo, cit., pp. 205 s.

[56] Sul punto, è interessante osservare che la possibilità di configurare la relazione tra il domestico e l’assistito come famiglia anagrafica è trattata nelle Avvertenze, note illustrative e normativa AIRE, Metodi e Norme, serie B - n. 29 - ed. 1992, redatte dall’Istat e dal Ministero dell’Interno, secondo cui “Un particolare cenno merita la posizione dei domestici, autisti, giardinieri e simili che coabitano con la famiglia del datore di lavoro. Per essi il precedente regolamento prevedeva l’istituzione di una particolare scheda individuale nell’ambito della stessa famiglia anagrafica come “membri aggregati”. L’attuale regolamento non consente una normativa particolare, per cui saranno iscritti in una scheda di famiglia a parte, a meno che non dichiarino di essere legati da tempo alla famiglia predetta da vincoli affettivi, nel qual caso costituiranno famiglia anagrafica unica”.

[57] Cfr. art. 5 del D.P.R. n. 223 del 1989, che, ai commi 2 e 3, precisa: “2. Le persone addette alla convivenza per ragioni di impiego o di lavoro, se vi convivono abitualmente, sono considerate membri della convivenza, purché non costituiscano famiglie a se stanti. 3. Le persone ospitate anche abitualmente in alberghi, locande, pensioni e simili non costituiscono convivenza anagrafica”.

[58] Al limite, si collocano le convivenze tra religiosi che si svolgono al di fuori della dimensione comunitaria e dei luoghi istituzionalmente deputati ad accoglierli (monasteri, conventi, ecc.), assumendo le fattezze di piccoli gruppi che riproducono un menage familiare (per fare un esempio, un gruppo di confratelli o consorelle che convivono in un appartamento); a queste condizioni, la convivenza potrebbe avere i requisiti per reclamare il riconoscimento come famiglia anagrafica.

[59] L. Barbiera, Le convivenze. Tipi e statuti, Milano, 2011, p. 5.

[60] Nello sforzo di delineare il fenomeno delle “convivenze solidali”, P. Morozzo della Rocca, Tracce di rilevanza giuridica delle convivenze solidali nel secolo europeo della vecchiaia, cit., pp. 160 ss. ha enucleato alcuni elementi identificativi, delimitando il perimetro alle sole convivenze volontarie e stabili, reciprocamente e spontaneamente solidali, che si volgono presso la medesima residenza, con la possibilità che siano coinvolti anche soggetti non pienamente autonomi e capaci. L’Autore esclude, per il resto, che possano farsi rientrare nell’alveo delle convivenze solidali le relazioni tra un soggetto e il lavoratore addetto alla loro cura, ovvero tra soggetti che abbiano stipulato un accordo di vitalizio improprio; allo stesso modo, guarda sotto diversa lente le convivenze che dipendono dalla accoglienza all’interno di strutture eterogestite, pubbliche o private.

[61] Mostra una chiara apertura ad ammettere i componenti delle convivenze solidali alla sottoscrizione di accordi di convivenza P. Morozzo della Rocca, Tracce di rilevanza giuridica delle convivenze solidali nel secolo europeo della vecchiaia, cit., pp. 164 ss., il quale, ad un tempo, ribadisce che le clausole pattizie dovranno rispettare il limite della adeguatezza e proporzionalità.

Prussiani Chiara



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