Armonizzazione del diritto dei contratti: percorsi teorici e stato dell’arte
Maria Luisa Chiarella
Ricercatrice di diritto privato, Università degli studi “Magna Graecia” di Catanzaro
Armonizzazione del diritto dei contratti: percorsi teorici e stato dell’arte
SOMMARIO: 1. L’integrazione europea tra globalizzazione dei mercati e nuove tecnologie – 2. Armonizzazione del diritto privato europeo: work in progress – 3. Il contratto nel diritto europeo – 4. Gli strumenti di armonizzazione. – 5. I modelli di normazione – 6. Questioni di policy – 7. Armonizzazione europea e disciplina contrattuale: alcune conclusioni.
- L’integrazione europea tra globalizzazione dei mercati e nuove tecnologie
Gli ordinamenti contemporanei, di fronte all’evolversi e all’uniformarsi dei rapporti economici su scala globale, puntano alla creazione di regole armonizzate per regolare gli scambi in un mercato oggi dominato dai diktat di multinazionali e nuove tecnologie. La sfida europea, relativa agli obiettivi programmati nei Trattati così come incardinati nell’agenda politico-istituzionale, coinvolge, non a caso, il mondo del diritto giacché la dimensione spaziale si presenta in una prospettiva transnazionale attraversata e continuamente ridefinita dai mercati dotati di una forza espansiva che sbiadisce i confini statuali tracciati dalla storia[1].
Il sistema giuridico contemporaneo è chiamato oggi a confrontarsi con una realtà complessa, la cui crisi e le cui emergenze inducono a ripensare i rapporti tra istituzioni ed agenti, tra interessi sovraindividuali e soggettività, vagliando la coerenza delle regole giuridiche in funzione degli obiettivi perseguiti, volta per volta, in termini assiologici, nonché tecnicistici[2].
L’idea di un diritto “comune” europeo non si presenta come nuova in quanto ci riporta all’esperienza tardo – medievale dello ius commune: esperienza superata con l’avvento delle codificazioni nazionali, ma ciò nondimeno degna di essere rimeditata alla luce dei nuovi criteri di articolazione delle competenze (da quello comunitario a quelli nazionali)[3] e della progressiva involuzione del modello auto-referenziale di sovranità statuale[4].
In questa cornice si colloca il processo di integrazione europea volto a fare dell’Europa una realtà socio-politica, culturale ed economica transnazionale, piuttosto che una mera “espressione geografica”[5].
Il percorso di integrazione, avviatosi nel 1957 al fine di creare un mercato comune, uno spazio senza frontiere interne nel quale assicurare la libera circolazione delle merci, delle persone, dei servizi e dei capitali, ha assunto col tempo ulteriori finalità coinvolgendo settori di natura non esclusivamente economica, ma anche politica e sociale. Da Bruxelles a Maastricht, da Amsterdam a Nizza, passando per Laeken, Tampere e Lisbona, si sono raggiunti importanti traguardi sul piano dell’integrazione e l’Unione Europea, oggi, non rappresenta un semplice agglomerato di Stati, costituendo una realtà politica, corredata anche da una cittadinanza che accomuna, sotto la stessa bandiera, popoli di lingue e tradizioni giuridiche differenti.
Esiste, perciò, un diritto europeo che è un riflesso della globalizzazione e che incide sulla plenitudo potestatis nazionale[6], sovente incrinata dalla penetrante azione comunitaria, dal primato, sul piano delle fonti, del diritto europeo, dai suoi effetti nei rapporti verticali e orizzontali e dalle stesse finalità istituzionali correlate all’esistenza ed alla gestione del mercato comune[7].
La giuridicità contemporanea, come osserva M.R. Ferrarese, appare dunque «sospesa tra una dimensione globale ed una dimensione locale, come un lungo millepiedi, che per toccare gli estremi del globo, ha bisogno di appoggiarsi su tante gambe»[8]. Del diritto europeo, espressione di questa realtà transnazionale, è fattore trainante l’esistenza del mercato comune che postula una regolazione uniforme dei traffici commerciali, sollecitando una nuova universalità del diritto. Ecco allora affiorare i risvolti della rivoluzione c.d. post-industriale: l’erosione dei princìpi ordinatori dell’organizzazione giuridica preesistente tra cui, in primis, il dogma della statualità e della nazionalità del diritto[9].
Proprio sulla base di queste esigenze, è sorta la necessità di un’armonizzazione del diritto ponendosi al giurista interrogativi sui possibili approcci al diritto europeo[10], benché, al momento, sia controverso l’itinerario da seguire, per le numerose proposte al riguardo[11].
I tentativi di individuare modelli di normazione per un diritto comune europeo sono molteplici, ma al contempo sono già presenti strumenti di armonizzazione del diritto per l’economia globalizzata.
La circolazione di modelli giuridici e la elaborazione di regole uniformi trascendono, infatti, le frontiere europee, proprio perché «lo specchio del diritto rimanda della globalizzazione un’immagine fatta soprattutto di scambi contrattuali»[12]; di ciò, ad esempio, sono testimonianza i Principles of international commercial contracts (elaborati dall’Unidroit a partire dal 1994)[13] che, da un lato, si fondano su norme già praticate nel commercio internazionale e, dall’altro, sono finalizzati a dettare una disciplina comune, opzionale, per il commercio internazionale. Questa disciplina, contenente regole di condotta per la societas mercantile[14], viene utilizzata nei lodi arbitrali dalla Camera di Commercio internazionale, in quanto fonte idonea (anche se non esclusiva) a dettare regole generali per i contratti commerciali internazionali[15].
L’espressione lex mercatoria, di cui i Principles sono espressione, vuole alludere alla rinascita, in epoca moderna, di un diritto altrettanto universale quanto universale fu il diritto dei mercanti dell’epoca intermedia, volto a regolare i rapporti mercantili; per lex mercatoria oggi si intende, in particolare, l’insieme delle regole elaborate dalle classi imprenditoriali senza la mediazione del legislatore e destinate a disciplinare in modo uniforme i rapporti commerciali che si instaurano entro l’unità economica dei mercati e al di là delle unità politiche degli Stati[16].
2. Armonizzazione del diritto privato europeo: work in progress
Da quanto sopra ricordato, si può evidenziare anzitutto come il percorso di armonizzazione avvenga in modo “spontaneo” e non istituzionale, mediante gli accordi mercantili caratterizzati dalla finalità di superare la discontinuità giuridica statuale e che in ciò si differenziano dal diritto comune dell’epoca tardo-medievale[17].
La nuova lex mercatoria nasce, in particolare, come «un sistema normativo a sé stante, di fonte consuetudinaria, quantunque raccolto e riordinato da Unidroit, il quale ripete la propria legittimità dal fatto di corrispondere all’opinio iuris di quanti, quale che ne sia la nazionalità, agiscono sui mercati internazionali. Altrettanto indubbio è che in questo nuovo sistema di regole siano confluite linee di tendenza già emerse all’interno dei predetti sistemi nazionali, ma è degno di nota che queste linee di tendenza, che hanno ricevuto un diseguale grado di sviluppo nei diversi diritti nazionali, si trovino tutte realizzate in un più alto grado di compiutezza nella nuova lex mercatoria»[18].
Il passo successivo è la circolazione transfrontaliera di istituti e regole giuridici che si attua tramite l’immissione negli ordinamenti nazionali di modelli unitari - il processo di armonizzazione, sotto questo aspetto, se rappresenta un tentativo di superamento della statualità del diritto, viceversa determina una sorta di ultranazionalità del diritto statuale[19] - al fine di consentire una regolazione uniforme del mercato (specificamente identificato in relazione alla tipologia di beni e servizi che formano oggetto degli istituti regolati)[20]. Da un lato, questo percorso avviene dietro l’impulso del diritto comunitario[21] (alla luce delle politiche economiche comunitarie[22]), dall’altro lato, lo sovrasta, comportando un necessario e costante adeguamento di quello alle esigenze di un’economia globalizzata ed una parallela metamorfosi dei modelli e degli istituti giuridici tradizionali[23].
Accanto agli strumenti formali del diritto comunitario, dati in primis dai regolamenti e dalle direttive, nel panorama europeo vengono in considerazione diverse proposte da parte dei sostenitori di un diritto comune europeo che sono più o meno ampie e ambiziose, in funzione della specificità e dell’organicità del testo, codice o documento, ritenuto valevole per un diritto uniforme in Europa[24].
Benché alcune Risoluzioni del Parlamento europeo (ad esempio quella del 26 maggio 1989, quella del 6 maggio del 1994 e del 15 novembre 2001) abbiano proposto la codificazione dell’intero diritto privato, attualmente, il processo di armonizzazione è volto prevalentemente alle aree specifiche del diritto privato patrimoniale, in particolare, al diritto dei contratti[25] (v. al riguardo la Risoluzione del Parlamento europeo del 7 settembre 2006) e a alla responsabilità civile, essendo più neutrali[26] e funzionali alle esigenze del mercato. Viene allora in considerazione il dibattito sulla possibile affermazione di modelli e soluzioni giuridiche uniformi per gli ordinamenti europei[27]. Numerose sono le iniziative che perseguono programmi di avvicinamento delle regole che governano i rapporti tra gli operatori economici in ambito sovranazionale[28].
Da più parti si assiste, spesso dietro sollecitazione delle istituzioni comunitarie, al formarsi di cenacoli di esperti[29] che nei diversi centri e istituti giuridici europei s’interrogano sul futuro del diritto privato europeo[30], proponendo soluzioni, redigendo progetti, con un denso lavoro di ricerca per un diritto europeo armonizzato[31]. L’obiettivo perseguito da questi gruppi di ricerca è quello di superare le distanze tra gli ordinamenti sul piano normativo, cercando di trarre regole uniformi, al fine di migliorare e incrementare lo sviluppo dei traffici commerciali, dando maggiore certezza giuridica e medesime tutele ai contraenti, nonché riducendo i costi transattivi[32]. Il fine perseguito è altresì quello di consentire agli operatori di prevedere le soluzioni da adottare in caso di conflitto tra le parti, elidendo le incertezze determinate dalla scelta della legge applicabile e dal «forum shopping» su cui si basa la concorrenza tra ordinamenti[33]. I risultati di queste elaborazioni (spesso accomunati dall’etichetta di Principles) non sono fonti normative in senso tecnico, benché spesso siano utilizzati nella contrattazione anche come strumenti ermeneutici ed integrativi[34] utili sia nei rapporti transazionali che in quelli nazionali[35].
3. Il contratto nel diritto europeo
L’area del diritto privato principalmente interessata ai processi di armonizzazione è, dunque, il diritto dei contratti[36]. Ciò avviene essenzialmente a causa del nesso inscindibile che sussiste tra contratto e mercato[37]: nello scambio di beni e servizi i problemi derivanti dall’applicazione, dal consenso, dall’interpretazione (ed in genere dall’utilizzo degli strumenti contrattuali nei rapporti internazionali) comportano il rischio di incidere sul corretto funzionamento del mercato comune. È ormai diffusa nella dottrina civilistica la consapevolezza dell’importanza di detto legame, considerato che la disciplina generale del contratto plasma la «libertà del soggetto di operare liberamente le proprie scelte nel mercato» [38].
In questo ambito, il processo di armonizzazione tende a prediligere princìpi generali e regole facilmente condivisibili in virtù del loro contenuto non dettagliato e della loro duttilità per la maggior parte degli ordinamenti[39]; al contempo, con l’utilizzo di clausole e princìpi generali, viene in considerazione la possibilità di utilizzare criteri aggreganti capaci di rispettare le identità statuali: «l’ampia discrezionalità ed autonomia che tali disposizioni riservano all’intervento giudiziale incarna un compromesso quasi perfetto tra la logica di Civil law, di impostazione prettamente normativa, e l’approccio di Common law, fondato sulla vincolatività del precedente»[40].
Chiaramente sussistono argomentazioni favorevoli e contrarie ad una uniformazione del diritto in Europa: posizioni che considerano il processo di armonizzazione un possibile attacco alla legislazione nazionale e posizioni europeiste che invece ne caldeggiano la possibilità[41]. Così come si registra la posizione di chi ritiene di dover prendere consapevolezza della complessità del tema, evitando di schierarsi tra posizioni più o meno europeiste da un lato e più o meno scettiche dall’altro[42].
Sussiste, inoltre, disaccordo tra gli interpreti su diversi piani. Di fronte alla possibilità di un codice civile europeo quale presupposto di un diritto europeo uniforme[43], sovente gli interpreti ritengono questo obiettivo non praticabile in considerazione delle divergenze tra gli ordinamenti nazionali e della incommensurabilità delle esperienze giuridiche[44].
In tal senso, al fine di conservare lo status quo degli ordinamenti nazionali, si evidenzia anche la circostanza che non vi è alcun richiamo nei trattati europei ad un diritto contrattuale armonizzato: probabilmente in ragione del fatto che l’UE contiene nel suo ambito paesi di tradizioni giuridiche differenti (Civil e Common law)e che, anche all’interno di una stessa famiglia giuridica, vi sono notevoli differenze sul piano delle soluzioni normative[45].
In secondo luogo, la Standardisation of the Law of Contract non sarebbe necessaria essendo già esistenti strumenti di diritto comune (quale la Convenzione di Roma sulla legge applicabile alle obbligazioni contrattuali e ora il c.d. Regolamento Roma I[46]) mediante i quali gli Stati membri hanno regolato il diritto internazionale dei contratti, assicurandone così valenza uniforme.
Inoltre, alle volte viene sottolineato il fatto che ogni standardizzazione del diritto privato verrà fortemente osteggiata dagli ordinamenti nazionali: si pensi all’ordinamento inglese o irlandese che difendono fortemente le proprie tradizioni di Common law, ma anche, nell’area continentale, al sistema francese dove il Code Napoléon è la pietra angolare del patrimonio culturale della nazione[47].
A contrario, si può affermare che l’esistenza di differenti tradizioni giuridiche non può ritenersi ostativa ad uno sviluppo economico (di ciò sarebbero testimonianza Paesi come il Regno Unito, il Canada e gli Stati Uniti che comprendono diversi ordinamenti nel loro interno e ciò non ha loro impedito di divenire tra le maggiori potenze industriali e commerciali al mondo)[48]. Secondo un approccio favorevole al diritto contrattuale uniforme, le grandi differenze esistenti in Europa tra i vari sistemi giuridici, rendendo più problematico il commercio internazionale, sono un’argomentazione di sostegno per un diritto contrattuale armonizzato[49].
I market players, infatti, dovendo utilizzare e gestire regole giuridiche straniere dovranno investire risorse di tempo, denaro e impegno per familiarizzare con altri ordinamenti. Competere in un mercato transnazionale gestito da regole non uniformi, infatti, rappresenta, oltre che un fattore rischioso, anche un’incognita per le aziende, specialmente per quelle di piccole o medie dimensioni. Le differenze normative, pertanto, sono viste come pregiudizievoli per i traffici commerciali: come tali, rappresentano un ostacolo inconciliabile con l’esistenza di un mercato comune. Si sottolinea, pertanto, che i passi già compiuti sul piano dell’armonizzazione rendono necessari ulteriori progressi, proprio perché gli strumenti già esistenti non sono soddisfacenti.
La resistenza alla standardizzazione del resto, sottolineano gli europeisti, è inevitabile. Storicamente, è dimostrato che in presenza di tendenze innovatrici si è pur presentata l’opposizione dei sostenitori delle opposte tesi conservatrici; ciò è avvenuto anche in Francia prima della rivoluzione del 1789 ed in Germania prima della codificazione del 1900[50].
Se, dunque, quelle appena esposte sono alcune delle argomentazioni favorevoli e di quelle contrarie, di fatto, è comunque presente l’esistenza di un diritto privato europeo, conteso tra un’armonizzazione “debole”, data dal ravvicinamento mediante direttive, e un’armonizzazione più “forte”, attuata mediante i regolamenti comunitari che, essendo immediatamente applicabili, producono effetti diretti sul piano dell’innovazione delle fonti e dell’introduzione di norme giuridiche. L’armonizzazione, inoltre, si presenta “minima”, allorché si lascia spazio ai legislatori nazionali di tradurre i precetti europei in corrispondenti regole operative; “massima” ove, al contrario, questo spazio non sussiste ed i legislatori sono privati della possibilità di incidere sui precetti comunitari in sede di trasposizione delle direttive. In entrambi i casi, tuttavia, essa opera allo stato attuale solo a livello verticale, cioè su singole aree, senza implicare una complessiva unificazione[51].
Ciò nondimeno, come osserva la dottrina, «the European legal unity is too important a matter to be left entirely to legislatures»[52], enfatizzando così il dato che «nei sistemi giuridici moderni le decisioni giuridiche sono l’esito di interazioni dinamiche e complesse tra diverse istituzioni e diversi formanti operanti a diversi livelli e non già l’esito di un percorso lineare tra strati normativi gerarchicamente strutturati. Sicché ai fini della formazione di un diritto comune europeo non rileva solo l’esistenza di una legislazione comune, ma la maniera in cui i giuristi pensano»[53].
4. Gli strumenti di armonizzazione
Vengono in considerazione, al riguardo, elaborazioni di diritto privato europeo, spesso collegate alle istituzioni comunitarie, volte a creare un’armonizzazione del diritto privato (assunta quale presupposto per un corretto funzionamento del mercato comune).
Le istituzioni comunitarie hanno sottolineato la necessità di procedere ad una maggiore armonizzazione del diritto privato tra gli Stati membri e a livello accademico si è, di conseguenza, aperto il dibattito su una codificazione europea[54], sicché numerosi gruppi di lavoro si sono formati, elaborando molteplici itinerari di ricerca.
Da questo punto di vista, da un lato, vi è il diritto comunitario che trova forma in direttive e regolamenti[55] e nasce, come tale, nelle sedi istituzionali dell’Unione, ma c’è anche, dall’altro lato, il diritto “comune” europeo, dato da un insieme di regole, princìpi e categorie, che non si formalizza in virtù di metanorme, ma si genera nelle elaborazioni intellettuali e nella circolazione di modelli giuridici ovvero in un processo non istituzionalizzato in cui si integrano e interagiscono gli apporti delle diverse comunità nazionali[56].
In dottrina, si è talvolta messa in evidenza una certa divaricazione sussistente tra questi due mondi del diritto europeo, in qualche misura visti come diversi e lontani per molti aspetti[57]. Al fine di poter comprendere il processo di armonizzazione lato sensu inteso, conviene muovere dal dato storico, relativo ai tempi e ai modi in cui si sono formate e affermate l’una e l’altra componente del diritto europeo.
Sul piano diacronico, il primato spetta al diritto comunitario istituzionale che trova la sua fonte prevalente nei regolamenti, immediatamente applicabili, e nelle direttive destinate a essere trasposte negli ordinamenti nazionali; è un diritto che nasce «dall’alto» nelle sedi istituzionali dell’Unione e che ha inizio immediatamente dopo l’istituzione della Comunità europea, attraverso il lavoro delle burocrazie di Bruxelles e le mediazioni politiche che lo accompagnano[58].
A distanza di pochi lustri, cioè a partire dagli anni Settanta[59], si inizia a parlare di un diritto “comune” europeo. In particolare, è a Fiesole nel 1976 che in un Convegno, dal titolo «Nuove prospettive di un diritto comune per l’Europa», viene lanciata l’idea di un diritto europeo armonizzato e partendo da questa idea, nel 1989, una Commissione presieduta dal comparatista danese Ole Lando inizia il suo lavoro per una codificazione europea di princìpi generali sul contratto[60]; è, dunque, intorno agli anni ’90 che si avviano e sempre più si intensificano le diverse azioni che, sul terreno culturale e professionale ancor più che su quello politico-istituzionale[61], danno corpo al diritto “comune” europeo dei contratti.
La Commissione Lando (Commission on European Contract Law) ha pubblicato tra il 1995 e il 2003, come risultato del lavoro di ricerca, le tre parti dei Princìpi di diritto europeo dei contratti (Principles of European Contract Law)[62]. Nell’ottica della Commissione, le finalità dei Principles sono molteplici[63]: oltre a rappresentare il progetto iniziale di un codice civile europeo, sono finalizzati a fungere da ausilio nella redazione e nella applicazione dei provvedimenti comunitari e da legge regolatrice per la contrattazione transfrontaliera. I Principles sono norme generali sui contratti, pur contenendo regole speciali relative ai contratti tra imprese (ad esempio: art. 2:210) e ai contratti tra imprese e consumatori (art. 6:101, commi 2 e 3).
Con riferimento invece al proposito di una codificazione del diritto dei singoli contratti, viene in considerazione il lavoro svolto dall’Accademia dei giusprivatisti europei[64] dell’Università di Pavia (presieduta dal Prof. Giuseppe Gandolfi) che ha elaborato il Code européen des contrats[65],il quale ha adottato come modello per un diritto contrattuale armonizzato il libro IV del codice civile italiano, visto come mediazione tra i principali modelli europei. Il risultato è un testo destinato ad applicarsi sia ai contratti tra imprese che ai contratti tra imprese e consumatori. A differenza dei Principles, il Code européen è redatto secondo una tecnica di tipo legislativo, non già mirante alla elaborazione di princìpi.Ulteriore differenza rispetto alle altre iniziative è il francese come lingua di redazione, in quanto tipicamente europeo-continentale, a differenza dell’inglese, di natura intercontinentale[66].
Sotto gli auspici della Commissione europea, è inoltre sorto anche lo European Research Group on Existing EC Private Law (Acquis group)[67], diretto dai Professori Gianmaria Ajani e Hans Schulte-Nölke, che si differenzia dagli altri in quanto focalizza la propria attenzione sul diritto comunitario tout court: in particolare, ha redatto i “Princìpi di diritto comunitario in materia di contratto” (“Principi acquis”), per una semplificazione dei procedimenti nazionali di trasposizione del diritto comunitario nel diritto nazionale[68].
Occorre altresì ricordare il contributo che offre la Society of European Contract Law (Secola) presieduta da Stefan Grundmann, quale piattaforma di discussione per il diritto contrattuale europeo.
Il “controcanto politico” delle iniziative appena menzionate è dato dal Social justice group[69], che si pone l’obiettivo di elaborare un diritto comune dei contratti imperniato sulla giustizia sociale, mirante a proteggere la parte debole del rapporto quale che ne sia la natura (lavoratore, imprenditore, consumatore, etc.).
Infine, per quel che riguarda settori specifici, si possono ricordare: in materia di diritto di famiglia la Commissione sui Principles of European family law[70];per quel che concerne le garanzie immobiliari il gruppo che progetta la Eurohypothec; in ambito successorio il lavoro del Deutsches Notarinstitut ed in tema di responsabilità civile quello dell’European Group on Tort Law[71].
Nel 1989 e nel 1994, inoltre, il Parlamento europeo ha adottato risoluzioni che hanno dato l’avvio dei lavori per un codice civile europeo[72], al quale è stato preposto lo Study Group on a European Civil Code, fondato nel 1998 ecoordinato dal Professore tedesco Christian von Bar[73], il cui progetto si caratterizza per l’ampia portata e la vastità dell’impianto, volto a regolare tutte le aree del diritto privato patrimoniale. L’obiettivo è quello di elaborare un testo che consenta di eliminare le discriminazioni di trattamento per i cittadini dell’Unione europea. Il lavoro, come generalmente avviene in materia di armonizzazione del diritto in Europa, non mira ad elaborare princìpi rivoluzionari, ma a formulare princìpi generalmente condivisi, riflettendo posizioni comuni in Europa, espressione di una «shared legal culture»[74]. In particolare, si mira al coordinamento dei termini e dei princìpi uniformanti, mediante un Common Frame of Reference.
La Commissione europea[75], in particolare, a partire dall’Action Plan on a More Coherent European Contract Law[76] del 2003 e dalla comunicazione “Diritto contrattuale europeo e revisione dell’acquis: prospettive per il futuro”[77] ha lanciato l’idea di venire a capo di un Common Frame of Reference (CFR), ovvero un Quadro Comune di Riferimento, avente lo scopo di migliorare l’acquis comunitario nel diritto contrattuale europeo nella prospettiva di renderlo uniforme per le varie legislazioni nazionali[78].
A questo riguardo, si è avuta nel febbraio 2009, la pubblicazione del Draft of a Common Frame of Reference,da parte dello Study Group on a European Civil Code e del Research Group on Existing EC Private Law (Acquis Group)[79]. Il DCFR si presenta con un articolato normativo molto ampio (10 libri) ed è volto a regolare in modo uniforme non solo la materia contrattuale, ma anche il diritto delle obbligazioni, l’illecito, i singoli contratti, le donazioni, il trust, l’arricchimento senza causa ed altro[80].
Inoltre, come risultato della consultazione avviata l’8 febbraio 2007 (con l’adozione da parte della Commissione europea del Libro Verde sulla revisione dell’acquis comunitario), l’8 ottobre 2008 è stata emanata una Proposta di Direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio sui diritti dei consumatori volta a uniformare quattro direttive sui diritti dei consumatori (n. 85/577/CEE; 93/13/CEE; 97/7/CE; 1999/14/CE), seguita poi dall’emanazione della Direttiva n. 83/2011. Quest’ultima, mettendo insieme i quattro interventi, mira a creare un unico strumento orizzontale che disciplini gli aspetti comuni in modo sistematico, semplificando e aggiornando le norme esistenti, nonché risolvendo le incoerenze e colmando le lacune.
Nel luglio 2010 si è, quindi, avviata una seconda consultazione pubblica con il libro verde sulle opzioni possibili in vista di un diritto europeo dei contratti per i consumatori e le imprese, in cui vengono in considerazione le possibili strategie per l’armonizzazione del diritto europeo dei contratti nel mercato interno[81]. In risposta al libro verde, l’8 giugno 2011 il Parlamento europeo ha adottato una risoluzione in cui esprime forte sostegno a uno strumento per migliorare l’instaurazione e il funzionamento del mercato interno e recare benefici a professionisti, consumatori e sistemi giudiziari degli Stati membri. La comunicazione della Commissione “Europa 2020”[82] riconosce l’esigenza di «agevolare e rendere meno onerosa per imprese e consumatori la conclusione di contratti con partner di altri paesi dell’UE, segnatamente offrendo soluzioni armonizzate per i contratti stipulati con i consumatori, introducendo clausole contrattuali tipo a livello di UE e facendo progressi verso una legge europea facoltativa in materia di contratti»[83].
In questa direzione, l’11 ottobre 2011 la Commissione europea ha pubblicato una Proposta di regolamento relativo a un diritto comune europeo della vendita (Common European Sales Law)[84], successivamente emendata il 26 febbraio 2014, relativa alla disciplina del contratto di vendita e di fornitura di contenuto digitale (e di alcuni servizi correlati) valevole sia nei rapporti con i consumatori che in quelli endoprofessionali. La Proposta viene, tuttavia, successivamente ritirata dalla Commissione «per liberare appieno il potenziale del commercio elettronico nel mercato unico digitale»; essa aveva, peraltro, costituito oggetto di una presa di posizione negativa da parte di alcuni Stati membri, poiché ritenuta lesiva del principio di sussidiarietà posto dall’art. 5 TUE[85].
Orbene, come sottolinea autorevole dottrina, il quadro delle tecniche per un’armonizzazione del diritto privato in Europa si presenta variegato: queste possono concretarsi in una uniformazione dell’acquis limitata alle sole aree d’intervento comunitario ovvero nell’aggiornamento delle codificazioni nazionali al diritto privato comunitario[86]. Dagli ambienti professionali, sotto un diverso punto di vista, viene proposta, come possibile strumento di armonizzazione, la sola uniformazione delle clausole e dei tipi contrattuali. Inoltre, non si può non condividere l’idea della natura, almeno in parte, giurisdizionale del processo di armonizzazione: posto che ad operare con pienezza come giudici del diritto europeo sono le corti nazionali, in quanto legittimate a conoscere dei rapporti interprivati[87], occorre che si intensifichi il dialogo e l’interazione con la Corte di Giustizia[88].
Da un lato, come evidenziato dalla Corte, la stessa armonizzazione realizzata mediante il ricorso alle direttive consente l’uniformazione del diritto, essendo compito dei giudici «interpretare il proprio diritto nazionale quanto più è possibile alla luce della lettera e dello scopo della direttiva, per conseguire il risultato perseguito da quest’ultima e conformarsi pertanto all’art. 189, terzo comma, del Trattato» [89].
Come si è osservato in dottrina «[…] interpretare la normativa di derivazione comunitaria secondo i parametri espressi dal legislatore europeo significa allontanarsi (in modo significativo) dai consolidati canoni ermeneutici proposti dalla dottrina tradizionale. La disciplina contrattuale di origine comunitaria, infatti, al contrario di quella codicistica (fondata sull’atto come espressione dell’autonomia negoziale), per la sua caratteristica di strumento per la realizzazione di un mercato unico europeo, si incentra sulla disciplina dell’attività economica svolta in modo professionale. Il nostro codice civile esprime già una sorta di principio generale in forza del quale gli atti relativi all’esercizio dell’impresa giustificano deroghe normative alla disciplina dettata per i contratti solo per le ipotesi in cui il contratto concretamente posto in essere sia stipulato da un imprenditore e per l’esercizio dell’impresa. Ora, invece, nella disciplina di derivazione comunitaria (che peraltro non si presenta come un corpo normativo unitario), le previsioni in tema di forma e nullità (virtuali o testuali) rappresentano l’espressione della logica di interventi finalizzati alla disciplina dell’attività di contrattazione degli operatori economici. E ciò malgrado si debba rilevare la mancanza di una terminologia coerente e costante nelle direttive, frutto, anche, delle assenze di operazioni di coordinamento»[90].
Altro strumento decisivo per l’armonizzazione, nel dialogo tra le Corti, è il rinvio pregiudiziale ex art. 267 del Trattato sul funzionamento dell’Unione europea, in forza del quale il giudice nazionale solleva una questione interpretativa su di una disposizione comunitaria dinanzi alla Corte di Giustizia, al cui verdetto interpretativo dovrà poi attenersi[91].
Secondo gli interpreti, il ricorso ampio e appropriato a questo strumento è la strategia principale per lo sviluppo del diritto comunitario atteso che il diritto comunitario vive e cresce essenzialmente negli ordinamenti degli Stati membri e nelle rispettive giurisdizioni; affinché fra giurisdizione europea e giurisdizioni interne possa circolare il diritto europeo con buona riuscita del progetto di armonizzazione, occorre che i due apparati giudicanti interagiscano sinergicamente, creando fecondi innesti fra regole, princìpi e modelli delle tradizioni giuridiche nazionali[92].
In questa prospettiva, la circostanza che i vari progetti del c.d. “diritto comune” non siano sfociati in un testo normativo vigente rappresenta un dato che rema contro il c.d. “eurottimismo codificatorio”, giacché consente di assumere la consapevolezza che un’opera di codificazione del diritto privato in Europa (destinata inevitabilmente a rapida obsolescenza, visti i nuovi ritmi di formazione e gli incalzanti sviluppi della società nel suo complesso), tanto vasta quanto defatigante, sia in realtà da considerare una scelta meno efficace ed utile rispetto a quella che miri invece ad un’armonizzazione fondata sui precedenti della giurisprudenza comunitaria[93].
In sintesi, si può riassumere questo discorso, affermando che il percorso di armonizzazione si sta sviluppando in diverse traiettorie: in primo luogo, attraverso il diritto vigente (dato dalle regole elaborate dal legislatore europeo)[94], in secondo luogo, mediante il circuito ermeneutico (giurisdizionale e accademico), senza il quale non esiste diritto vivente, ed infine, last but not least, nella pratica delle negoziazioni di mercato, le prassi contrattuali[95], cioè mediante la law in action[96].
Si può ricordare, inoltre, come sia frequente nei provvedimenti giurisdizionali il riferimento al diritto europeo, così come a quello “comune” europeo elaborati dai gruppi accademici già menzionati[97]. Le citazioni ed i rinvii posti in essere dai giudici per supportare date interpretazioni, evidenziano l’utilità pratica dei progetti di derivazione accademica ai fini dell’attività ermeneutica, rappresentando un valido ausilio interpretativo per far luce sulla complessa congerie di norme di provenienza comunitaria all’interno degli ordinamenti nazionali[98].
Si tratta, in sintesi, di un processo ricco e pluralistico, che ruota su elementi eterogenei: «perché l’armonizzazione del diritto contrattuale europeo non dipende solo da ciò che decidono burocrati e politici a Bruxelles; bensì anche da quello che si studia, si elabora e si insegna nelle università, dal grado in cui le professioni legali interagiscono fra loro e con le istituzioni europee e, infine, dalle tecniche e dai contenuti ai quali gli operatori del mercato informano le proprie contrattazioni»[99].
5. I modelli di normazione
Per quanto riguarda i modelli di normazione si possono individuare diverse opzioni. Una di queste, di natura formale, rimanderebbe ai «modelli» nazionali, ritrovando in questo o in quell’ordinamento la radice delle regole di un diritto contrattuale armonizzato. Tuttavia, il riferimento ai modelli di normazione per un diritto contrattuale armonizzato può essere inteso anche quale scelta delle opzioni di fondo cui ancorare la filosofia unitaria del diritto uniforme[100].
Al riguardo, diverse appaiono le linee di politica del diritto esistenti in tema: da opzioni filo – liberali a modelli polarizzati verso esigenze di giustizia contrattuale declinata in chiave sostanziale e procedurale[101].
Come è noto, il diritto privato europeo, lato sensu inteso, si basa sulla market freedom che rappresenta il risvolto della libertà negoziale, la quale a sua volta nella dimensione pluralistica assume le forme della libertà di concorrenza[102]; l’autonomia dei privati, quali protagonisti del mercato, è tutelata fino a quando non collida con i limiti posti dalle discipline nazionali e dal diritto europeo. L’orizzonte teorico, pertanto, su cui si inquadra questa tematica è quello della contrapposizione tra liberismo antiregolatorio[103] e interventismo istituzionale[104].
- Questioni di policy
Secondo la prospettiva filo-liberale viene in considerazione un’intrinseca razionalità oggettiva del mercato, nelle sue strutture e nei suoi modi di funzionamento, per cui sarebbe irrilevante la razionalità soggettiva degli agenti in quanto sovrastata dal mercato in sé nel suo agire inintenzionale e nella sua oggettiva e intrinseca razionalità[105]. Da questo punto di vista, si contrappongono diverse prospettive di politica del diritto: da un lato, vi sono i sostenitori di un approccio filo-liberale puro, secondo i quali il mercato ha ragione anche quando ha torto[106] («gli apologeti estremi della razionalità oggettiva del mercato»[107]), dall’altro lato, si trovano coloro che, pur schierandosi tra le file liberali, ritengono tuttavia che il liberismo possa talvolta essere socialmente dannoso e indesiderabile[108].
Secondo il riformismo liberale, il mercato è lo strumento migliore per il benessere della società, ovvero, secondo il linguaggio degli economisti, per l’efficienza allocativa. Tuttavia, il mercato, contrariamente a quanto teorizzato dalle ideologie propriamente liberiste, è un’istituzione sociale che non è sempre in grado di realizzare automaticamente da sé un risultato ottimale: atteso che, in alcuni casi, i suoi meccanismi tendono a incepparsi e ad autodistruggersi. Al fine di evitare tali “fallimenti”, il riformismo liberale promuove interventi pubblici di regolazione, «i quali, però, devono essere compatibili con il mercato stesso, ossia devono dettare esclusivamente appropriate regole del gioco, senza sostituirsi agli operatori nel raggiungimento di determinati risultati finali di produzione e distribuzione della ricchezza»[109].
In questo versante, si colloca quella prospettiva teorica che fa perno sulla «razionalità inintenzionale del sistema» (come capacità dello stesso di «definire i ruoli degli agenti e di assicurare che l’ordinato svolgimento dei ruoli da parte di ciascuno assicuri automaticamente il raggiungimento degli obbiettivi del sistema»[110]) e al contempo patrocina interventi pubblici per correggere le distorsioni del mercato[111].
Pertanto, mentre il primo approccio avversa ogni politica finalizzata a rimediare i fallimenti del mercato, il secondo, invece (di cui fa parte, e. g., anche la behavioural law and economics[112]), ritiene utili interventi pubblici finalizzati a correggere detti fallimenti in una logica “oggettiva”, che incida sul mercato in sé (cioè sulla difesa della concorrenza[113]) ovvero sull’agire razionale degli operatori, correggendone ad esempio le asimmetrie informative o introducendo rimedi a tutela del corretto e libero svolgimento delle negoziazioni.
Nell’impostazione originariamente recepita dall’ordinamento comunitario, l’unico tipo di regolazione del mercato (reputata necessaria) era costituito dalla tutela della concorrenza fra imprenditori: non c’era dunque spazio per una vera e propria tutela dei soggetti, consumatori o professionisti, in quanto si riteneva che assicurare un’effettiva e leale concorrenza fra gli imprenditori fosse lo strumento più efficace per la tutela della salute del mercato.
L’evoluzione del sistema economico capitalistico ha dimostrato tuttavia come questo tipo di regolazione non sia sufficiente per l’efficienza allocativa, la quale (oltre che dalle distorsioni della concorrenza fra imprenditori) risulta ostacolata anche dall’impossibilità concreta degli utenti e consumatori finali di esercitare la propria autonomia negoziale in situazioni frequenti, quali, ad esempio, i contratti di massa[114].
In tal senso, infatti, si è dimostrato come il mantenimento e la crescita della società dipenda non soltanto dal funzionamento della concorrenza tra imprenditori, ma anche dalla tutela del contraente debole nei casi di contratto con asimmetrie di potere[115].
Si palesano utili, pertanto, specifiche regole del diritto dei contratti grazie alle quali gli utenti e i consumatori finali siano tutelati nei c.d. contratti asimmetrici, in cui il potere economico di un contraente rappresenta rischio di potenziale sopraffazione dell’altro e di consequenziali inefficienze allocative[116].
La creazione di regole armonizzate, se può giovare alla libera circolazione delle imprese, da sola non è sufficiente per il corretto funzionamento del mercato; quest’ultimo, infatti, è meglio garantito se presidiato da regole volte a correggere i c.d. fallimenti del mercato intesi quali abusi di potere contrattuale, nonché condizioni di mercato in cui le risorse non sono efficientemente allocate.
Le nuove discipline dei contratti d’impresa, si pongono, in questo contesto, come «componente indispensabile all’instaurazione e al funzionamento del mercato»[117], nonché quale «naturale complemento del diritto europeo della concorrenza»[118].
Perché si avverte l’esigenza di stemperare il valore della libertà di mercato con altri valori come quello della giustizia contrattuale? «La giustizia è la prima virtù delle istituzioni sociali, così come la verità lo è dei sistemi di pensiero. Una teoria, per quanto semplice ed elegante, deve essere abbandonata o modificata se non è vera. Allo stesso modo, leggi e istituzioni, non importa quanto efficienti e ben congegnate, devono essere riformate o abolite se sono ingiuste»[119] e, per converso, se rispettose degli ideali di giustizia, vanno in ogni caso preservate[120].
Come sottolinea ancora John Rawls, nella struttura fondamentale della società (ove si colloca il mercato) devono valere i princìpi della giustizia sociale[121], soprattutto in considerazione del fatto che molti servizi, un tempo erogati dallo Stato, sono stati privatizzati. Il mercato e il contratto sono, dunque, la sede per la soddisfazione dei bisogni fondamentali dei cittadini, quali ad esempio salute, istruzione, pensioni, comunicazioni o trasporti. L’arretramento dello Stato sociale, a fronte delle ondate di privatizzazioni, ha comportato il contraccolpo della gestione privatistica di servizi sociali un tempo erogati dal settore pubblico; di conseguenza «il contratto è divenuto mezzo di accesso a una serie di servizi (istruzione, trasporti, sanità, giustizia) per gran parte del Novecento erogati dal settore pubblico»[122].
Fornendo le regole di giusta condotta tra i cittadini, il mercato può rappresentare la base dello schema della giustizia sociale nella società; come si è letto anche nel Manifesto on Social Justice in European Contract Law[123], se le regole del diritto contrattuale modellano la distribuzione della ricchezza e del potere nella moderna società, allora il mercato è il vero arbitro delle possibilità di vita delle persone.
Nel Manifesto, non a caso, si richiamano le norme della Carta di Nizza i cui valori di riferimento, richiamati anche nel Draft of a Common Frame of Reference,sono freedom, security, justice ed efficiency, mentre sullo sfondo si pone sempre il superprincipio costituzionale della dignità umana e dei suoi corollari: solidarietà e responsabilità sociale[124].
Si pensi, sul piano applicativo, ad esempio, all’importanza del principio di uguaglianza[125], che implica l’obbligo della parità di trattamento ed esige una tutela dell’equilibrio contrattuale, in una prospettiva di neutralizzazione della dicotomia pubblico - privato, per una protezione (sostanziale) dei diritti fondamentali.
In questa ottica, il diritto dei contratti assolve un’importante funzione regolatoria del mercato che, pertanto, non è più oggetto di disciplina esclusiva del diritto pubblico dell’economia: al contrario, l’intreccio tra interessi pubblici e interessi privati rappresenta il trait d’union e al tempo stesso la giustificazione del sistema contrattuale europeo[126].
Di conseguenza,il dibattito si incentra sui profili della giustizia contrattuale,i cui indici normativi sono tutte le disposizioni che colpiscono gli accordi iniqui:dalla disciplina sulle clausole vessatorie nei contratti dei consumatori alla normativa sull’abuso di dipendenza economica[127], dalla disposizione sui ritardi di pagamento sino alle normative verticali di regolazione delle c.d. asimmetrie microeconomiche[128].
Parallelamente, la libertà contrattuale costituisce un fattore cardine del mercato, in quanto valore strumentale alla circolazione della ricchezza senza la quale anche la giustizia sociale sarebbe compromessa; tuttavia, in un diritto europeo armonizzato, essa non può essere assunta nella logica del Qui dit contractuel, dit juste[129], cioè quale dogma auto-referenziale, ma viene ad essere bilanciata con valori solidaristici e sociali[130].
Come ha osservato Ole Lando, le società fondate sulla libertà contrattuale, unitamente alla solidarietà, alla giustizia e alla lealtà, hanno maggiore successo di quelle in cui governano le leggi della jungla[131].Ciò emerge con maggiore evidenza in settori che afferiscono ai servizi pubblici, ancorché vengano erogati da soggetti privati.
Questa riformulazione del diritto contrattuale alla luce delle norme di provenienza europea viene in qualche misura vista sfavorevolmente da una parte della dottrina che la considera un’ingiustificata compressione dell’autonomia contrattuale, quale retaggio tradizionale dei codici civili europei[132].
A tal proposito, vi è chi si interroga se si possa generalizzare un costante sindacato sul contratto sino al punto di accedere ad un’interpretazione sostanzialmente abrogante della libertà contrattuale, quantunque vi possano essere contesti e motivazioni, non connotabili in termini di stretta eccezionalità, che giustificano un vaglio sull’esercizio degli atti di autonomia[133].
Secondo altro punto di vista, sarebbe da considerare consona una correzione (dell’abuso) dell’autonomia contrattuale (non da intendere quale eterointegrazione del contratto, bensì) quale autointegrazione volta a dar voce al contraente debole vittima dell’altrui posizione di dominanza[134].
Nella prospettiva comunitaria, vi è concordia sul dato che una armonizzazione del diritto sia (formalmente) strumentale al funzionamento del mercato e alla libera circolazione delle imprese, dei servizi e dei capitali. In concreto, però, è da ritenersi che solo una normativa di protezione del contraente debole nei rapporti asimmetrici d’impresa[135] possa garantire il (buon) funzionamento e l’efficienza del mercato, incentivando investimenti ottimali e comportamenti cooperativi[136].
A venire in considerazione è, pertanto, una disciplina che travalica l’interesse individuale presentando risvolti di ordine pubblico[137], sia che si tratti di contratti con i consumatori, sia che si tratti di rapporti endoprofessionali squilibrati (ove, cioè, si prospetti una disparità di forze contrattuali tra le parti, indebitamente sfruttata dal contraente forte) [138].
Conferma di ciò potrebbe trovarsi anche, al di fuori del nostro ordinamento, nella recente riforma del diritto contrattuale francese entrata in vigore l’1 ottobre 2016 (introdotta con l’Ordonnance n. 2016-131du 10 février 2016 portant réforme du droit des contrats, du régime général et de la preuve des obligations)[139] che disciplina all’interno dei vizi del consenso la violence économique:«[i]l y a également violence lorsqu’une partie, abusant de l’état de dépendance dans lequel se trouve son cocontractant, obtient de lui un engagement qu’il n’aurait pas souscrit en l’absence d’une telle contrainte et en tire un avantage manifestement excessif» (art. 1143 Code civil)[140]. Previsione affine si trova nel sistema tedesco: il §. 138 BGB che sancisce la nullità del negozio stipulato in contrasto con il buon costume o realizzato tramite l’approfittamento di una posizione di soggezione, a vario titolo, della controparte[141]. Tornando in Francia, protagonista della recente riforma è la clausola generale di buona fede, elevata al rango di clausola di ordine pubblico (art. 1104 del Code civil riformato): la valutazione di scorrettezza del comportamento conduce, di conseguenza, ad un giudizio di invalidità del contratto frutto di una condotta di sopraffazione di un contraente ai danni dell’altro.
7. Armonizzazione europea e disciplina contrattuale: alcune conclusioni
Lo scenario appena delineato si colloca nel processo di sviluppo dei c.d. diritti di terza generazione[142], che tratteggiano la soggettività inquadrandola in specifici contesti (diritti dei consumatori, dei minori, degli anziani, disabili e altri ancora) visti nel prisma della socialità.
Questo sistema di nuovi diritti (sociali) sottende diversi modelli di regolazione giuridica e sociale dei rispettivi “status” che rispondono alle ambivalenti prospettive (i) dell’eguaglianza e della parità ovvero (ii) della differenza e della tutela del “soggetto debole”[143].
Ciò non rappresenta una degenerazione paternalista per il diritto privato[144], né può essere associato ad una supina trasposizione in esso dei risultati di approcci metagiuridici. È bensì il risultato di una visione olistica dell’ordinamento in cui non si può parlare di primato dei diritti inviolabili senza leggerne i riflessi in ambiti tradizionalmente estranei alle logiche personalistiche e più aderenti a quelle di tipo mercantile[145].
Ecco allora che la smitizzazione dell’autonomia privata e, al contempo, la sua funzionalizzazione costituiscono la precondizione per lo sviluppo dei diritti fondamentali e l’intervento da parte del legislatore nelle regole di mercato si palesa necessario al fine di «porre ciascuno nelle condizioni di realizzare le proprie potenzialità e in pari tempo fornire un aiuto a quanti non sono in grado di farlo»[146].
Emerge, dunque, la rilevanza degli interventi di giustizia perequativa: in tal modo, il mercato stesso viene elevato a fonte di rapporti equi e, pertanto, a strumento di protezione dell’individuo in quanto strumentale alla tutela dell’interesse generale al buon funzionamento degli scambi[147].
Già dagli albori del XX secolo si inizia a rilevare come il contratto sia, talvolta, basato su un accordo e una parità inesistenti; si presenta, nella dinamica contrattuale, una dicotomia tra scambi con e senza accordo[148] che, grazie agli interventi normativi di matrice europea, approda anche nel diritto positivo. Il compito è spettato, dunque, alle istituzioni europee: l’obiettivo del mercato unico e la tutela delle libertà fondamentali postulate dal diritto europeo originario hanno rafforzato l’autonomia contrattuale, ma l’hanno al tempo stesso anche fortemente condizionata, nella consapevolezza dell’illusione della invisible hand e dell’esigenza di costruire normativamente i presupposti di un corretto funzionamento del mercato e delle regole della concorrenza[149].
In tale ambito, si è avvertita la duplice esigenza della pari opportunità di accesso al mercato e dell’esercizio effettivo del potere di autonomia[150], intesa non solo come libertà di concludere un contratto, ma anche come concreta possibilità di determinarne il contenuto[151].
Il concetto di giustizia contrattuale rappresenta, oggi, il risultato della trasformazione della dicotomia giustizia distributiva - giustizia commutativa, riflessa nella contrapposizione tra diritto pubblico e diritto privato[152]. Secondo un approccio tradizionale, infatti, non compete al diritto privato occuparsi di giustizia distributiva, in quanto questa spetta al diritto pubblico; «il terreno proprio del diritto privato è quello della giustizia commutativa (o correttiva), che interviene quando lo schema di allocazione delle risorse disposto dalla giustizia distributiva abbia a subire ingiustificate alterazioni, e vi pone rimedio»[153], in questo senso, «la conformità al concorde volere delle parti garantisce automaticamente la giustizia del voluto, o comunque assorbe ogni valutazione al riguardo»: in sintesi Qui dit contractuel dit juste[154].
Da tempo detta dicotomia è ampiamente superata, ammettendosi che gli istituti del diritto privato possano essere polarizzati verso logiche diverse dal passato: tra questi, in primis, il contratto, quale accordo privato delle parti che presenta risvolti che travalicano l’interesse privato[155].
La disciplina dei contratti asimmetrici e in particolar modo delle relazioni asimmetriche di mercato è una reazione dell’ordinamento ai market failures[156]; essa è espressione dell’incrinarsi del dogma ottocentesco dell’inviolabilità dell’autonomia privata[157]: atteso che i primi (i.e. i fallimenti del mercato) «generano asimmetrie che pregiudicano l’agire razionale del soggetto che ne è vittima, rendendolo un contraente debole; ma rispetto ai fallimenti dell’autonomia privata contemplati dal codice civile, si connotano per il fatto di dipendere dalla struttura oggettiva del mercato, il quale – essendo strutturalmente esposto a fallimenti – pone alcuni dei suoi attori in posizione di forza e altri in posizione di debolezza nei rapporti reciproci»[158].
Il trait d’union tra armonizzazione europea a disciplina contrattuale potrebbe allora cogliersi al crocevia tra interesse particolare e interesse generale: di fronte all’impatto dirompente di norme e tecniche di regolazione europee nuovi paradigmi e categorie sembrano porsi alla base anche del diritto dei contratti, «la cui cifra consiste sempre più nella giustizia, che nell’autonomia»[159].
Keywords: Legal harmonization, European contract law, market policies, contract rules.
Abstract: This writing analyzes the evolution of European contract law, focusing on legal models and harmonization tools and considering the relationships between market and agents, including those between private and supra-individual interests. In this frame, this paper focuses on the developments of European contract law, which underline the birth of a new paradigm, that gives relevance to the inequality of bargaining power between the parties and is aimed to promote a public order goal: i.e. the protection of fundamental rights within the smooth functioning of internal market.
Abstract: Questo articolo analizza l’evoluzione del diritto contrattuale europeo, concentrandosi sui modelli legali e sugli strumenti di armonizzazione e considerando i rapporti tra mercato ed agenti, comprendendo quelli tra interessi privati e super-individuali. In questo contesto, il saggio esamina gli sviluppi del diritto contrattuale europeo che evidenziano la rilevanza di un nuovo paradigma che dà rilievo alla disparità di potere contrattuale tra le parti e mira a perseguire interessi di ordine pubblico: la protezione dei diritti fondamentali all’interno del corretto funzionamento del mercato interno.
Parole chiave: Armonizzazione del diritto, diritto europeo dei contratti, politiche di mercato, regole contrattuali.
*Il contributo è stato sottoposto a double blind peer review
[1] M.R. Ferrarese, Il diritto al presente. Globalizzazione e tempo delle istituzioni, Bologna 2002, p. 7 (ed. digit.: 2010, doi: 10.978.8815/143143).
In argomento, ex multis, v. G. Alpa, Diritto privato europeo, Milano 2016, pp. 25 ss.; Id., Cesl, diritti fondamentali, principi generali, disciplina del contratto, in Nuova giur. civ. commentata (2014), II, pp. 147 ss.;C. Castronovo, Armonizzazione senza codificazione. La penetrazione asfittica del diritto europeo, in Europa e diritto privato (2013), 4, pp. 905 ss. e P. Sirena, Il discorso di Portalis e il futuro del diritto privato europeo (2016), 3, pp. 652
Chiarella Maria Luisa
Download:
Chiarella.pdf