L’integrazione europea, le giovani generazioni e l’idea di una politica comune per la famiglia

L’integrazione europea, le giovani generazioni e l’idea di una politica comune per la famiglia

25.06.2018

Francesco Bestagno

Professore ordinario di diritto dell’Unione europea, Università Cattolica del Sacro Cuore

 

L’integrazione europea, le giovani generazioni e l’idea di una politica comune per la famiglia[1]

 

Sommario: 1. La crisi di legittimazione dell’UE agli occhi dei giovani. 2. L’Unione europea come modello di dialogo ed inclusione. 3. Per una maggiore legittimazione dell’UE: rappresentatività democratica e politica sociale. 4. Porre la famiglia al centro dell’Agenda europea.

 

1. La crisi di legittimazione dell’UE agli occhi dei giovani

 

A sessant’anni dalla fondazione dell’Unione europea il processo di integrazione tra Stati membri sembra attraversare un momento di particolare difficoltà, che appare legato ad una “crisi di legittimazione” al suo interno. Il cambiamento di attitudine di parte dell’opinione pubblica verso l’UE si è diffuso in modo piuttosto repentino negli ultimi anni, estendendosi parallelamente anche alle giovani generazioni. Chi svolge attività di istruzione e formazione può avere la netta sensazione di trovarsi di fronte alla prima generazione del dopoguerra in cui non è diffusamente condivisa la percezione dell’importanza dell’apertura e dei legami attuali tra Stati membri dell’UE. E anche tra coloro che non hanno un atteggiamento negativo verso l’UE si coglie di frequente la tendenza a sottovalutare la necessità di riaffermare e alimentare i valori alla base dell’integrazione europea, dando per scontata l’attuale condizione di pace permanente e di cooperazione in Europa.

Una spiegazione di questo cambiamento può probabilmente risiedere nel fatto che per la prima volta nella storia dell’Europa occidentale si è verificato un lungo periodo di pace. Per le generazioni precedenti, la vicinanza temporale dell’ultimo conflitto su scala continentale poneva chiara l’esigenza di promuovere forme di dialogo e cooperazione con gli abitanti dei Paesi ex-nemici. E, del resto, fino alla fine degli anni ottanta la “guerra fredda” comportava una sensazione di tensione duratura con i vicini Paesi orientali e di pericolo di conflitti in Europa, con l’esigenza di mantenere salde le alleanze nell’Europa occidentale.

Oggi, viceversa, la fortuna di aver vissuto in condizioni di stabilità, sul piano della sicurezza continentale, sembra avere diffuso l’idea che la pace sul piano europeo sia una condizione irreversibile. Ciò rende più difficile percepire quanto sia importante il dialogo continuo tra Stati europei, all’interno di istituzioni multilaterali quali l’UE e il Consiglio d’Europa, per evitare che questa condizione si alteri. Non si ricorda, ad esempio, che nei Balcani, ai confini dell’Italia, negli anni novanta si è svolto per anni un conflitto nel quale sono ricomparsi campi di concentramento, atti di genocidio, crimini di guerra e contro l’umanità. Né si sottolinea, in relazione a questa vicenda, quanto l’UE sia stata decisiva per impedire che singoli Stati membri, che avevano legami bilaterali risalenti o interessi attuali con alcuni Paesi dei Balcani, potessero cedere alla tentazione di parteggiare per uno o l’altro dei belligeranti: i vincoli all’interno dell’UE hanno impedito che vi fossero forme di coinvolgimento di Stati membri nel conflitto, salvo che per iniziative di mediazione.

In generale, l’UE è spesso percepita come un soggetto che non è in grado di risolvere le attuali difficoltà di ordine economico, migratorio o demografico, o addirittura come un soggetto che non ha titolo per affrontare tali problemi. E’ chiaro che ciò si ricollega in buona parte all’arrestarsi del processo di crescita economica che aveva segnato il secondo dopoguerra. A maggior ragione, questa percezione è acuita dal fatto che, nel contesto di apertura dei mercati nazionali, la crisi nata nel settore bancario alla fine dello scorso decennio ha rapidamente e stabilmente contagiato settori sani dell’economia reale in Europa. Da diversi anni ormai i giovani nei Paesi occidentali sono consapevoli del fatto che verosimilmente non potranno vivere in un contesto economico migliore o equivalente rispetto a quello in cui sono vissuti i propri genitori, e che difficilmente riusciranno a mantenere lo standard di vita delle generazioni precedenti.

Chiaramente, a questa disaffezione contribuiscono i movimenti politici che hanno individuato nell’UE un facile bersaglio cui attribuire la responsabilità di problemi in buona parte di natura nazionale. Ma non bisogna sottovalutare che l’opinione pubblica e più specificamente quella dei giovani è influenzata anche da atteggiamenti di scarso interesse verso l’opzione europea. Chi abbia responsabilità politiche, istituzionali, o  educative, deve essere consapevole del fatto che la mancanza di attenzione e la scarsa informazione in relazione all’integrazione tra Stati europei contribuiscono al diffondersi di tale sfiducia. Presentare l’Unione europea come “il male minore”, o come qualcosa di molto complesso e lontano, pone le basi per il disinteresse - o per l’opposizione - verso forme di cooperazione tra Stati europei.

Qui di seguito si esporranno alcune considerazioni nella prospettiva di riaffermare i punti di forza e i risultati indiscutibili della costruzione europea e di mantenerne la consapevolezza tra le giovani generazioni.

 

2. L’Unione europea come modello di dialogo ed inclusione

 

L'UE ha creato uno spazio in cui circolare, lavorare, studiare liberamente che non ha precedenti nella storia europea, che non ha eguali negli altri continenti e che si è allargato sempre più nel corso dei decenni. Occorre ribadire con forza che coloro che hanno la fortuna di vivere nell'UE, nonostante l'abitudine a considerare scontato – o a non apprezzare - tutto ciò di cui godono in Europa, non potrebbero rinunciare alla dimensione di libertà che l'UE ha garantito in questi 60 anni.

Può apparire paradossale che si diffonda una scarsa fiducia per il progetto dell’UE al suo interno, se si tiene conto del fatto che dall’esterno si guarda ad essa come un modello da imitare. L’UE ha rappresentato sin dalla sua fondazione un modello studiato sul piano internazionale che ha ispirato molti altri accordi analoghi (i quali però non hanno mai eguagliato la profondità dell’integrazione comunitaria). Negli anni successivi alla creazione della CEE (nel 1957) si sono sviluppati accordi di integrazione commerciale in America Latina, in Africa e in altri Stati d’Europa. Anche in ciascuno dei decenni seguenti, ad ogni tappa di allargamento comunitario hanno fatto seguito, con una sorta di “effetto domino”, fasi di ulteriori accordi di liberalizzazione commerciale in altri continenti (sia nelle aree già indicate che in Nord America)[2].

Proprio con riguardo alle fasi di allargamento dell’UE a nuovi Paesi membri, si può sottolineare l’attitudine all’inclusione che ha connotato il progetto europeo[3]. La prospettiva dell’adesione all’UE ha contribuito fortemente a consolidare la stabilità democratica di Paesi che da poco erano usciti da regimi autoritari: Grecia, Spagna e Portogallo negli anni ottanta; i Paesi ex socialisti nel processo che li ha portati all’adesione dagli anni novanta ai primi anni 2000. Un punto che merita di essere chiaramente ricordato è che negli anni novanta non era scontato che l’UE volesse e potesse allargarsi ai Paesi dell’Est europeo. In quel momento, la scelta di includere tali Paesi nel processo di integrazione fu adottata con la consapevolezza che i costi economici iniziali sarebbero stati giustificati dai rischi che viceversa avrebbe comportato l’esclusione dall’integrazione europea: il principale beneficio di tale allargamento è stato di natura politica, con l’affermazione di sistemi di governo democratici in tutti i nuovi Paesi membri. Senza la partecipazione all’UE non è affatto certo che si sarebbe verificato un analogo sviluppo economico, con stabilità politica (e militare) nel continente europeo.

Il fatto che l’UE sia tuttora un modello per gli altri Paesi risulta da un esempio attuale di enorme importanza sul piano geopolitico, al quale non è però sinora stata data sufficiente attenzione (forse intenzionalmente) da parte dei media occidentali: l’Unione Economica Eurasiatica, che è lo stadio attuale di un processo di integrazione avviato dalla Russia con gli Stati limitrofi dal primo decennio degli anni 2000[4]. Le istituzioni di questa Unione si ispirano in larga misura alle istituzioni dell’UE. Sul piano economico e commerciale, tra gli Stati membri di tale organizzazione è stato creato un mercato comune con un’unione doganale analoga a quella esistente nell’UE, e con la prospettiva dell’armonizzazione delle legislazioni in materia commerciale tra gli Stati membri, come avviene nel mercato interno europeo[5].

Anche sul piano istituzionale l’esperienza comunitaria ha rappresentato sotto molti versi un punto di riferimento. L’intero quadro di attività dell’UE si segnala, dall’origine a tutt’oggi, per la continua ricerca di metodi per risolvere i problemi in cooperazione tra gli Stati membri. Il quadro delle istituzioni è certamente complesso, per la presenza di più organi e organismi che decidono e agiscono con procedure proprie. Peraltro, tale complessità è il riflesso della complessità dell’UE, e del gran numero (e della varietà) delle materie in cui essa può incidere. Soprattutto, le procedure di decisione rispecchiano la volontà di rappresentare diversi interessi in gioco (quello dei Governi degli Stati membri, quello dell’Unione unitariamente considerata e quello dei cittadini dell’UE). Sotto quest’ultimo profilo, il Parlamento europeo rappresenta l’unico esempio di organo internazionale eletto a suffragio universale. E ogni cambiamento dei Trattati istitutivi è stato segnato dall'aumento progressivo dei poteri di tale organo democratico, che oggi ha assunto la funzione di legislatore dell’UE (condivisa con il Consiglio dell’UE in cui sono rappresentati i Governi nazionali).

Infine, non si può dimenticare un ulteriore aspetto (che ben si sarebbe potuto indicare per primo): le principali organizzazioni regionali europee (UE e Consiglio d’Europa) sono state in tutto il secondo dopoguerra un riferimento sul piano dei valori che hanno espresso: si pensi ad esempio all’impegno del Consiglio d’Europa per la democrazia, lo stato di diritto e il rispetto dei diritti dell’uomo. Da questo punto di vista, la Convenzione europea dei diritti dell’uomo – approvata nel Consiglio d’Europa nel 1950, prima della creazione delle Comunità europee – ha rappresentato il primo trattato internazionale della storia ad avere stabilito impegni a rispettare il diritti fondamentali di ogni persona umana, vincolanti per gli Stati contraenti gli uni nei confronti degli altri e anche nei confronti dei singoli individui. La centralità dei diritti e della dignità della persona si è affermata gradualmente anche nell’Unione europea, sebbene alla sua nascita rilevasse solo l’integrazione economica: oggi i principali valori fondanti dell’UE sono la tutela dei diritti umani e dello stato di diritto (tanto che nessuno Stato può diventare membro dell’UE se non dà prova di rispettare tali valori[6]); la Convenzione europea dei diritti dell’uomo è tuttora un punto di riferimento accanto alla Carta dei diritti fondamentali dell’UE stessa[7].

In quest’ottica, si noti che in tutti gli attuali strumenti di cooperazione dell’UE con i Paesi in via di sviluppo sono costantemente richiamati i valori cui si devono attenere i Paesi che beneficiano degli aiuti europei. In altri termini, si deve notare l’importanza della visione “integrale” dello sviluppo che è propria della politica di cooperazione dell’UE, nella quale lo sviluppo economico non è un obiettivo disgiunto dal rispetto di diritti e valori fondamentali di cui l’UE è promotrice. In particolare, sono poste condizioni agli aiuti ai Paesi beneficiari, che prevedono la possibilità di cessare la cooperazione se vi siano prove di violazioni dei trattati internazionali in materia ambientale, sui diritti umani, sui diritti dei lavoratori, o prove della mancanza di democraticità dei Governi di tali Paesi[8]. Malgrado la cooperazione allo sviluppo da parte dell’UE non dia luogo solo ad elogi ma talora anche a critiche, è necessario non sottovalutare il costante richiamo da parte dell’UE al rispetto di tali valori, con un’attenzione che non è comune ad altri attori sulla scena internazionale quando si rapportano con i Paesi emergenti.

 

3. Per una maggiore legittimazione dell’UE: rappresentatività democratica e politica sociale

 

Per riavvicinare all’UE i suoi cittadini, specialmente i più giovani, è certamente importante accrescere la consapevolezza dei valori e dell’unicità dell’esperienza di integrazione europea, come si è detto. Oltre a ciò, però, sono necessarie scelte politiche specificamente volte a migliorare il modo in cui le persone percepiscono l’UE, interagiscono con essa e ne ricevono sostegno concreto.

Il primo auspicio che si può formulare a questo riguardo – condiviso da molti osservatori – è che si aumenti il carattere democratico delle istituzioni. Già si è sottolineata l’importanza della presenza tra le istituzioni dell’UE di un’assemblea parlamentare democraticamente eletta dotata di poteri normativi e politici. Un ulteriore passo fondamentale in quest’ottica potrebbe essere la previsione che il Presidente della Commissione europea sia eletto democraticamente su base europea[9]. Attualmente alla sua nomina partecipa il Parlamento europeo, ma l’elezione diretta avrebbe un impatto rilevante, dati i poteri che la Commissione detiene sul piano normativo, di controllo, di esecuzione delle politiche dell’UE[10]. Si tratterebbe di una novità radicale, da cui discenderebbe una legittimazione molto maggiore della Commissione ad incidere, ad esempio, in materia di politica sociale, o di politica economica. E, del resto, ciò potrebbe contribuire a rendere la UE un interlocutore ancor più autorevole su scala mondiale (ad esempio nei campi della politica commerciale e della cooperazione allo sviluppo), e più consapevole delle sue responsabilità e dei suoi compiti verso i cittadini-elettori.

Si possono poi immaginare altre riforme per ridurre ulteriormente il c.d. “deficit democratico” nell’UE: aumentare il potere legislativo del Parlamento europeo a scapito del Consiglio dell’UE; rendere più efficace il meccanismo con cui gruppi di cittadini europei possono presentare proposte di atti legislativi; migliorare i meccanismi con cui i singoli possono rivolgersi al Mediatore europeo per casi di cattiva amministrazione dell’UE o gruppi di cittadini possono rivolgere petizioni al Parlamento per questioni di interesse europeo.

Anche a voler immaginare che sussista la volontà politica degli Stati membri in questa direzione, tuttavia, ogni progresso in questo senso richiederebbe una modifica dei Trattati, seguendo le procedure di emendamento previste nei Trattati stessi che hanno ovviamente un certo grado di complessità, in quanto sono destinate ad incidere su testi di diritto primario dell’ordinamento dell’UE. E in questa fase non pare che vi sia tra gli Stati membri un clima favorevole ad iniziative volte a modificare i Trattati, principalmente per il timore dei Governi nazionali che ipotetiche iniziative di questo tipo possano fornire l’occasione per polemiche interne, atte a condizionare successive scadenze elettorali[11].

Come si è accennato, conferire un maggior grado di democraticità alle Istituzioni europee sarebbe fondamentale anche per consentire maggiori interventi dell’UE nel campo della politica sociale. E’ questo uno dei settori in cui maggiormente si avverte l’esigenza di una presenza più significativa dell’UE, specie nella prospettiva di evitare derive populistiche da parte degli elettori che con la crisi avvertono forte la minaccia per le sicurezze proprie del Welfare State. Ora, le misure di politica sociale devono essere oggetto di scelte da parte di organismi rappresentativi, poiché si tratta di scelte relative a come usare le risorse economiche e a identificare quali bisogni siano prioritari rispetto ad altri. Si tratta di azioni positive, diverse rispetto alla rimozione degli ostacoli alle libertà di circolazione che si è perseguita per creare un mercato unico. Nella prospettiva originaria, infatti, all’UE spettava di far crescere l’economia attraverso l’apertura dei mercati nazionali, mentre agli Stati membri restavano riservate le politiche sociali. L’attuale importanza dei poteri dell’UE in campo economico, specie nell’area dei Paesi la cui moneta è l’Euro, comporta l’esigenza che l’UE si ponga nelle condizioni migliori per intervenire anche in campo sociale, destinando parte delle risorse allo sviluppo di politiche per garantire la sicurezza sociale dei cittadini. Attualmente, del resto, il maggior grado di democraticità del processo decisionale dell’UE pare legittimare più ampi interventi in questa materia su scala europea.

 

4. Porre la famiglia al centro dell’Agenda europea

 

In conclusione, ci si permetta di formulare un auspicio per l’adozione di una linea politica che forse potrebbe far recuperare l’attenzione e la fiducia nel progetto europeo specialmente da parte dei più giovani: considerare la tutela della famiglia come una priorità nelle azioni dell’UE[12].

Allo stato attuale manca una politica dell’UE dedicata ed organica a sostegno alla famiglia[13]. Lo stesso termine “famiglia” è uno dei meno utilizzati nel lessico delle Istituzioni dell’UE, a parte settori specifici quali il ricongiungimento familiare dei migranti[14]. Le Istituzioni dell’UE finora non hanno considerato che questo fosse un obiettivo prioritario, verosimilmente per riservare questa materia alle autorità nazionali. Il che si lega, evidentemente, alle diverse nozioni di “famiglia” accolte nei vari ordinamenti nazionali.

A fronte di una situazione eterogenea, in questa materia molto delicata, non è prevedibile - e forse nemmeno auspicabile - che l’UE intervenga sul piano normativo per armonizzare le legislazioni nazionali. Tuttavia, il ravvicinamento delle legislazioni nazionali non è indispensabile per promuovere forme di sostegno alle famiglie sul piano economico e sociale, in quanto questi aiuti potrebbero essere decisi a livello europeo pur lasciando agli Stati membri il compito di definire qual è la nozione di famiglia accolta nell’ordinamento nazionale. Anche la Carta dei diritti fondamentali dell’UE prevede la “protezione della famiglia” e il “diritto di costituire una famiglia” senza darne una definizione e anzi prevedendo espressamente che l’esercizio di quest’ultimo diritto sia garantito nel quadro delineato dalle leggi dei singoli Stati[15]. Nella medesima prospettiva, l’UE ha ad esempio previsto forme di intervento a favore delle imprese familiari (“family business'', “family enterprises”), senza dare una definizione unitaria di famiglia valida per tutti gli Stati membri[16].

In definitiva, quindi, non è improponibile l’attuazione di interventi europei sistematicamente a sostegno delle famiglie. In questa prospettiva si potrebbe per esempio prevedere che i fondi strutturali siano usati per finanziare le imprese che diano permessi a padri e madri, in modo da favorire la genitorialità aumentando la possibilità di conciliare famiglia e lavoro[17]; oppure prevedere incentivi alle banche che facciano condizioni migliori di prestito alle giovani coppie o comunque ai genitori (ad esempio di famiglie numerose). L’impulso per l’adozione di scelte di questo tipo probabilmente non verrà dall’interno delle Istituzioni dell’UE, e neanche dai Governi degli Stati membri. Non si può però escludere che la società civile, i cittadini dell’UE, alcuni gruppi politici del Parlamento europeo possano utilmente fare pressione perché le politiche a tutela della famiglia siano considerate di centrale importanza.

Porre la famiglia al centro dell’Agenda dell’UE potrebbe essere una scelta con un grande impatto sui cittadini europei e sui giovani in particolare. Ciò implicherebbe principalmente intervenire con politiche di sostegno diretto, ma anche favorire un mutamento di prospettiva “culturale”, con un lessico maggiormente improntato ad espressioni correlate alla famiglia o ad esempio con la previsione tra le linee di ricerca finanziate a livello europeo anche di ricerche specificamente dedicate alla famiglia.

Eventuali passi concreti in questa direzione potrebbero essere il segno di un cambiamento immediatamente percepibile, che potrebbe ridurre la disaffezione interna verso le Istituzioni dell’UE e aumentare la vicinanza al progetto europeo dei cittadini dell’UE, sia dei giovani sia di quel ceto medio che si sente più minacciato dagli effetti della globalizzazione[18]. Perché è chiaro che quando l’UE realizza progetti che corrispondono alle aspettative e ai bisogni dei cittadini, l’adesione è immediata ed entusiasta: ne sono un esempio le centinaia di migliaia di giovani che hanno partecipato al programma Erasmus o agli Stages nelle Istituzioni europee. Si pensi in tal senso che in un recente sondaggio, condotto dalla Federazione Internazionale delle Università Cattoliche (FIUC) su un campione globale di 17.000 studenti universitari, è emerso come la famiglia sia al primo posto per gli studenti fra “the three most important things in their lives”, con più del doppio di preferenze rispetto all’istruzione e all’amicizia[19].

In questa prospettiva, considerare l’istituto della famiglia come una priorità tra le politiche comuni potrebbe essere uno di quei “cambi di passo” - di quei “colpi d’ala” - di cui l’UE sa di avere molto bisogno per recuperare un rapporto di fiducia con i suoi cittadini.

 

 

 

Abstract: In times of dissatisfaction and disinterest in the ideals of European integration, even among young people, we should not forget that the EU has created an area of freedom where it is possible to circulate, work and study freely. This fact has no precedent in the history of Europe, no equal in any other continent and has expanded ever more over the decades. EU citizens, especially the younger ones, should be reminded that the EU has determined the creation of a dimension of freedom in the last 60 years which is too often taken for granted. To bring people closer to the EU,  it would be better to further progress in the democracy of the EU institutions, taking more effective EU social measures, adopting clear EU political choices of direct support to families.

 

Key words: European Union; European integration; free circulation; family policy; social policy; democracy deficit.

 


[1] Il testo, già apparso nella Rivista Educatio Catholica, Libreria Editrice Vaticana, 1/2018, pp. 141-150, è qui ripubblicato per gentile concessione della Direzione della Rivista dopo essere stato sottoposto a double blind peer review.

[2] A questo riguardo mi permetto di rinviare al mio scritto Scenari di dis-integrazione commerciale in caso di “Brexit”, in Diritto pubblico comparato ed europeo, 2016, p. 535 ss.

[3] In questo momento, la prospettiva della c.d. “Brexit” rappresenta il primo esempio in senso contrario ad un fenomeno che è stato una costante della storia europea del dopoguerra: il ripetuto ampliamento dell’UE a nuovi Paesi membri.

[4] Ad oggi sono membri dell’Unione economica eurasiatica i seguenti Stati: Russia, Bielorussia, Armenia, Khazakistan, Kirghizistan; sono osservatori il Tagikistan e l’Uzbekistan.

[5] Il carattere strategico fondamentale di questa Unione – specie nella prospettiva della Russia – si può cogliere pensando alle tensioni scoppiate in Ucraina tra la fine del 2013 e l’inizio del 2014 in relazione alla stipulazione dell’Accordo di libero scambio tra UE e Ucraina. La stipulazione di questo Accordo, infatti, ha precluso la partecipazione dell’Ucraina stessa all’Unione eurasiatica, poiché la realizzazione di una zona di libero scambio bilaterale tra UE e Ucraina impedisce a quest’ultima di essere parte di un’unione doganale (come è l’Unione eurasiatica): il corretto funzionamento di un’unione doganale richiede che le frontiere commerciali siano sostanzialmente in comune, e quindi comporta che non ci possa essere un membro dell’unione doganale con accordi commerciali autonomi rispetto agli altri.

[6] Articoli 2 e 49 del Trattato sull’Unione europea.

[7] V. l’articolo 6 del Trattato sull’Unione europea, specificamente i paragrafi 2 e 3.

[8] V. ad esempio il c.d. “Sistema di preferenze generalizzate dell’Unione europea”, che garantisce una riduzione dei dazi all’importazione o l’eliminazione dei dazi a favore di quei Paesi in via di sviluppo che assicurino determinati standard di rispetto dei diritti dell’uomo, dei diritti dei lavoratori e di tutela dell’ambiente (Reg. UE 978/2012).

[9] V. in questo senso la proposta di modifica dei Trattati presentata da Guy Verhofstadt al Parlamento europeo, che è stata oggetto (insieme ad altre due diverse proposte) della Risoluzione parlamentare del 15 febbraio 2017 (atto però dotato solo di valore di indirizzo politico e non vincolante).

[10] In una prospettiva che potrebbe portare a far coincidere le elezioni del Parlamento con l’elezione del Presidente della Commissione, si può ricordare che già in occasione delle elezioni del Parlamento europeo del 2014 si è tenuto un confronto televisivo tra coloro che i vari gruppi politici del Parlamento europeo avevano indicato come auspicabili Presidenti della Commissione.

[11] Si noti ad esempio che il “Libro bianco sul futuro dell’Europa, Riflessioni e scenari per l’UE a 27 verso il 2025”, del 1° marzo 2017, è formulato con lo specifico obiettivo di identificare cinque possibili scenari alternativi verso i quali l’UE si potrebbe evolvere senza modificare i Trattati. Anche la Dichiarazione di Roma nel sessantesimo anniversario dell’istituzione della CEE, formulata dai 27 Stati membri e dei Presidenti di Parlamento, Commissione e Consiglio europei, esprime obiettivi cui l’UE deve tendere senza però prefigurare una modifica dei Trattati.

[12] Ringrazio il dott. Andrea Mensi per gli utili scambi di idee in merito a questo paragrafo.

[13] Molti degli interventi di sostegno economico da parte delle Istituzioni dell’UE possono indirettamente portare benefici anche alle famiglie, ad esempio per quanto riguarda iniziative con finalità sociale, ma sono iniziative che non sono concepite avendo le famiglie come destinatari primari.

[14] Si possono menzionare alcuni atti che prendono in considerazione le famiglie, ma che in definitiva sono riconducibili in genere ad atti non vincolanti e a prese di posizione di principio:  si v. ad es. la Comunicazione della Commissione “Promuovere la solidarietà fra le generazioni” del 2007 (COM/2007/0244 def.), che al punto 3 prefigura l’ipotesi di un’“Alleanza europea per la famiglia”, volta a realizzare scambi di conoscenze e buone prassi per l’adozione negli Stati membri di politiche a favore delle famiglie, anche nella prospettiva di rispondere alla sfida demografica, nonché a favorire l’uso di fondi strutturali per consentire di conciliare vita professionale, vita familiare e vita privata.

[15] Art. 9 della Carta dei diritti fondamentali dell’UE: “Diritto di sposarsi e di costituire una famiglia”: “Il diritto di sposarsi e il diritto di costituire una famiglia sono garantiti secondo le leggi nazionali che ne disciplinano l'esercizio”. Articolo 33: “Vita familiare e vita professionale”: “1.   È garantita la protezione della famiglia sul piano giuridico, economico e sociale.''

[16] V. le iniziative a favore delle imprese familiari nel quadro di azioni a supporto delle piccole e medie imprese da parte dell’UE (c.d. “Small Business Act”), e in particolare la Comunicazione della Commissione “Una corsia preferenziale per la piccola impresa”, del 25 giugno 2008, che considera le imprese familiari a pieno titolo come piccole imprese, senza peraltro dare alcuna definizione di famiglia (COM(2008) 394 def.).

[17] I congedi familiari sono un settore nel quale si deve riconoscere l’effettiva attenzione da parte delle Istituzioni dell’UE, che hanno emanato diversi atti. V. ad esempio: la Direttiva 2010/18 dell’8 marzo 2010 in materia di congedi parentali; la Risoluzione del Parlamento europeo del 13 settembre 2016 sulla creazione di condizioni di lavoro atte a favorire il bilanciamento della vita lavorativa e privata; la previsione di nuove politiche al riguardo nell’iniziativa della Commissione “New start to address the challenges of work-life balance faced by working families”, dell’agosto 2015 (2015/JUST/012). Mentre il primo degli atti citati ha natura vincolante, gli altri due hanno valore di atti di indirizzo.

[18] Non mancano studi condotti dall’UE che hanno posto in luce le gravi conseguenze della recente crisi economica specificamente in capo alle famiglie in Europa, quali l’aumento della povertà, la crisi di imprese familiari, l’abbassamento del livello di istruzione e del tasso di natalità: cfr. ad esempio lo studio di Eurofund del 2015, nell'ambito del programma Europe 2020 Strategy: “Families in the economic crisis”.

[19] V. la pubblicazione dell’International Federation of Catholic Universities, Youth Cultures in Catholic Universities - A worldwide study, Parigi 2014, p. 174.

Bestagno Francesco



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