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A proposito di presunti vincoli concernenti il ‘rei publicae polliceri’ ob honorem

28.06.2017

Paolo Lepore

Ricercatore di Diritto romano, Università degli Studi dell’Insubria

A proposito di presunti vincoli concernenti il ‘rei publicae polliceriob honorem

 

Sommario: - 1. Premessa. - 2. Lo scopo dell’indagine. - 3. Le fonti che rilevano. - 3.1. Le fonti risalenti al III sec. d.C. - 3.2. Le fonti risalenti all’ultimo decennio del II sec. d.C. - 4. Osservazioni di sintesi.

 

1. Premessa

Il presente contributo trae sollecitazione intellettuale da alcune enunciazioni che ricorrono nella monografia di François Jacques: “Le privilège de liberté. Politique impériale et autonomie municipale dans les cités de l’Occident romain (161-244)[1]. Queste costituiscono una netta e argomentata presa di distanza dall’orientamento dottrinale secondo cui le pollicitationes ob honorem[2](‘decretum vel decernendum[3])[4], nel corso del II sec. d.C., più esattamente, tra l’età antonina e quella dei Severi[5], avrebbero, in modo progressivo, perso il loro tratto originario e distintivo di manifestazioni evergetiche[6] del tutto ‘libere’ e ‘spontanee’ e avrebbero assunto – in parallelo con l’accrescersi delle aspettative e delle pretese nutrite dalle comunità cittadine nei confronti dei notabili – carattere di obbligatorietà morale se non anche giuridica[7].

Le riferisco, cercando di ‘privilegiare’ la citazione testuale, limitando, cioè, il ricorso alla traduzione in italiano solo a fronte di specifiche esigenze di organicità espositiva e/o di sintesi.

Il convincimento di base è da Jacques così espresso: “Que les promesses ob honorem se soient répandues au point d’être généralisées et moralement obligatoires est admis sans preuve” [p. 691]; “Aucun document ne pose l’obligation de promettre; est seulement légale celle d’exécuter … la pollicitation reste un ajout librement consenti, au moins aux yeux de la loi” [p. 701]. Rispetto ad esso lo studioso osserva: “À moins de dénier toute représentativité aux documents conservés, il faut admettre une progression des munificences ob honorem; par ailleurs, on ne peut nier le lien entre l’évergétisme et l’essor monumental des villes africaines. À moins de tomber dans la contradiction, on ne soutiendra pas que les pollicitations devinrent obligatoires – même moralement – dès l’époque antonine; sinon comment s’expliqueraint les nuances constatées en Afrique entre les divers règnes? De même, la répartition chronologique au IIIe siècle est trop irrégulière pour que, conservant, la thèse initiale, on repousse à Septime Sévère le moment où les pollicitations furent exigées pour tous les honneurs. L’hypothèse que tout notable donnait en plus de la somme honoraire (ossia della somma di denaro che era legalmente dovuta da chi avesse assunto una carica pubblica[8] e il cui importo variava a seconda della località e dell’honor[9]) lors de chaque élection ne résiste pas à l’examen le plus simple. En Afrique, les dons consistaient essentiellement en statues et en monuments: ils se devaient de témoigner de façon visible et pérenne de la munificence du notable. Tous étaient donc, de quelque manière, commémorés par une inscription. Ainsi les dons en numéraire étaient-ils mentionnés dans des tituli, le monument les portant étant parfois d’une valeur inférieure à la somme versée, – au point qu’on se demandera si la statue offerte n’était pas alors un prétexte, sa base permettant d’évoquer une plus grande munificence. Dans le même esprit, les évergésies antérieures étaient reppelées dans les épigraphes, ainsi que le versement des sommes honoraires, pourtant obligatoires” [pp. 727-728]. Proseguendo in tale direzione, Jacques rimarca, altresì, che “si les notables avaient dû offrir un don en plus de la somme honoraire lors de chaque fonction, on rencontrerait une certaine homogénéité” di ripartizione delle pollicitationes tra le diverse tipologie di honor e, in forma e in misura analoga, tra le diverse province e le diverse città; ma – conclude lo studioso – né l’una né l’altra di queste ‘attese’ omogeneità emergono dall’esame della documentazione epigrafica. Anzi da questa è dato ricavare un quadro di segno, sostanzialmente, opposto, ove a predominare è la difformità quantitativa delle pollicitationes, sia rispetto all’honor ‘di riferimento’ sia rispetto alla ‘distribuzione’ territoriale [p. 729 ss.].

2. Lo scopo dell’indagine

Queste parole di François Jacques sono state riprese e fatte proprie da diversi autori[10]. Si è trattato, però, di adesioni che, per quanto convinte, non sono state accompagnate dallo sviluppo di argomenti logico-interpretativi e/o dall’enucleazione di elementi di carattere testuale originali e, quindi, ulteriori rispetto a quelli individuati da Jacques.

Proprio a questo risultato ambisce il presente lavoro: fornire ragioni di evidenza alle enunciazioni di Jacques, nella prospettiva di consolidare il ‘respingimento’ dell’ipotesi ricostruttiva secondo cui, come si è detto, nel corso del II sec. d.C., le pollicitationes collegate al conseguimento degli honores avrebbero finito per connotarsi quali atti moralmente se non anche giuridicamente obbligatori.

In tale prospettiva s’intende – è il caso di precisarlo sin da ora – procedere a evidenziare e a valorizzare alcuni, specifici indicatori di carattere testuale, i quali, nel ricorrere, in misura significativa, in seno alla documentazione epigrafica, non mancano di figurare anche in quella tecnico-giuridica di matrice giurisprudenziale.

3. Le fonti che rilevano

L’attenzione sarà focalizzata sulle seguenti iscrizioni: CIL. VIII.4482 – CIL. VIII.12006 = CIL. VIII.12007 = Eph. V.293 = Eph. V.1212 – CIL. VIII.14370 = Eph. VII.247 = ILTun. 1212 = BCTH. (1886), p. 109 = BCTH. (1932-1933), p. 497 – CIL. VIII.16322 = Eph. VII.299 – CIL. VIII.19121 = AE. 1888, 140 = ILAlg. II, 6486 = ILS. 4479 – CIL. VIII.26590 = CIL. VIII.1495 = BCTH. (1907), p. ccxxx, nr. 1 – AE. 1917-1918, 43-44 = BCTH. (1917), p. 339 e s., nr. 66 – AE. 2004, 1876[11].

Verrà, altresì, in specifico rilievo un passo tratto dal libro quarto dei Differentiarum Libri di Erennio Modestino, che è stato tramandato dal Digesto di Giustiniano, quale nono frammento del dodicesimo titolo del libro cinquantesimo; questo titolo, recante la rubrica ‘De pollicitationibus’, è, comunemente, considerato la ‘sedes materiae’ del ‘rei publicae polliceri[12].

3.1. Le fonti risalenti al III sec. d.C.

In ragione della databilità al III sec. d.C. – ad un periodo, quindi, nel quale il presunto processo che avrebbe determinato la ‘trasformazione’ delle pollicitationes ob honorem da atti liberi e spontanei in atti obbligatori (quantomeno sul piano morale), avrebbe rappresentato un fatto compiuto – è il caso di considerare, innanzitutto, le seguenti iscrizioni: CIL. VIII.26590 = CIL. VIII.1495 = BCTH. (1907), p. ccxxx, nr. 1, databile tra il 205 e il 261 d.C. e proveniente da Thugga; AE. 1917-1918, 43-44 = BCTH. (1917), p. 339 e s., nr. 66, databile al 5 gennaio 222 d.C. e proveniente da Uzelis – CIL. VIII.19121 = AE. 1888, 140 = ILAlg. II, 6486 = ILS. 4479, riferibile al 211-212 d.C. e proveniente da Sigus; CIL. VIII.12006 = CIL. VIII.12007 = Eph. V.293 = Eph. V.1212, databile tra il 10 dicembre 211 e il 9 dicembre 212 d.C. e proveniente da Vazi Sarra; AE. 2004, 1876, databile al 202 d.C. o in un anno immediatamente successivo e proveniente da Bulla Regia.

Si muove, quindi, da

  1. VIII.26590 = CIL. VIII.1495 = BCTH. (1907), p. ccxxx, nr. 1[13]

Asiciae Victoriae / fl(aminicae) Thuggenses ob muni/[f]icientiam (sic!) et singula/rem liberalitatem eius / in rem p(ublicam) quae ob flamonium / [V]ibiae Asicianes fil(iae) suae (sestertium) C / mil(ia) n(ummum) pollicitast ex quorum re/[d]itu ludi scaenici et sportulae / decurionibus darentur d(ecreto) d(ecurionum) / utriusque ordinis posuer(unt)[14] [Thugga, a. 205 - 261 d.C.[15]].

Rispetto alle nostre finalità dimostrativepresenta particolare interesse l’uso che nel testo lapideo viene fatto della sottolineatura “ob munificentiam et singularem liberalitatem”. Questa, infatti, esprime, in modo diretto ed esplicito, in termini di munifica generosità (munificentia) e di liberalità (liberalitas) del tutto eccezionale (singularis)[16] il fatto che la flaminica Asicia Victoria – ritratta e celebrata nella statua la cui base ha tramandato l’epigrafe in esame – si fosse resa autrice di una pollicitatio[17] concernente l’elargizione, a beneficio della res publica di Thugga, della somma di 100.000 sesterzi, il cui reditus annuo avrebbe dovuto essere, periodicamente, destinato all’allestimento di ludi scaenici e alla predisposizione di donativi in denaro (sportulae) a beneficio dei decurioni della città[18].

Laddove, poi, si consideri che la pollicitatio risulta essere stata formulata da Asicia Victoriaob flamonium filiae suae”, quindi in diretto rapporto con l’assunzione del flaminato da parte della di lei figlia, Vibia Asicianes[19], ecco che la sottolineatura in parola finisce per rappresentare un indicatore di carattere testuale significativamente ostativo rispetto alla possibilità di presupporre l’esistenza di un vincolo, anche solo morale, a promettere (e ciò senza considerare l’ammontare della somma oggetto della pollicitatio – non a caso, come si è visto, in apposizione al sostantivo liberalitas ricorre l’aggettivo ‘singularis’ – di ben dieci volte superiore alla summa honoraria, pari a 10.000 sesterzi, dovuta, in base alla legge, a Thugga, da chi fosse stato chiamato a rivestire la carica di flamine)[20].

Formulata ‘ob honores coniunctos’(decurionatus et magistratus) è la pollicitatio di cui dà conto

AE. 1917-1918, 43-44 = BCTH. (1917), p. 339 e s., nr. 66

Herculi invicto sac(rum) / conservatori domini n(ostri) / [[Imp(eratoris) Caes(aris) M(arci) Aureli / Antonini Pii Felicis Aug(usti)]] / M(arcus) Clodius L(uci) f(ilius) Q(uirina tribu) Fidus mag(ister) / quaest(ura) func(tus) am(a)tor patriae / statu(a)m cum base qu(a)m die / III Nonar(um) Ianuar(iarum) sua liberali/tate pollicitus est inlatis / praeterea r(ei) p(ublicae) honorariis / summis decurionatus et mag(istratus) / et ob eius dedicationem edi/to die ludorum scenico/rum sua pecun(ia) fecit idemq(ue) / dedicavit l(ocus) d(atus) d(ecreto) d(ecurionum) // promissa III Nonas / Ianuar(ias) Grato [[et / Seleuco]] co(n)s(ulibus) / dedicata [[Antonino / IIII et Alexandro co(n)s(ulibus)]][21] [Uzelis, a. 5 gennaio 222 d.C.].

A polliceri il 5 gennaio del 221 d.C. (“promissa[22] III Nonas Ianuarias Grato et Seleuco consulibus”) sarebbe stato tale Marcus Clodius Fidus, il quale si sarebbe così impegnato ad innalzare una statua cum base in onore di Ercole Invitto nella città di Uzelis. Egli avrebbe ‘onorato’ tale prestazione nel 222 d.C. (a proposito della statua si precisa, infatti, che fu “dedicata Antonino IIII et Alexandro consulibus”), collocando la statua nel luogo messo a disposizione dai decurioni (“locus datus decreto decurionum”) e provvedendo, altresì, ad allestire, in occasione della dedicatio, una giornata di ludi scaenici (“et ob eius dedicationem edito die ludorum scenicorum”).

Posto che la riferibilità di tale promessa all’assunzione da parte di Marcus Clodius Fidusdi ben due honores: decurionatus et magistratus e, quindi, il carattere ‘ob honores coniunctos’ della stessa si può, legittimamente, fare discendere – pur in assenza del ‘comune’ sintagma ‘ob honorem’seguito dal sostantivo esplicativo dell’honor in genitivo(o di altra formula, sostanzialmente, equivalente) – dalla sottolineatura “inlatis praetera rei publicae honorariis summis decurionatus et magistratus” – ossia dall’esplicita attestazione del fatto che la pollicitatio sarebbe stata accompagnata dalla corresponsione da parte dello stesso promittente delle summae honorariae legalmente dovute a Uzelisin rapporto all’assunzione del decurionato e, verosimilmente, della carica di magister pagi[23] – riveste un peso del tutto specifico, rispetto agli intendimenti dimostrativi qui perseguiti, il ricorrere della locuzione “sua liberalitate” in apposizione all’espressione verbale“pollicitus est”. Essa presenta, infatti, l’attitudine a connotare la pollicitatioob honores coniunctos’ di Marcus Clodius Fidus in termini di ‘libera’ e ‘spontanea’ espressione di manifesta generosità.

Proseguendo in ordine cronologico, viene in rilievo

CIL. VIII.19121 = AE. 1888, 140 = ILAlg. II, 6486 = ILS. 4479

Deo patrio / Baliddiri Aug(usto) / sacrum / Q(uintus) Tadius Q(uinti) fil(ius) / Quirina (tribu) Victor / statuam aeream / quam ob honorem / flamonii divi Seve / ri castelli Siguitani / pollicitus erat fac / turum a se ex (denariis) DL ampli/ficata liberalitate / ex (denariis) mille cum base / Tadii / Victor Iunior et / Saturninus et / Honorata et Fe/lix filii et here/des eius dederunt / dedicaverunt l(ocus) d(atus) d(ecreto) d(ecurionum)[24] [Sigus, a. 211-212 d.C.].

 

L’iscrizione ha per ‘protagonisti’ tale Quintus Tadius Victor e i di lui figli ed eredi Victor Iunior, Saturninus, Honorata e Felix. Il primo si sarebbe reso autore di una pollicitatioob honorem flamonii divi Severi castelli Siguitani” (il fatto che l’honor flamonii riguardi il divinizzato Settimio Severo comporta la necessità di datare l’iscrizione a dopo il 211 d.C.[25]), avente ad oggetto l’erezione di una statua di bronzo (statua aerea) Deo patrio Baliddiri Augusto, per l’importo di 550 denarii (“ex denariis DL” = 2200 sesterzi); gli altri avrebbero provveduto a dare esecuzione alle volontà paterne facendo realizzare la statua con l’aggiunta di una base (“cum base”), dandole collocazione nel luogo ad essa destinato dall’ordo decurionum (“locus datus decreto decurionum”) e provvedendo, altresì, alla relativa dedicatio (“dedicaverunt”), il tutto per un esborso complessivo pari a mille denarii (= 4.000 sesterzi): “ex denariis mille cum base Tadii Victor Iunior et Saturninus et Honorata et Felix filii et heredes eius dederunt dedicaverunt locus datus decreto decurionum”.

Di particolare valenza, per quanto qui più rileva, il fatto che a qualificare l’intervento dei filii ed heredes di Quintus Tadius Victor, sotto il profilo del ‘rapporto’ con la di lui pollicitatio ob honorem flamonii, ricorra la locuzione “amplificata liberalitate”.

Posto che essa opera, specificamente, nella prospettiva di evidenziare l’ampliatio pecuniae di cui Victor Iunior, Saturninus, Honorata e Felix si sarebbero resi autori (come si è visto, costoro avrebbero sborsato 440 denarii [= 1.800 sesterzi] in più di quelli che il loro padre aveva riversato nella pollicitatio), non si può fare meno di notare come, proprio per il fatto di instaurare un rapporto comparativo tra il valore della promessa formulata da Quintus Tadius Victor (550 denarii = 2200 sesterzi) e i costi effettivamente sostenuti nel dare esecuzione alla stessa dai di lui figli ed eredi (1.000 denarii = 4.000 sesterzi), finisca per ricomprendere sotto la qualificazione di liberalitas e, quindi, per ricondurre all’interno del medesimo contesto di generosità e di spontaneità connotante l’ampliatio pecuniae realizzata da Victor Iunior, Saturninus, Honorata e Felix, anche l’agire del loro pater e, perciò, anche la pollicitatio ob honorem flamonii da lui formulata.

Si passa a considerare

  1. VIII.12006 = CIL. VIII.12007 = Eph. V.293 = Eph. V.1212

[P]ro salute Imp(eratoris) Caes(aris), divi Septimi Severi [p]ii Ara[b(ici)], Adiabe[nic]i Parthici maximi Brit[an]nici maximi fil(ii), divi M(arci) Antonini Pii Germanici Sarmatici nepot(is), divi Antonini Pii / pronep(otis), divi Hadriani abnep(otis), divi Traiani Parthici et divi Nervae adnepot(is), M(arci) Aureli Antonini Pii Felicis, principis Iuventutis, Augusti / Parthici maximi Brittann[i]ci (sic!) max(imi), pont(ificis) max(imi), trib(unicia) potest(ate) XV, imp(eratoris) II, co(n)s(ulis) III, p(atris) p(atriae), et Iuli[ae] Domnae Augustae piae Felicis, matris Aug(usti) et castrorum et senatus totiusq(ue) domus divinae, / P(ublius) Opstorius Saturninus, fl(amen) p(erpetuus), sac(erdos) Merc(uri), cum patriae suae Vazitanae triplicata summa fl(amonii) p(erpetui) HS III m(ilium) n(ummum) aedem Mercurio Sobrio pollicitus fuisset, ampliata liberalitate eandem aedem / cum pronao et ara fecit et ob dedicat(ionem) aepulum (sic!) et gymnasium ded[it, lo]c(o) dat(o) d(ecreto) d(ecurionum). Idem iam ant(e) hoc ob honorem XIpr(imatus) aed[e]m Aesculapio deo promissam bassil(icam) (sic!) coh(a)erent(em) multiplicata pec(unia) fecit[26] [Vazi Sarra, a. 10 dicembre 211-9 dicembre 212 d.C.].

Qui il ‘protagonista’ è tale Publius Opstorius Saturninus. Costui, corrisposta una somma di denaro pari a tre volte l’ammontare della summa honoraria dovuta nella città di Vazi Sarra per il flamonium perpetuum, si sarebbe reso autore di una pollicitatio con la quale avrebbe assunto l’impegno di erigere un’aedes in onore di Mercurius Sobrius; quindi, in un secondo momento, ‘ampliata liberalitate’, avrebbe provveduto a fare realizzare l’aedes con un pronao e un’ara e a collocarla nel luogo concesso dal consiglio dei decurioni (“loco dato decreto decurionum”), offrendo, altresì, in occasione della dedicatio un banchetto (epulum) e un gymnasium (l’iscrizione menziona un’ulteriore pollicitatio, peraltro antecedente a quella appena richiamata, anch’essa finalizzata alla realizzazione di un’aedes, ma in onore di Aesculapius e ob honorem XIprimatus, e seguita da una multiplicatio pecuniae, funzionale a consentire la realizzazione, oltre che dell’aedes, di una basilica costruita in aderenza, cohaerens).

Viene immediato rimarcare il ricorrere nel testo della locuzione ‘ampliata liberalitate’. Essa va in parallelo, quanto a significato e rispetto al contesto in cui figura calata, con l’’amplificata liberalitate’ di CIL. VIII.19121 = AE. 1888, 140 = ILAlg. II, 6486 = ILS. 4479. Anche in questo caso l’attitudine qualificatoria di cui è capace il termine liberalitas si estende a ogni ‘momento’ dell’iniziativa assunta da Publius Opstorius Saturninus a beneficio della res publica di Vazi Sarra. Ad esserne connotata non è solo l’ampliatio pecuniae ma, innanzitutto, la stessa pollicitatio, nella quale tra l’altro – il dato viene ben rimarcato – Publius Opstorius Saturninus, in vista della realizzazione dell’aedes in onore di Mercurius Sobrius, avrebbe riversato una somma di denaro pari al triplo di quella che, a Vazi Sarra, era dovuta a titolo di summa honoraria per l’assunzione della carica di flamine ‘perpetuo’ (“triplicata summa flamonii perpetui”).

Peraltro, analogamente a quanto osservato a proposito di CIL. VIII.19121 = AE. 1888, 140 = ILAlg. II, 6486 = ILS. 4479, proprio la sottolineatura “triplicata summa flamonii perpetui” dà modo di ascrivere l’assunzione da parte di Publius Opstorius Saturninus della carica di flamen perpetuus a specifico ‘motivo’ della pollicitatio e, quindi, di attribuire a quest’ultima carattere ob honorem.

L’attenzione va ora focalizzata su

AE. 2004, 1876

[Imp(eratori) C]aes(ari) M(arco) Aurelio Antoni[n]o / [Aug(usto) P]io, principi iuventutis, / Imp(eratoris Caes(aris) / L(uci) Septimi Severi Pii Perti/nacis Aug(usti) Arab(ici) Adiab(enici) Parthic(i) max(imi) / fil(io), divi M(arci) Antonini Pii Germ(anici) [Sarm(atici)] / nepoti, divi Antonini Pii pronepoti, di[vi] / Hadr(iani) abnep(oti), divi [Tr]aiani Parthici et / divi Nervae adne[po]ti, / sede[m---]L cum s[ta]tua / togata [[--- et filius ?]] eius / Q(uintus) Domitius L. fil(ius) Quir(ina) Pudens, IIvir [---] / liberalitate pollicitus, sua [pecunia ? / summa]m ? quo[que ? hon]or(ariam) IIvi[r(atus) ---][27] [Bulla Regia, a. post 201 d.C.].

Posto che il testo, si presenta assai mutilo e sconta, perciò, evidenti difficoltà di lettura, che ne rendono problematica l’interpretazione, sembrano potersi accogliere, rispetto alla linea 14, per noi di specifico interesse, le integrazioni proposte da Mustapha Khanoussi e da Attilio Mastino sulla scorta di un suggerimento di Angela Donati[28] e, di seguito, recepite dall’Anneé Epigraphique, da cui si cita, per cui si avrebbe: “summam quoque honorariam IIviratus”.

Ora, queste parole sono, immediatamente, precedute dalla menzione di una pollicitatio (‘pollicitus’).

Ascritta ad un notabile di Bulla Regia (il cui nominativo non è, però, dato conoscere, essendo stato eraso in antico, probabilmente in conseguenza di una damnatio memoriae[29]) e, quasi certamente, al di lui filius e duoviroQuintus Domitius Pudens (“et filius eius Quintus Domitius Pudens, IIvir”) e riferita all’allestimento con fondi privati (‘sua pecunia’) di una statua togata, raffigurante l’imperatore Caracalla[30], e della relativa sedes, ossia del monumento sul quale o nel quale doveva essere inserita (“sedem cum statua togata[31]) – la pollicitatio in parola (stante l’integrazione qui accolta della linea 14 del testo epigrafico) risulta essere stata accompagnata dal versamento della summa honoraria che a Bulla Regia era dovuta dagli eletti al duovirato. A fronte di ciò, appare legittimo, assumere, anche in questo caso, il carattere ob honorem, per l’appunto IIviratus, della promessa.

Il ricorrere, poi, dell’ablativo ‘liberalitate’ quale apposizione di ‘pollicitus’ appare del tutto in linea con quanto è emerso dai testi esaminati e, in particolare, da AE. 1917-1918, 43-44 = BCTH. (1917), p. 339 e s., nr. 66, ove – come si è visto – si ha la locuzione “sua liberalitate pollicitus est”. Di riflesso, le considerazioni ivi svolte trovano qui naturale estensione.

La databilità al III sec. d.C. accomuna alle iscrizioni fin qui richiamate D. 50.12.9. Il passo – tratto dal libro quarto dei Differentiarum libri IX di Erennio Modestino – per il fatto di richiamare i contenuti normativi di una costituzione attribuita agli, ormai divinizzati e, quindi, defunti, imperatori Settimio Severo e Antonino Caracalla (“divi Severus et Antoninus rescripserunt”), va, necessariamente, ascritto ad un anno successivo al 217 d.C. (ma, al tempo stesso, non posteriore al 240 d.C. circa, termine ad quem, comunemente accolto, della pubblicazione dei Differentiarum libri IX [32]).

D. 50.12.9 (Modestinus libro quarto differentiarum): Ex pollicitatione, quam quis ob honorem apud rem publicam fecit, ipsum quidem omnimodo in solidum teneri: heredem vero eius ob honorem quidem facta promissione in solidum, ob id vero, quod opus promissum coeptum est, si bona liberalitati solvendo non fuerint, extraneum heredem in quintam partem patrimonii defuncti, liberos in decimam teneri divi Severus et Antoninus rescripserunt. sed et ipsum donatorem pauperem factum ex promissione operis coepti quintam partem patrimonii sui debere divus Pius constituit.

Ho già avuto occasione di soffermarmi diffusamente sul dispositivo di D. 50.12.9, ciò anche nella prospettiva di fornire dimostrazione di come sia da correggere la lettura ‘tradizionale’ che vede nell’inciso “ob id vero, quod opus promissum[33] coeptum est” il ‘momento’ di ‘trapasso’ dal ‘rei publicae polliceri’ ob honorem (a cui farebbere riferimento tutta la prima parte del frammento, sino a “in solidum”) a quello non ob honorem, per cui a tale ‘tipologia’ avrebbe riguardo tutta la restante parte del brano, compresa, quindi, la costituzione divorum Severi et Antonini (quanto alle ragioni sia di ordine logico-sistematico sia di carattere sintattico-grammaticale che presiedono alla correttezza di tale conclusione e, quindi, all’assunzione della piena unitarietà di D. 50.12.9 a fronte dell’univocità ob honorem del ‘rei publicae polliceri’ disciplinato, mi permetto di fare generico rinvio alla trattazione che ho svolto in altra sede[34]).

Alla luce di tali presupposti assume specifica rilevanza – a fronte del percorso dimostrativo in corso – la sottolineatura “si bona liberalitati solvendo non fuerint”. Essa – nell’esprimere la condizione alla quale, stante Modestino, la già menzionata costituzione divorum Severi et Antonini avrebbe introdotto un’attenuazione di responsabilità a beneficio dell’heres extraneus e dei liberi, nell’eventualità che i beni ereditari non fossero stati sufficienti a coprire i costi dell’opus fatto oggetto di pollicitatio (come si è detto da ritenersi ob honorem) da parte del de cuius e sempre da costui avviato ad esecuzione (l’heres extraneus e i liberi erano esentati dall’obbligo di ultimare l’opus, potendo, in alternativa, rimettere alla res publica la quinta, il primo, la decima, i secondi, pars patrimonii defuncti; “si bona liberalitati solvendo non fuerint, extraneum heredem in quintam partem patrimonii defuncti, liberos in decimam teneri divi Severus et Antoninus rescripserunt”) – finisce, infatti, per qualificare (ancora una volta si riscontra l’impiego del sostantivo liberalitas (‘liberalitati’)) la pollicitatio in parola quale manifestazione ‘libera’ e ‘spontanea’ di generosità.

3.2. Le fonti risalenti all’ultimo decennio del II sec. d.C.

Precedono solo di pochi anni l’inizio del III sec. d.C. CIL. VIII.14370 = Eph. VII.247 = ILTun. 1212 = BCTH. (1886), p. 109 = BCTH. (1932-1933), p. 497 e CIL. VIII.4482, databili, rispettivamente, al 196 d.C., la prima, proveniente da Avedda, e al biennio 193-194 d.C. la seconda, proveniente da Tubunae.

Le si considera in sequenza.

  1. VIII.14370 = Eph. VII.247 = ILTun. 1212 = BCTH. (1886), p. 109 = BCTH. (1932-1933), p. 497

[Imp(eratori) Caes(ari) L(ucio) Septimio / Seve]ro Pio Pertinaci / [Au]g(usto) Parth(ico) Arabico Par/(thico) Adiabenico tr(ibunicia) p(otestate) IIII / [I]mp(eratori) VIII co(n)s(uli) II pr[oco](n)s(uli) / [.] L(ucius) Alfius Secundus f(lamen) p(erpetuus) statu/as equestres [dua]s ex (sestertium) / XII (milibus) n(ummum) quae L(ucius) Alfius Felix pa/ter eius duplicata summa / honoraria f(lamonii) p(erpetui) ex sua libera/litate promiserat per/missu ordinis po[su]it[35] [Avedda, a. 196 d.C.].

Anche in questo caso la riferibilità al contesto elettorale della pollicitatio – formulata da Lucius Alfius Felix ma adempiuta, ‘permissu ordinis’, dal di lui figlio, il flamen perpetuus Lucius Alfius Secundus, e avente ad oggetto due statue equestri (per la cui realizzazione risultano essere stati spesi 12.000 sesterzi) – risulta non dal ricorrere della ‘consueta’ espressione ob honorem seguita dall’indicazione dell’honor in genitivo (o da altra analoga locuzione), bensì dalla sottolineatura concernente la duplicatio della summa honoraria flamoni perpetui (“duplicata summa honoraria flamoni perpetui”) di cui si sarebbe reso autore Lucius Alfius Felix all’atto della pollicitatio. Egli, così facendo, ossia vincolandosi a corrispondere una somma di denaro pari al doppio di quella che ad Avedda era dovuta ex lege da chi si trovava ad assumere il flamonium perpetuus, avrebbe garantito la disponibilità di una somma (i 12.000 sesterzi) sufficiente alla realizzazione delle due statue, costituenti l’oggetto ‘diretto’ della sua promessa.

Il fatto, poi, che alla forma verbale “promiserat[36], espressiva, per l’appunto, della pollicitatio formulata da Lucius Alfius Felix, si accompagni, qualificandola sotto il profilo volontaristico, il termine liberalitas, declinato all’interno della locuzione “ex sua liberalitate”, non lascia dubbio alcuno in ordine alla legittimità di riferire all’agire di Lucius Alfius Felix gli stessi caratteri ascritti alle evergesie ‘protagoniste’ nei testi lapidei considerati, oltre che in D. 50.12.9.

Passando a

  1. VIII.4482

Divo Commod[o] / Imp(eratori) Caes(ari) L(uci) [Sep]/timi Severi P[ii] / Pertinacis / Aug(usti) Arabici / Adiabenici [fra]/tri Q(uintus) C[a]lp[urni]/us Q(uinti) [f(ilius)] pal--- /cus ------- statua[m ob] hon(orem) / IIvir(atus) quam ex / sua liberali/tate promi/sit posuit i/demq(ue) ded[ic(avit)] [Tubunae, a. 193-194 d.C.]

qui la locuzione ob honorem seguita dal genitivo IIviatus è sufficiente (anche, cioè, in mancanza questa volta, di qualsiasi riferimento alla relativa summa honoraria (a questo punto, forse avvertito come superfluo) a connotare la promessa, formulata da tale Quintus Calpurnius e avente ad oggetto una statua raffigurante l’imperatore Commodo (peraltro, la qualifica di divus attribuita a quest’ultimo, ‘Divo Commodo’, e attestantene la divinizzazione post mortem, induce a ritenere che il posizionamento e la dedicatio della statua siano intervenuti quando egli era già defunto).

Anche in questo caso, poi, alla formula verbale ‘promisit[37], espressiva della pollicitatio, figura apposta la locuzione ‘sua liberalitate’ (“statuam ob honorem IIviratus quam ex sua liberalitate promisit”), a fronte della quale appare legittimo ‘leggere’ (anche) la pollicitatio ob honorem IIviratus di Quintus Calpurnius in termini di spontanea e munifica espressione evergetica[38].

4. Osservazioni di sintesi

Gli esiti conclusivi a cui è possibile giungere non rappresentano altro che la sommatoria degli esiti parziali emersi e ‘dichiarati’ al termine dell’esame condotto su ciascuna delle fonti epigrafiche considerate e su D. 50.12.9.

Essi si ricompongono all’interno di un quadro unitario e coerente, capace di confermare e di rafforzare la correttezza delle enunciazioni di François Jacques, da cui ha preso avvio il presente contributo.

Si tratta di un quadro all’interno del quale emerge una serie d’indicatori di carattere testuale, costituiti da sintagmi e locuzioni connotati dal ricorrere dei sostantivi liberalitas e/o munificentia. Questi – per il fatto di figurare in apposizione a forme promissorie identificative di pollicitationes espressamente qualificate come ob honorem o, comunque, riconducibili a tale tipologia in forza di altre, ugualmente evidenti e probanti sottolineature (quali la menzione della corresponsione della summa honoraria o di una somma parametrata a quest’ultima e rappresentante rispetto ad essa una ampliatio sive multiplicatio) – finiscono per ‘esaltare’ il carattere di munifica liberalità e di spontanea generosità di tali pollicitationes e, quindi, per evidenziare la natura evergetica delle stesse.

É di tutta evidenza l’ostacolo che si viene così a frapporre alla possibilità di ‘insistere’ nella ‘direzione’, intrapresa da una parte della dottrina, di ascrivere al ‘rei publicae polliceri’, quantomeno a quello ob honorem, quella trasformazione – sostenuta da una parte della dottrina – per cui, tra il II e l’inizio del III sec. d.C., esso avrebbe perso il proprio tratto originario e distintivo di manifestazione del tutto ‘libera’ e ‘spontanea’ e avrebbe assunto carattere di obbligatorietà, morale se non anche giuridica.

Valga solo aggiungere la seguente precisazione, alla quale mi sento in dovere a fronte del modo in cui Paul Veyne, proprio all’atto di affermare che “la pollicitation” da “geste spontané de remerciement … est devenu moralement obligatoire”, ha sottolineato come, ciononostante, “les pollicitateurs, dans les inscriptions, continuent à se prévaloir de leur promesse comme d’une liberalitas. C’est que, si les bénéficiaires avaient vite fait de faire de la générosité un devoir et de prendre le donateur au mot, ce dernier tenait à affirmer le caractère spontané de sa promesse”[39].

Lo studioso coglie, quindi, il dato testuale: la ricorrenza del sostantivo liberalitas – anche se, va detto, manca di ‘rivestirlo’ di ‘concretezza’, quantomeno attraverso esemplificazioni, e senza distinguere tra promesse ob honorem e promesse non ob honorem – solo che ritiene di poterlo ‘annullare’ nella sua rilevanza e nelle sue implicazioni di carattere interpretativo. La spiegazione che egli propone (peraltro, in termini del tutto apodittici) è, infatti, volta ad assumere il dato in parola quale ‘manifestazione’ della consapevole e dolosa attività di ‘falsificazione’ posta in essere dai pollicitatores al fine di dissimulare l’obbligatorietà (quantomeno morale se non anche giuridica) connotante il loro agire.

Per quanto la veste del tutto congetturale dell’assunto di Veyne esima, di per sé, da qualsiasi tentativo di confutazione (e ciò anche limitando ogni attenzione al dato epigrafico, il solo preso a riferimento dallo studioso; prescindendo, quindi, dalle indicazioni fornite da D. 50.12.9, rispetto alle quali non è dato ipotizzare falsificazione di sorta), è d’uopo rimarcare come ad inficiarlo vi sia uno dei caratteri distintivi della gran parte delle fonti epigrafiche, in particolare di quelle onorifiche e celebrative, quali, per l’appunto, sono quelle ‘collegate’ al ‘rei publicae polliceri’: la (loro) destinazione pubblica.

Si tratta di testi che erano destinati a fare bella mostra di sé in luoghi visibili ai più, sottoposti alla lettura e al giudizio di tutta la comunità e, di conseguenza, ad un rigoroso controllo sociale, che derivava dal loro proporsi quale messaggio pubblico, rivolto, innanzitutto, ai contemporanei e, quindi, passibile d’immediata verifica. In ragione di ciò, essi dovevano essere non solo chiari ma anche fededegni; chiunque, infatti, avrebbe potuto riconoscere e denunciare pubblicamente le loro inesattezze ed imprecisioni e svelarne le falsità[40].

Stando così le cose, è facile immaginare che qualsiasi tentativo dei pollicitatores di distorcere la realtà non sarebbe, di certo, sfuggito all’attenzione e alla ‘censura’ della collettività, finendo così per risultare del tutto controproducente (eventualmente, anche in vista della partecipazione ad ulteriori ‘campagne elettorali’).

È, dunque, impensabile che costoro potessero spingersi a fornire una falsa rappresentazione del loro agire e, di riflesso, delle loro persone, facendo passare per generosamente elargito ciò che, in realtà, era dovuto, in quanto espressione di un vero e proprio obbligo (morale, se non anche giuridico).

*Il contributo è stato sottoposto a double blind peer review

[1] Fr. Jacques, Le privilège de liberté. Politique impériale et autonomie municipale dans les cités de l’Occident romain (161-244)”, Ecole Française de Rome, Palais Farnèse, Roma 1984.

[2] Ossia rivolte ad una res publica e ‘motivate’ o dall’assunzione, da parte dello stesso pollicitator o di un soggetto terzo a costui ‘legato’, di un honor (‘decretum’) o dalla prospettiva di ‘favorire’ tale eventualità (‘decernendum’). Sull’argomento, anche per le opportune indicazioni di carattere bibliografico, v. P. Lepore, «Rei publicae polliceri». Un’indagine giuridico-epigrafica, Seconda edizione riveduta e ampliata, Milano 2012.

[3] L’espressione ricorre in D. 50.12.1.1 (Ulp. l. sing. de officio curatoris rei publicae); v. P. Lepore, ivi, praecipue p. 179 e ss.

[4] La medesima funzione identificativa connota anche i sintagmi pro honore, honoris causa, in honorem e la causale ob seguita dal sostantivo esplicativo dell’honor in accusativo. Va, inoltre, detto come la qualificazione «ob honorem» della pollicitatio, si possa, altresì, derivare: a) dall’impiego di una delle seguenti formulazioni: “amplius ad (super, praeter) honorariam (legitimam) summam pollicitus est (promisit)” – “inlata summa honoraria (legitima) pollicitus est (promisit)” – “ampliata (duplicata, triplicata etc.) summa honoraria pollicitus est (promisit)” – “ex summa honoris pollicitus est (promisit)” (il versamento, da parte del pollicitator, di una determinata summa honoraria vel legitima, attestato dalle locuzioni in parola, sembra rappresentare la prova evidente della riconducibilità della promessa alla causa honorisb) dal ricorrere della sottolineatura “in anno honoris” (l’espressa riconduzione del “rei publicae polliceri” al periodo di esercizio dell’honor appare significativa della sussistenza di uno preciso legame tra l’assunzione della carica pubblica e la promessa e, quindi, del carattere ob honorem di quest’ultima) – c) dall’attribuzione al promittente della qualifica di candidatus. Sul punto, anche per quanto concerne l’interscambiabilità delle espressioni verbali polliceri e promittere, nonché dei corrispondenti sostantivi, per indicare il ‘rei publicae polliceri’, v. P. Lepore, ivi, pp. 47 e ss., praecipue 143 e ss.

[5] V. A. Ibba (a cura di), Uchi Maius 2. Le iscrizioni, Collana diretta da Mustapha Khanoussi e Attilio Mastino, Sassari 2006, p. 102.

[6] Il termine evergetismo rappresenta un neologismo, utilizzato per la prima volta in modo tecnico da A. Boulanger nel lontano 1923 [A. Boulanger, Aelius Aristides et la sophistique dans la province d’Asie au II siècle de notre ére, Paris 1923]. Da allora un numero sempre crescente di saggi e di monografie, di colloqui e di volumi miscellanei è stato dedicato a questo concetto e, nell’ambito degli studi sul mondo romano, la nozione è stata sottoposta ad un tale processo di allargamento da assumere un valore omnicomprensivo. L’elencazione che segue comprende solo alcuni degli innumerevoli contributi che negli ultimi decenni hanno riguardato ex professo l’’evergetismo romano’, ad essi rinvio per ulteriori approfondimenti bibliografici: R. Frézouls, Evergétisme et construction urbaine dans les Trois Gaules et les Germanies, in Revue du Nord, 66 (1984), p. 27 e ss.; Id., Évergétisme et construction publique, étude comparative: la VIIe Région et la Narbonnaise, in Atti del convegno Studi Lunensi e prospettive sull’Occidente romano, Lerici, settembre 1985, Centro Studi Lunensi 1987, p. 211 e ss.; Id., Évergétisme et construction publique en Italie du Nord (Xe et XIe régions Augustéennes), in La città nell’Italia settentrionale in età romana. Morfologie, strutture e funzionamento dei centri urbani delle Regiones X e XI…, cit., p. 179 e ss.; G. Bodei Giglioni, Lavori pubblici ed evergetismo privato, in S. Settis (a cura di), Civiltà dei romani. La città, il territorio, l’impero, Milano 1990, p. 99 e ss.; M. Le Glay, Évergétisme et vie religieuse dans l’Afrique romaine, in L’Afrique dans l’Occident romain (Ier siècle a.v. J.-C. - IVe siècle ap. J.-C.). Actes du colloque organisé par l’École Française de Rome sous le patronage de l’Institut National d’Archéologie et d’Art de Tunis (Rome, 3-5 décembre 1987), Roma 1990, p. 77 e ss.; J.-L. Ferrary, De l’évergétisme hellénistique à l’évergétisme romain, in Actes du Xe Congrès International d’épigraphie gracque et latine, Nîmes, 4-9 octobre 1992 (édités par M. Christol et O. Masson), Paris 1997, p. 199 e ss.; C. Virvoulet, L’apport des sources littéraires à l’étude de l’évergétisme à Rome et dans les cités d’Italie à la fin de la République, ivi, p. 227 e ss.; S. Panciera, L’evergetismo civico nelle iscrizioni latine di età repubblicana, ivi, p. 249 e ss.; G. Alföldy, Evergetismus und Epigraphik in der Augusteischen Zeit, ivi, p. 293 e ss.; W. Eck, Der Evergetismus im Funktionzusammengang der Kaiserzeitlichen Staadte, ivi, p. 305 e ss.; C. Lepelley, Évergétisme et épigraphie dans l’Antiquité tardive: les provinces de langue latin, ivi, p. 335 e ss.; Ch. Rouché, Benefactors in the Late Roman Period: The Eastern Empire, ivi, p. 353 e ss. V. anche E. Melchor Gil, Evergetismo y distribuciones en la Hispania romana, in Florentia Iliberritana. Revista de estudios de antigüedad clásica 3 (1992), p. 375 e ss.; Id., Evergetismo en la Hispania Romana, Córdoba 1993, passim (Tesis Doctoral publicada en microfichas); Id., Evergetismo annonario y alimenta en Hispania Romana, in Veleia 10 (1993), p. 101 e ss.; Id., Construcciones cívicas y evergetismo en Hispania Romana, in Espacio, tiempo y forma. Serie II, Historia antigua 6 (1993), p. 443 e ss.; Id., El mecenazgo civico en la Bética. La contribucion de los evergetas al desarrollo de la vida municipal, Córdoba 1994, passim; Id., Construcciones sacras y evergetismo en Hispania Romana, in Preactas del III Congreso Peninsular de Historia Antigua, Vitoria 1994, p. 673 e ss.; Id., Consideraciones acerca del origen, motivación y evolución de las conductas evergeticas en Hispania romana, in Studia Histórica, Historia Antigua 12 (1994), p. 61 e ss.; Id., Evergetismo testamentario en la Hispania romana: legados y fundaciones, in MHA. 15-16 (1994-1995), p. 219 e ss.; Id., Consideraciones sobre la munificencia civica en la Bética romana…, cit., p. 157 e ss.; Id., Las elites municipales hispanorromanas a fines de la república y en el alto imperio: ideología y conductas sociopolíticas, in Hispania. Las provincias hispanas en el mundo romano, eds. J. Andreu Pintado, J. Cabrero Piquero, I. Rodà de Llanza, Tarragona 2009, p. 397 e ss.; P. Le Roux, Epigrafia ed evergetismo: la Spagna nel II-III secolo d.C., in M. Pani(a cura di), Epigrafia e territorio Politica e società. Temi di antichità romane, vol. III, Bari 1994, p. 175 e ss.; F. Gascò, Evergetismo y conciencia civica en la parte oriental del imperio, in Habis 26 (1995), p. 177 e ss.; E.M. Morales Rodriguez, “Evergetas y paisaje urbano en los municipios flavios de la provincia de Jaén’’, in Universidad de Granada, Florentia Iliberritana. Revista de estudios de antigüedad clásica 8 (1997), p. 361 e ss.; H. Galsterer, Aspetti finanziari nel mondo antico: evergetismo e fiscalità nelle città romane, in Atti della Accademia Roveretiana degli Agiati (Classe di Scienze umane. Classe di Lettere ed Arti), 248 (1998), p. 75 e ss.; H.El. Kentaoui, L’activité évergétique en Afrique romaine sous le Haut-Empire, Étude Epigraphique, Paris 1998, passim; S. Lefebvre, Donner, recevoir: les chavaliers dans les hommages publics d’Afrique, in L’ordre équestre. Histoire d’une aristocratie (IIe siècle av. J.-C. - IIIe siècle ap. J.-C.), Actes du colloque international organisé par S. Demougin, H. Devijver et M.T. Raepsaet-Charlier (Bruxelles-Leuven, 5-7 octobre 1995), Roma 1999, p. 513 e ss.; Ead., Les hommages publics rendus aux membres de la famille impériale de la mort de César à la mort de Domitien (Regiones I, IV et V), in M. Cébeillac-Gervasoni (ed.), Les élites municipales de l’Italie péninsulaire de la mort de César à la mort de Domitien entre continuité et rupture. Classes sociales dirigeantes et pouvoir central, Roma 2000, p. 267 e ss.; J. Andreu Pintado, Munificencia publica en la provincia Lusitania: una sintesis de su desarrollo entre los siglos I y IV D.C., in Conimbriga 38 (1999), p. 31 e ss.; Id., Munificencia y munificentes. Riqueza y manifestaciones de riqueza de las élites en la provincia Lusitania, in Économie et territoire en Lusitanie romaine. Actes et travaux réunis et presents par J.-G. Gorges et F. Germán Rodríguez Martin, Madrid 1999, p. 453 e ss.; Id., La participación de las elites en la mejora urbanística y el equipamiento ornamental de sus ciudades entre Tiberio y Trajano: el ejemplo de la provincia Lusitania, in C. Castillo, F.J. Navarro, R. Martínez, De Augusto a Trajano. Un siglo en la Historia de Hispania, Pamplona 2001, p. 238 e ss.; Id., Munificencia pública en la provincia Lusitania (siglos I-IV d.C.), Zaragoza 2004; J.F. Rodríguez Neila, E. Melchor Gil, Evergetismo y cursus honorum de los magistrados municipales en las provincias de Bética y Lusitania…, cit., p. 139 e ss.; E. Melchor Gil, D. Pérez Zurita, La concesión de honores publicos a magistrados y decuriones en las ciudades de la Bética, in Florentia Iliberritana. Revista de estudios de antigüedad clásica 14 (2003), p. 173 e ss.; M. Domingo Gygax, Les origines de l’évergétisme. Échanges et identités sociales dans la cité grecque, in Mètis 4 (2006), p. 269 e ss.

[7] V., in particolare, J. Marquardt, De l’organisation financière chez les romains, in Th. Mommsen, J. Marquardt, Manuel des antiquités romaines, vol. X, Paris 1888, p. 268; P. Veyne, Deux inscriptions de Vina, in Karthago. Revue d’archéologie africaine 9 (1958), p. 95; Id., Il pane e il circo. Sociologia storica e pluralismo politico [trad. ital. di Le pain et le cirque. Sociologie historique d’un pluralisme politique, Paris 1976], Bologna 1984, pp. 14, 195, 199; M. Le Glay, Taxatio et autonomie municipale d’après une nouvelle inscription de Cuicul en Algérie, in Akte des IV Internationalen Kongresses für griechische und lateinische Epigraphik (Wien, 17-bis – 22 September 1962), Wien 1964, p. 228; Id., Évergétisme…, cit., p. 78; P. Garnsey, Taxatio and pollicitatio in Roman Africa, in JRS. 61 (1971), pp. 118, 128 e s. V. anche L. Robert, Études anatoliennes. Recherches sur les inscriptions grecques de l’Asie mineure, Paris 1937, p. 550 nt. 6; V. A. Ibba (a cura di), Uchi Maius 2…, cit., p. 102.

[8] Sulle summae honorariae (vel legitimae) come ordinarie entrate del bilancio cittadino v., per tutti, W. Langhammer, Die rechtliche und soziale Stellung der Magistratus municipales und der Decuriones in der Übergangsphase der Städte von sich selbstverwaltenden Gemeinden zu Vollzugsorganen des spätantiken Zwangsstaates (2-4 Jh. der romischen Kaiserzeit), Wiesbaden 1973, p. 105 e ss. con bibliografia e R. Duncan-Jones, The Economy of the Roman Empire. Quantitatives studies2, Cambridge 1982, p. 147 e ss.; v. anche A. Bourgarel-Musso, Recherches économiques sur l’Afrique romaine, in Rev.Afr., 75 (1934), p. 399 e ss. [= Les Cahiers de Tunisie, vol. XVII, nr. 107-108]; J.M. Serrano Delgado, Status y promocion social de los libertos en Hispania Romana, Sevilla 1988, p. 135 ss.Non sembra potersi condividere l’ipotesi formulata daA. Beschaouch, Mustitana. Recueil des nouvelles inscriptions de Mustis, cité romaine de Tunisie I, in Karthago. Revue d’archéologie africaine,14 (1965-1966), secondo cui “la somme honoraire est une promesse que fait le candidat élu aux honneurs municipaux en entrant en fonction [p. 157], la pollicitation étant l’élargissement de cette promesse [p. 160] [v. anche Taxatio et élections municipales en Afrique romaine, in RHDFE, 45 (1967), p. 483 e ss.]; come è stato, correttamente, osservato, “cette présentation implique un confusion entre summa honoraria et pollicitatio, puis entre pollicitatio et adiectio”; così Fr. Jacques, Le privilège de liberté…, cit., p. 689 nt. 92. In ordine alla necessità di distinguere tra la (o le) prestazione(i) oggetto di pollicitatio ob honorem e la corresponsione, legalmente imposta, della summa honoraria vel legitima v., anche, R. Duncan-Jones, ivi, p. 86 e ss.; J.F. Rodríguez Neila, E. Melchor Gil, Evergetismo y cursus honorum de los magistrados municipales en las provincias de Bética y Lusitania, in C. Castello, F.J. Navarro, R. Martínez, De Augusto a Trajano. Un siglo en la Historia de Hispania, Pamplona 2001, p. 145 e s.; E. Melchor Gil, Summae honorariae y donaciones ob honorem en la Hispania romana, in Habis 25 (1994), p. 193 e ss.; Id., Aportaciones pecuniarias de los notables locales a las finanzas municipales de las ciudades hispanas, in Sociedad y economía en el Occidente Romano, eds. C. Castillo, J.F. Rodríguez Neila, F.J. Navarro, Pamplona 2003, p. 199 e ss.

[9] Sul variare dell’ammontare della summa honoraria (vel legitima) rispetto alle singole magistrature e alle diverse realtà locali v., in particolare, R. Duncan-Jones, The Economy…, cit., passim; Id., Costs, aoutlays and summae honorariae from Roman Africa, in PBSR, 30 (1962), p. 47 e ss.; Id., Equestrian Rank in the Cities of the African Provinces under the Principate: an epigraphic survey of costs in Roman Italy, in PBSR., 35 (1967), p. 226 e ss.; P.-A. Février, Approches du Maghreb romain. Pouvoirs, différences et conflits I, Aix-en-Provence 1989, p. 197 e ss.

[10] Valga, esemplificativamente, il richiamo adesivo operato da E. Melchor Gil (Pollicitationes ob honorem y ob liberalitatem en beneficio de una res publica, su reflejo en la epigrafía latina, in Revista General de Derecho Romano 5, diciembre de 2005, p. 12 dell’estratto): “Varios investigadores, tras analizar la epigrafía norteafricana, plantearon la existencia de un proceso evolutivo en las donaciones ob honorem. Para ellos, la obligatoriedad de la summahonoraria y el afán de competición existente entre los miembros de las élites municipales hizo que determinados notables locales quisieran distinguirse realizando una pollicitatio. La frecuente realización de pollicitationes por parte de magistrados y sacerdotes hizo que éstas llegasen a hacerse moralmente obligatorias, lo que motivó la aparición de una donación complementaria, la ampliatio o adiectio, para que los evergetas pudiesen destacar su munificencia. Como acertadamente señaló F. Jacques, hemos de rechazar esta idea de evolución pues no tenemos prueba alguna de que las pollicitationes llegaran a convertirse en obligatorias. Si las teorías de P. Veyne y P. Garnsey [v. le opere citate supra in nt. 7] fuesen correctas, en cualquier ciudad del Imperio tendrían que haberse realizado entre mil cien y mil cuatrocientas donaciones ob honorem, en un período comprendido entre el 138 y el 235 d. de C., y esta práctica habría dejado una importante huella en la epigrafía, especialmente de las poblaciones que han conservado buena parte de su patrimonio epigráfico hasta nuestros días, pero este hecho no se ha producido. Por lo señalado, podemos afirmar que la obtención de un cargo público no implico tener que realizar una pollicitatio ob honorem, ya que éstas siempre fueron realizadas de forma libre y voluntaria”. dello stesso Autore: Evergetismo en la Hispania romana…, cit., pp. 33, 48, 81; Summae honorariae y donaciones ob honorem…, cit., p. 203; Consideraciones acerca del origen, motivación y evolución de las conductas evergeticas…, cit.,p. 61 e ss.; Consideraciones sobre la munificencia civica en la Bética romana, in Elites hispaniques (textes réunis par M. Navarro Caballero et S. Demougin avec la collaboration de Fr. Des Boscs-Plateaux), Bordeaux 2001; Las elites municipales…, cit. V., inoltre, J. Andreu Pintado, Munificencia pública en la Provincia Lusitania (siglos I-IV d.C.), il quale, però – se ho ben inteso – non esclude che “en época tardía, a partir de los Severos, se generalizó … la obligatoriedad legislada de los actos evergéticos” (p. 21).

[11]V. anche CIL. VIII.8466 = IRAlg. 3268 e AE. 1968, 586, su cui infra nt. 38.

[12] V. F. Regelsberger, Streifzüge im Gebiet des Zivilrechts. II: Die Pollicitation und das Versprechen eines Beitrags zu einem gemeinnützigen Zweck, in Festgabe der Göttinger Juristen-Fakultät für R. von Jhering zum fünfzigjährigen Doktor-Jubiläum am 6. August 1892, Leipzig 1892 (rist. anast. Aalen 1973). Sul punto v., inoltre, R. Worms, De la volonté unilaterale considerée comme source d’obligations en droit romain et en droit francais, Paris 1891, p. 42; più di recente, J. San Juan Sanz, La «pollicitatio» en los textos jurídicos romanos, Madrid 1996, p. 117.

[13] Cfr. CIL. VIII.26591: Asiciae Victoriae coniugi / ob munificentiam liberalem et singulare[m in civitatem] / et patriam s[u]am, quae probo animo et exem[plari virtute] / ter summam flamonii perp(etui) / sui honorari[am ampliaverit] / etiam filiae suae Asicianes singulari sple[ndore ob flam(onium)] / (sestertium) C mil(ia) n(ummum) patriae suae donaverit ex [quorum red(itu) dec(urionibus) / utrius(que) ordinis sportulae curiis e[pulum et universo] / populo gymnasia praestentur lud[ique scaenici dentur] / statuam quam uterq(ue) ordo decr[evit] / resp(ublica) mun(icipi) s(e)pt. aur. lib.Thugg. posu[it].

[14] Sull’iscrizione v. G. Wesch-Klein, Rechtliche aspekte privater stiftungen während der Römischen Kaiserzeit, in Historia, 38 (1989), p. 180; Id., Liberalitas in rem publicam. Private Aufwendungen zugunsten von Gemeiinden im römischen Afrika bis 284 n. Chr., Bonn 1990, p. 237 e s., nr. 16; J.L. Ramirez Sadaba, Gastos suntuarios y recursos económicos de los grupos sociales del Africa romana, in Estudios de Historia Antigua 3, Oviedo 1981, p. 44 nt. 45; M. Khanoussi, L. Maurin (éds.), Dougga, fragments d’histoire. Choix d’inscriptions latines éditées, traduites et commentées (Ier-IVe siècles), Bordeaux-Tunis 2000, p. 188 e ss.; v. anche G. Le Bras, Les fondations privées du Haut Empire, in Studi in onore di S. Riccobono nel XL anno del suo insegnamento, vol. 3, Palermo 1936, p. 39 nt. 113; R. Duncan-Jones, The Economy…, cit., p. 102, nr. 253; C. Zaccaria, Testimonianze epigrafiche relative all’edilizia pubblica nei centri urbani delle Regiones X e XI in età imperiale, in La città nell’Italia settentrionale. Morfologia, strutture e funzionamento dei centri urbani delle Regiones X e XI. Atti del Convegno organizzato dal Dipartimento di Scienze dell’Antichità dell’Università di Trieste e dall’École Française de Rome (Trieste 13-15 marzo 1987), Trieste-Roma 1990, p. 134 nt. 14; T. Kotula, Les curies municipales en Afrique romaine, Wroclaw 1968, p. 38, nr. 80; A. Magioncalda, L’epigrafe da Mactar di C. Sextius Martialis (CIL VIII 11813), in A. Mastino(a cura di), L’Africa romana. Atti del IX convegno di studio, vol. I, Nuoro, 13-15 dicembre 1991, Sassari 1992, p. 273 e ivi nt. 45; v., inoltre, J. Voet, Commentariorum ad Pandectas Libri Quinquaginta, vol. VI, Bassani 1828, p. 372 e s.; J.C. Rockwell, Private Baustiftungen für die Stadtgemeinde auf Inschriften der Kaiserzeit im Westen des römischen Reiches, Jena 1909, p. 20, nr. 77; B. Laum, Stiftungen in der griechischen und römischen Antike. Ein Beitrag zur antiken Kulturgeschichte, vol. I, Leipzig 1914, p. 197, nr. 32; L.A. Thompson, “Uterque ordo’’ in Inscriptions of “Municipium Thuggense’’, in Latomus, 24 (1965), p. 153; H.-G. Pflaum, Titulature et rang social sous le Haut-Empire, in Recherches sur les structures sociales dans l’antiquité classique (Caen, 25-26 avril 1969), Paris 1970, p. 183; M.S. Bassignano, Il flaminato nelle province romane dell’Africa, Roma 1974, p. 198 nrr. 21-22; Id., Le flaminiche in Africa, in A. Buonopane, Fr. Cenerini(a cura di), Donna e vita cittadina nella documentazione epigrafica. Atti del II Seminario sulla condizione femminile nella documentazione epigrafica, Verona, 25-27 marzo 2004, Bologna 2005, p. 410 e s.; J.M. Serrano Delgado, Status y promocion social de los libertos…, cit., p. 143 nt. 258; N. Hayashi, Die pecunia in der pollicitatio ob honorem, in Klio 71 (1989), p. 387; L. Ladjimi Sebaï, A propos du flaminat féminin dans les provinces africaines, in MEFRA., 102 (1990), p. 672; S. Aounallah, Une nouvelle inscription de Vina, Cap Bon (Tunisie), in A. Mastino(a cura di), L’Africa romana. Atti del IX convegno di studio, vol. I, …, cit., p. 308, nt. 35.

[15] V. C. Poinssot, M. Licinius Rufus patronus pagi et civitatis Thuggensis, in BCTH., (1969), p. 252 nrr. 6-7; M.S. Bassignano, Il flaminato…, cit., p. 198, nrr. 21-22.

[16] Sui sostantivi liberalitas e munificentia (nonché sul termine affine largitio), v., per tutti, I. Hellegouarc’h, Le vocabulaire latin des relations et des partis politiques sous la République, Paris 1963. V., inoltre, B.H. Warmington, The municipal patrons of Roman Africa, in PBSR., 22 (1954), p. 39 e ss.; L. Harmand, Un aspects social et économique du monde romain. Le patronat sur les collectivités publiques des origines au Bas-Empire, Paris 1957; A. Giardina, Amor civicus. Formule e immagini dell’evergetismo romano nella tradizione epigrafica, in A. Donati(a cura di), La terza età dell’epigrafia, Colloquio AIEGL – Borghesi, Bologna, ottobre 1986, vol. 86, Faenza 1988, p. 67 e ss.; P.-A. Février, Approches du Maghreb romain. Pouvoirs, différences et conflits, vol. I, Aix-en-Provence 1989, p. 207 e ss.; M. Le Glay, Évergétisme…, cit., p. 84 G. C. Picard, La civilisation de l’Afrique romaine, Paris 19902, p. 32 e s. nt. 53; E. Forbis, ‘Liberalitas and Largitio’: Terms for Private Munificence in Italian Honorary Inscript

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