Epikeia e legge naturale in Francisco Suárez
Leonardo Caprara
Dottore di ricerca, Scuola di dottorato in “Persona e ordinamenti giuridici”
Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano
Epikeia e legge naturale in Francisco Suárez* (**)
Sommario: 1. Introduzione. - 2. Primo filone interpretativo: l’epikeia come interpretazione restrittiva della legge. Accoglimento della filosofia platonica. - 3. Secondo filone interpretativo: l’epikeia come strumento di correzione o emendazione della legge. Accoglimento della filosofia aristotelica. - 3.1. Lo sviluppo della filosofia aristotelica: Sant’Alberto Magno e San Tommaso d’Aquino. - 4. Il contributo di Francisco Suárez. - 4.1. Il giudizio prudenziale. - 4.2. L’atto di volontà. - 5. Epikeia e legge umana. - 6. Epikeia e legge naturale. - 6.1. La visione suarezianadel diritto naturale. - 6.2. L’esclusione dei precetti della legge naturale dal campo di applicazione dell’epikeia. - 7. Conclusioni.
- Introduzione
Se è possibile scorgere nell’epikeia un tema classico della speculazione canonistica e moralistica si deve, tuttavia, registrare che essa costituisce istituto giuridico dai contorni assai incerti sotto il profilo concettuale e funzionale.
Al proposto sono state prospettate molteplici configurazioni che, soltanto per semplicità espositiva, possono sostanzialmente ricondursi a due diverse posizioni interpretative.
- Primo filone interpretativo: l’epikeia come interpretazione restrittiva della legge. Accoglimento della filosofia platonica
Secondo una prima opzione ermeneutica[1] l’epikeia è principio giuridico di interpretazione restrittiva della legge positiva[2].
La funzione dell’epikeia sarebbe, dunque, quella di esimere il soggetto passivo della norma dal rispetto dell’obbligazione della legge positiva in un caso particolare, e più precisamente, allorquando, sulla base di un giudizio prudente o di una benigna interpretazione[3] della legge in conformità al giusto e al bene, il soggetto obbligato possa ragionevolmente ritenere che il legislatore non abbia inteso comprendere nella legge universale il caso concreto in cui egli si trova. Ciò per realizzare un diritto migliore rispetto quello che deriverebbe dall’applicazione pura e semplice della norma.
L’epikeia sembrerebbe essere, dunque, una misericordiosa concessione in favore del destinatario della prescrizione normativa dovuta alla presunta benevolenza del legislatore il quale, se fosse presente, lo dispenserebbe dall’osservanza della legge[4].
Non mancano, tuttavia, accenti fortemente critici nei confronti dell’epikeia. I fautori di questa prima soluzione interpretativa, infatti, evidenziano come l’uso indiscriminato dell’istituto possa prestarsi a facili abusi trasformandosi da concessione misericordiosa a deviazione dal vero diritto[5].
Sarebbe dunque preferibile non fare uso di questo “strumento pericoloso” o meglio farne un uso limitato ai soli casi in cui la disapplicazione della norma produrrebbe un male minore rispetto a quello che deriverebbe dalla pedissequa applicazione della medesima[6].
Questo filone interpretativo trova fondamento nella filosofia di Platone il quale tratta dell’epikeia nelle Definizioni[7], nel Politico e nelle Leggi[8] assimilandola all’indulgenza, ad una concessione misericordiosa ma anche all’equità[9], alla convenienza e alla moderazione. In particolare, nel Politico, Platone consapevole dei limiti delle leggi politiche che, in virtù del loro carattere generale, non possono «attribuire con precisione a ciascun individuo ciò che gli conviene»[10], manifesta una viva sensibilità verso il valore della singolarità.
3. Secondo filone interpretativo: l’epikeia come strumento di correzione o emendazione della legge. Accoglimento della filosofia aristotelica
Un secondo filone interpretativo ritiene che attraverso l’epikeia, la legge umana positiva, in base a criteri prudenziali, possa essere corretta o emendata, secondo i più alti principi del diritto naturale, quando essa presenti un “deficit previsionale” a causa del suo carattere universale[11].
L’epikeia, allora, sarebbe uno strumento di correzione del diritto, una parte soggettiva della giustizia, che consentirebbe di applicare la legge positiva secondo il suo vero senso non perfettamente espresso dalle parole.
L’espressione “correzione del diritto”, tuttavia, potrebbe indurre a facili fraintendimenti se non correttamente chiarita. Essa non vuole significare modificazione o abrogazione della prescrizione normativa ma, piuttosto, completamento di essa quando, a causa della sua generalità, il suo senso profondo è insufficientemente espresso dalla lettera della legge[12]. È solo in questo senso che alcuni Autori affermano che l’epikeia è giustizia ideale che trascende quella legale[13].
Anche i sostenitori della seconda impostazione ermeneutica che si sta analizzando evidenziano i pericoli di abuso dell’epikeia: l’uso indiscriminato ed arbitrario di essa potrebbe prestare il fianco all’elusione della norma, all’eccessivo soggettivismo o peggio ancora all’incertezza del diritto. Altri Autori, ritengono invece che il non uso dell’epikeia potrebbe condurre ad un vizio di “letteralismo” che condurrebbe all’ingiustizia[14].
Le fonti di questa visione giuridico- morale dell’epikeia sono da individuarsi nella filosofia aristotelica.
Ad Aristotele, infatti, va riconosciuto il merito di aver delineato per primo[15], nell’Etica Nicomachea e nella Retorica, la dottrina dell’epikeia.
Nel primo testo il filosofo, nel definire l’epikeia come correzione e supplemento del giusto legale[16],ne chiarisce anche la funzione che risiede nell’integrare la legge là dove essa è insufficiente a causa del suo esprimersi in termini generali: «Quando […] la legge si pronuncia in generale, e nell’ambito dell’azione accade qualcosa che va contro l’universale, è giusto correggere l’omissione, là ove il legislatore ha tralasciato il caso e ha sbagliato perché si è pronunciato in generale; correzione che lo stesso legislatore avrebbe proposto, se fosse stato presente, e avrebbe formulato nella legge, se avesse saputo»[17].
Nella Retorica, invece, l’Autore specifica che l’epikeia «è il giusto che va oltre la legge scritta»[18], è strumento che interviene in caso di «lacuna della legge scritta»[19] o, come sostenuto da certa dottrina, è metodo di applicazione della legge non scritta[20] o diritto naturale non ancora formulato in una legge positiva[21].
Sembra allora chiaro ciò che Aristotele intende affermare: quando la legge, a motivo della generalità, sembra potersi applicare anche a fattispecie da essa non previste né direttamente disciplinate, l’epikeia, individualizzando la norma per adattarla alle circostanze del caso concreto, evita l’ingiustizia che si produrrebbe se una condotta venisse regolata o addirittura punita sulla base di una norma sotto la quale in realtà non rientra[22]. In questo senso, dunque, può affermarsi che l’epikeia è diritto del singolo caso[23].
Per il filosofo di Stagira, non solo i governanti ma tutti i cittadini equi, benevoli, caritatevoli, clementi possono praticare l’epikeia perché in Atene tutti i cittadini sono dei potenziali legislatori[24].
Egli afferma che l’uomo equo è colui che «non è rigido nell’applicazione della legge dal lato delle severità, ma è indulgente, sebbene possa invocare la legge dalla sua parte»[25], che non bada, dunque, alla lettera della legge, ma allo spirito del Legislatore[26]. Per Aristotele è meglio «preferire un arbitrato piuttosto che una lite in tribunale[27]; infatti l’arbitro bada all’equità, il giudice alla legge; è l’arbitrato è stato inventato proprio […] per dar forza all’equità»[28]. Attraverso l’epikeia, come afferma Prümmer, «homo se constituit arbitrum legis et quasi proprium legislatorem»[29].
2.1. Lo sviluppo della filosofia aristotelica: Sant’Alberto Magno e San Tommaso d’Aquino
All’elaborazione scientifica del concetto di epikeia hanno contribuito, sviluppando la filosofia aristotelica, anche due dottori della Chiesa, Sant’Alberto Magno e San Tommaso d’Aquino.
Sant’Alberto nella Super ethica commentum et quaestiones, afferma che l’epikeia, in quanto espressione della giustizia legale e del diritto naturale, dirige e corregge la legge positiva quando essa è deficitaria a causa della sua universalità affinché l’azione posta in essere sia più conforme non solo al senso profondo della legge ma anche alla vera giustizia[30].
Il fondamento dell’epikeia risiede secondo il Doctor universalis nei limiti del carattere universale della legge nel suo confronto con la varietà delle azioni umane. E in ciò per sant’Alberto l’epikeia è super-giustizia[31], è applicazione della recta ractio ai casi particolari, ausilio per l’uomo per comprendere il vero senso della legge: l’essere cioè questa posta da Dio come via per la sua salvezza[32].
Questa finalità dell’istituto giustifica per Sant’Alberto, da un lato, l’uso dell’epikeia sia con riguardo alle leggi umane[33], sia con riguardo alla legge divina positiva[34] ma non con riguardo alla legge naturale in quanto “jus naturale, quod secundum naturam rei justum est et ubique eamdem habet potentiam”[35] e, dall’altro, il fatto che tale uso non sia riservato al giudice, al legislatore o all’operatore giuridico ma è concesso all’uomo virtuoso tout court[36] che vive una situazione nuova nella quale si rende necessario il ricorso a criteri di giudizio che non coincidono con quelli legali.
Anche San Tommaso dedica ampio spazio al tema dell’epikeia nel Commento alle Sententiae di Pietro Lombardo, nel Commento all’Etica Nicomachea e nella Summa Theologiae, definendola come il modo di ubbidire più profondamente alla legge, anche se la si viola formalmente[37], purché così facendo si possa realizzare l’intima volontà della norma e non la prescrizione esterna.
Per il Doctor angelicus, l’epikeia costituisce il più alto esempio di esercizio delle facoltà etiche dell’uomo nella quotidiana prova di responsabilità morale cui lo sottopone la sua esistenza calata nella temporalità[38]. Essa è una virtù della giustizia grazie alla quale è possibile agire praeter verba legis[39] superando, con spirito colmo di benignitas e misericordia cristiana, le difficoltà della legge umana o divina (in quest’ultimo caso se Dio non ha previsto eccezioni alla legge) che a causa della sua universalità non può prevedere tutti i possibili casi che possono verificarsi nella realtà[40].
In tal senso, l’epikeia costituisce «superior regula humanorum actuum»[41] perché essa, come affermano taluni Autori[42], rettifica la legge per dirigere la condotta umana nel senso del diritto naturale e del bene comune.
San Tommaso, tuttavia, è consapevole che l’uso indiscriminato dell’epikeia può facilmente trasformarsi in abuso e, per tale ragione, ha inteso circoscriverne l’impiego attraverso la previsione di una serie di limiti[43].
Il primo è costituito dalla “iustitiae ratio”[44] che trova il fondamento nell’uomo in quanto persona e in quanto artefice della giustizia. Per l’Aquinate la giustizia può avere piena realizzazione solo quando l’uomo riconosce l’altro e a lui si commisura con mitezza e condiscendenza, clemenza nel punire, perdono delle offese, inclinazione a non esigere quello cui si ha diritto a detrimento della carità[45].
Ciò spiega come, anche per San Tommaso, l’epikeia è parte della soggettiva giustizia perché l’intervento dell’uomo è necessario «per fare giusta la situazione concreta da lui sperimentata»[46] attraverso il contemperamento di due opposte esigenze: da un lato, quella altruistica ed egualitaria di proteggere non i propri interessi ma le tendenze della carità; dall’altro, quella di mitigare la severità della norma non attuando ciò che riesce amaro al prossimo.
Il secondo limite è costituito da “bonum commune”[47]. Il fine esistenziale dell’uomo secondo S. Tommaso è la beatitudo realizzabile con la vita comunitaria. Il bene della comunità è il parametro essenziale per il ricorso all’epikeia per evitare qualsiasi tentazione individualistica e privatistica.
In funzione del bene comune si spiega anche l’ultimo dei limiti di cui si diceva. Secondo l’Aquinate spetta al superior (e non dunque all’uomo tout court) giudicare se si dà il caso di applicare l’epikeia. Tuttavia, l’uso dell’epikeia diviene obbligatorio per chiunque quando, non potendosi ricorrere al superiore, si presenti un caso urgente rispetto al quale l’applicazione della legge conduce a risultati cattivi o addirittura peccaminosi con evidente nocumento al bene comune.
- Il contributo di Francisco Suárez
È Francisco Suárez che, nel periodo dell’Ultima Scolastica (1550-1620), dà con la sua opera più importante, il “Tractatus de legibus ac Deo legislatore”[48] (1620), un contributo decisivo allo sviluppo e all’elaborazione della dottrina sull’epikeia.
Il pensiero del filosofo di Granada, infatti, costituisce il trait d’union tra i due filoni teorici di cui si è dato conto.
Per Suárez, come per S. Alberto e S. Tommaso, il fondamento dell’epikeia è da individuarsi nel carattere generale della legge la quale non può essere giusta in tutti i casi essendo le cose umane contingenti e soggette a cambiamenti innumerevoli che il legislatore non può prevedere.
Nonostante ciò, come si vedrà nel prosieguo, Suárez si allontana molto dalla teoria tomistica dell’epikeia.
Infatti, se anche per Suárez l’epikeia è un correttivo della legge, essa svolge tale funzione sempre e solo secondo la presumibile intenzione o benignità del legislatore[49].
Nell’atto di epikeia Suárez scorge due elementi costitutivi[50] entrambi necessari: il giudizio prudenziale, cioè un atto interpretativo in chiave correttiva della norma (elemento di direzione), a cui segue l’atto di volontà di agire contra verba legis (elemento di realizzazione)[51].
3.1. Il giudizio prudenziale
Attraverso il giudizio prudenziale si giudica che un atto non rientra nella previsione legale; l’atto epikeietico non è, dunque, un atto di giurisdizione ma un giudizio dottrinale e, pertanto, interpretativo[52]. Se ciò è vero allora è legittimo domandarsi in cosa si differenzia l’epikeia dall’interpretazione della legge.
Pur non identificandole puramente e semplicemente, Suárez afferma che tra l’interpretazione della legge e l’epikeia esiste un rapporto di genere a specie[53]. Il tratto differenziale tra interpretazione ed epikeia propriamente detta va individuato, secondo il Dottore Esimio, nel fatto che la prima ha un campo di applicazione più ampio di quello che è proprio della seconda. Se l’epikeia è un tipo di interpretazione non si può dire che tutti i casi di epikeia sono casi di interpretazione della legge, né che tutti i casi di interpretazione della legge sono casi di epikeia.
La legge può essere interpretata per vari motivi “authoritative”, dal legislatore (interpretazione autentica) o, “doctrinaliter”, dai giuristi. Si pensi, ad esempio, al caso dell’interpretazione letterale volta a individuare il senso delle parole impiegate dal legislatore per chiarire le espressioni polisemantiche, oscure o ambigue della legge. Si pensi ancora all’interpretazione logica volta ad individuare l’intenzione del legislatore o all’interpretazione teleologica che dà un peso prevalente allo scopo (telos) per il quale la norma è stata emanata. In tutti questi casi non si avrà epikeia ma solo interpretazione[54]. L’epikeia, infatti, presuppone l’interpretazione della legge ma non si ferma ad essa. L’atto epikeietico, infatti, pur avendo un campo di applicazione più limitato rispetto alla mera interpretazione della legge, è caratterizzato da un quid pluris rispetto a quest’ultima quanto al risultato finale.
Al proposito Suárez afferma che epikeia è “solo quella per mezzo della quale interpretiamo che la legge, per il suo carattere di generalità, viene meno in un caso particolare: cioè che la legge, emanata in termini generali, in qualche caso particolare viene meno, sicché non può essere osservata in tale caso senza ingiustizia” e prosegue, citando Aristotele, che “l’epikeia è un correttivo del giusto legale, perché si interpreta che non si deve osservare la legge nel caso in cui sarebbe un errore pratico applicarla, il che andrebbe contro la giustizia o l’equità naturale. Per questo si dice che è un adattamento della legge”. Pertanto, mentre l’interpretazione intende spiegare una legge che è oscura nei suoi termini, l’epikeia invece la corregge «in casu in quo esset error practicus illam servare et contra iustitiam et aequitatem naturalem”.
L’epikeia è, dunque, nel contempo interpretazione, esenzione e cessazione di una legge umana.
A questo punto però, onde evitare fraintendimenti, risulta opportuno tratteggiare gli elementi differenziali dell’epikeia rispetto ad altri istituti ad essa affini vale a dire l’equità canonica e la dispensatio.
Una delle principali cause di confusione quando si parla di epikeia dipende dal fatto che molti Autori, anche moderni, usano indifferentemente i termini “epikeia” ed “equità” per indicare due realtà che, a ben vedere, sono molto diverse tra loro[55].
Il principale criterio discretivo tra epikeia ed equità è individuato da Suàrez nel fatto che il campo di applicazione esclusivo della prima è il foro interno mentre l’equità riguarda il foro esterno[56].
La dottrina canonistica più recente[57] ha approfondito ulteriormente il tema dei rapporti tra epikeia ed equità per meglio individuarne gli elementi comuni e quelli discretivi. Si è affermato che se entrambe manifestano un adattamento del sistema normativo alle particolarità del caso concreto, tuttavia, l’epikeia consiste in un giudizio soggettivo privato, l’equità invece consiste in un giudizio oggettivo che implica la stessa regola giuridica; si è detto anche che la prima non è un atto di giurisdizione e che la seconda invece crea nuovo diritto da applicare nel caso concreto; si è inoltre sostenuto che l’epikeia tocca le ragioni che inducono il soggetto passivo della legge a sottrarsi lecitamente alle conseguenze dell’inosservanza di ciò che la norma comanda[58] con effetti solo indiretti nel foro esterno, mentre l’equità tempera nel foro esterno i diritti e gli obblighi normativi che fanno capo al soggetto passivo della legge[59]; infine, alcuni Autori individuano il criterio distintivo tra i due istituti nel carattere metagiuridico dell’epikeia[60], nel senso che quest’ultimo è istituto dai connotati giuridico- morali mentre l’equità è istituto giuridico puro e semplice che conduce alla creazione di una regola di diritto inedita.
Quanto invece ai rapporti tra epikeia[61] e dispensa si può affermare, per un verso, che entrambe sono istituti di relaxatio legis[62] con funzione di adeguare le norme generali all’infinita varietà dei casi concreti contribuendo a dare forma alla flessibilità dell’ordinamento canonico e, per altro verso, che entrambe presuppongono un’inottemperanza alla legge in un caso singolo a causa della defettibilità della legge stessa. Non per questo, tuttavia, epikeia e dispensa possono essere assimilate l’una all’altra. La dottrina più attenta, infatti, ne ha individuato il criterio distintivo nella diversa provenienza dell’atto epikeietico rispetto all’atto di dispensa. Più precisamente, l’epikeia viene applicata dallo stesso soggetto passivo della legge il quale, in un dato caso concreto, si ritiene esonerato dal rispetto della norma, mentre la dispensa promana da un atto del superior[63].
3.2. L’atto di volontà
È proprio in relazione all’atto di volontà, che si è detto costituire il secondo elemento costitutivo dell’epikeia, che emerge un triplice ordine di differenze tra la dottrina tomistica e quella suareziana.
In primo luogo, per Suárez l’atto di volontà attua la decisione di agire contro la lettera della legge: l’epikeia, è dunque per il Dottor Esimio un atto contra verba legis e non un atto praeter verba legis come, a contrariis, sosteneva l’Aquinate[64]. Condividendo questa tesi, attenta dottrina[65] ha sviluppato il pensiero del filosofo di Granada affermando che l’epikeia è “forza ribelle al diritto positivo e violatrice di esso. Si deve anzi aggiungere che la violazione dell’ordine positivo (umano) si presenta talvolta […] come la condizione necessaria per l’osservanza dell’ordine naturale o divino; e cioè per la reintegrazione di più alte esigenze […] per quanto [esse] non si trovino svolte nelle formule dello “ius humanum”.
In secondo luogo, mentre per San Tommaso l’atto di volontà che spinge il soggetto ad agire (prater verba legis) è da ricondirsi alla giustizia, per Suárez invece esso può ricollegarsi anche ad altre virtù[66] - temperanza, fortezza, prudenza - che nel caso concreto possono entrare in conflitto con l’osservanza letterale della legge.
Un’ultima divergenza tra le due dottrine in commento è da ricondursi alla tensione tra la concezione universalistica dell’epikeia, patrocinata dall’Aquinate e la visione individualista patrocinato dal Suárez[67]. Se, infatti, per il Doctor angelicus la giustificazione ultima dell’epikeia si rinviene nel “bonum commune”, per Suárez, invece, l’epikeia è ordinata al bene della persona umana e al valore dell’individuo.
- Epikeia e legge umana
A Suárez va riconosciuto il merito di aver elencato le ipotesi in cui è lecito, attraverso il ricorso all’epikeia, correggere le leggi umane purché non si tratti di norme irritanti o inabilitanti. In relazione a quest’ultima categoria di norme, infatti, il ricorso all’epikeia, secondo il filosofo di Granada, è da escludersi[68].
Fatta salva questa eccezione, Egli invece considera lecito il ricorso all’epikeia in relazione alla legge umana viziata ex defectu potestatis o ex defectu voluntatis[69].
Nella prima categoria (norme umane viziate ex defectu potestatis), Suárez fa rientrare due ipotesi in cui la legge è emanata dal legislatore ultra vires potestatis.
Innanzitutto, il ricorso all’epikeia non è solo permesso ma addirittura obbligatorio quando ubbidire alla prescrizione di legge sarebbe immorale perché il rispetto della norma indurrebbe il suddito a compiere ciò che è male.
In secondo luogo, il ricorso all’epikeia è ammesso da Suárez quando l’obbedienza alla legge non sarebbe immorale ma, in relazione alle circostanze del caso concreto, sarebbe eccessivamente gravosa o ingiusta: il legislatore, infatti, non ha il diritto di trattare in modo servile il destinatario della norma.
Nella seconda categoria (norme viziate ex defectu voluntatis), l’impiego dell’epikeia è ammesso quando, a causa di circostanze eccezionali, è possibile ragionevolmente ritenere che l’autorità, che potrebbe legittimamente pretendere il rispetto della prescrizione normativa, se fosse a conoscenza delle circostanze del caso concreto permetterebbe all’obbligato di agire contra legem.
- Epikeia e legge naturale
L’epikeia trova applicazione anche rispetto alla legge naturale?
Il problema è di così grande importanza per Suárez da farne oggetto di specifica analisi nel Capitolo XVI del Libro II del De Legibus.
Anticipando che il Dottore Esimio dà una risposta negativa[70] al suddetto quesito, risulta opportuno, prima di passare ad esaminare le argomentazioni che Egli espone a favore della sua tesi, accennare alla teoria suareziana del diritto naturale. Solo in tal modo, infatti, si potrà comprendere appieno la ragione per la quale il filoso di Granada ammette l’epikeia per le leggi umane e la esclude per le norme di diritto naturale.
5.1. La visione suareziana del diritto naturale
Suárez definisce le leggi naturali come norme universali, espresse, immutabili e sufficientemente promulgate che procedono dalla volontà del legislatore, che è Dio stesso, e che abbracciano tutti i precetti onesti e necessari perché i costumi possano essere retti, così che le azioni contrarie ad essi sono dissolute e malvagie[71].
Da questa definizione possono trarsi una serie di punti fermi della dottrina suareziana del diritto naturale.
a) La derivazione divina del diritto naturale: Dio come autore della legge naturale
Per il giurista di Granada, solo attraverso un comando (imperium) il diritto naturale diventa legge in senso proprio perché, in assenza di esso, la natura umana è normativamente muta[72].
Se questo è vero, allora, la legge naturale richiede la volontà di un’autorità adeguata che la promulghi e tale autorità è individuata da Suárez in Dio quale legislatore che comanda e impone un obbligo[73].
Quindi spetta a Dio, governatore supremo della natura, proibire il male e comandare il bene in quanto solo la volontà divina conferisce al bene e al male che derivano dalla natura delle cose il carattere di obbligazione[74].
Questa centralità dell’immagine di Dio come Supremo Legislatore è una costante del pensiero del Dottore Esimio e appare peraltro evidente già dal titolo che Suárez ha voluto dare alla sua opera principale: “Tractatus de legibus ac Deo legislatore”.
Suárez concepisce, dunque, il diritto naturale come l’insieme di norme prodotte dalla legislazione divina senza confondere il diritto naturale con le leggi rivelate nelle Sacre Scritture[75].
È proprio in questa derivazione divina che è possibile scorgere la differenza tra la legge umana e quella di natura.
L’origine divina della legge naturale giustifica l’obbligatorietà della medesima, poiché ubbidire ad essa significa ubbidienza alla volontà di Dio.
Quanto all’obbligatorietà delle norme del diritto naturale, tuttavia, Suárez opera una distinzione tra precetti negativi che obbligano “sempre e per sempre”, e precetti positivi che obbligano solo quando un’eventuale omissione dell’atto sarebbe intrinsecamente illecita[76].
Anche le leggi umane sono connotate dall’obbligatorietà, tuttavia, mentre l’obbligatorietà della legge naturale è assoluta in quanto essa è legge perfetta come perfetto è il suo Autore, l’obbligatorietà della legge umana è relativa poiché frutto dell’imperfezione della natura umana contingente, mutabile che si origina nel tempo[77].
b) La conoscibilità delle norme del diritto naturale
Il secondo punto fermo riguarda la conoscibilità dei precetti del diritto naturale.
Le leggi naturali, secondo Suárez, sono conosciute dall’uomo non attraverso la Rivelazione ma attraverso la ragione che Dio gli ha dato fin dall’inizio della creazione e nella quale Dio stesso ha iscritto i propri comandamenti. La ragione è, dunque, il primo libro in cui si possono trovare codificate le leggi del Sovrano Supremo che è Dio[78].
È in questo senso che le norme del diritto naturale sono state promulgate in modo sufficiente. La promulgazione della legge naturale avviene, dunque, mediante la luce della ragione che per via deduttiva ne determina il contenuto.
Quanto al contenuto e alla conoscibilità della legge naturale egli distingue tra[79]: i) precetti che riguardano i principi primi generali della morale (bisogna fare il bene ed evitare il male; non fare agli altri ciò che non vuoi sia fatto a te…) che sono noti a tutti; ii) principi più determinati e particolari (bisogna osservare la giustizia; Dio va onorato; si deve vivere con temperanza…) anch’essi evidenti che nessuno può ignorare; iii) conclusioni che derivano dai principi attraverso un processo argomentativo o, come afferma Suárez ,“che si deducono con un evidente ragionamento dai principi naturali ma che non si possono conoscere se non appunto mediante un ragionamento” . Tra le conclusioni, alcune richiedono un argomentare più semplice e pertanto sono conosciute facilmente da tutti (ad esempio la malizia dell’adulterio o del furto) altre richiedono un processo più articolato e complesso e quindi non son facilmente raggiungibili da parte di tutti (la malizia della fornicazione, dell’usura e della menzogna)[80].
c) L’universalità e l’immutabilità delle norme del diritto naturale
L’ultimo punto fermo che è possibile trarre dalla definizione di diritto naturale di cui si è dato conto al principio di questo breve excursus riguarda i caratteri della legge naturale.
La legge naturale secondo Suárez è, innanzitutto, legge universale in quanto comune a tutti gli uomini che possono conoscerla attraverso la ragione che è dote o proprietà della natura umana[81].
Tale universalità, precisa Suárez, vale solo con riferimento ai principi primi della morale non con riferimento ai principi derivati[82].
In secondo luogo, il filosofo di Granada, in piena condivisione del pensiero tomistico[83], afferma che il diritto naturale è immutabile[84] perché le norme fondamentali del bene e del male esisteranno finché esisterà la natura umana. In quanto immutabili le norme del diritto naturale sono anche inderogabili. Ciò comporta, per un verso che rispetto ad esse non sono ammissibili privilegi o convenzioni in deroga e, per altro verso, che esse costituiscono un confine invalicabile per tutte le azioni umane sia private che pubbliche[85].
L’immutabilità nel senso anzidetto che è necessaria per non sconfinare nell’”etica della situazione” appartiene, tuttavia, solo ai principi primi del diritto naturale e non anche alle conclusioni che, invece, possono cambiare in ordine alle circostanze[86].
5.2. L’esclusione dei precetti della legge naturale dal campo di applicazione dell’epikeia
Come si è già avuto modo di anticipare, la risposta di Suárez al quesito “se l’epikeia trovi applicazione nella legge naturale” è negativa: la legge naturale, dunque, non ammette correzione attraverso l’epikeia.
È significativo al proposito come il filosofo di Granada, prima di argomentare la propria tesi, passi in rassegna le tesi affermative sostenute da “quasi tutti gli autori”[87] che si erano occupati del tema prima di lui cercando di metterne in evidenza le aporie.
Suárez sottolinea, innanzitutto, che tra questi Autori non vi è unanimità di consensi in ordine al soggetto che può fare applicazione dell’epikeia rispetto al diritto naturale.
Infatti, secondo una prima tesi, sostenuta da San Tommaso nel quarto libro del Commento alle Sentenze di Pietro Lombardo[88], da Riccardo di Middletown[89] e da Pierre de la Palu[90], la legge naturale ammette l’epikeia ma, attesa la derivazione divina del diritto naturale, il ricorso ad essa spetterebbe solo a Dio, Supremo Legislatore. Tuttavia, questi Autori, afferma Suárez, usano il termine dispensa e non il termine epikeia e i due istituti, come si è detto, sono ben diversi tra loro.
In base ad una seconda opinione, patrocinata da Tommaso de Vio (detto il Caetano)[91], da Domingo de Soto[92] e Martín de Azpilcueta[93], la legge naturale non solo ammette l’epikeia ma questa può essere applicata anche dall’uomo, per esempio “dal Papa o da un’altra persona dotata di un potere analogo” e ciò perché essa “è spesso moralmente necessaria […] quindi non è verosimile che Dio l’abbia riservata a sé, ma che l’abbia affidata agli uomini che ha stabilito suoi ministri […] altrimenti Dio avrebbe privato in larga misura gli uomini di una cosa necessaria […] Pertanto se, quando si presenta l’occasione, gli uomini non avessero il potere di interpretare il diritto naturale, anche al di là del suo tenore letterale se la causa lo richiede, gli uomini non saprebbero che cosa fare”[94].
I contrasti interpretativi che caratterizzano la tesi affermativa non si riscontrano nella tesi negativa sostenuta da Suárez il quale afferma che “nemmeno Dio può introdurre qualche eccezione nella legge naturale per mezzo […] dell’epikeia” poiché “i precetti di questa legge sono proposizioni necessarie che […] non possono venire meno o essere false in alcun caso concreto. Quindi non può mai accadere che per mezzo di qualche interpretazione, sia lecito compiere ciò che da tali precetti è proibito, perché intrinsecamente cattivo, e nemmeno che sia lecito omettere ciò che da quei precetti è comandato, perché necessario per il bene morale”[95].
Chiarita la sua posizione, Suárez compie un’operazione sistematica collocando l’epikeia nel più generale genus dell’interpretazione. Sul punto si è già ampiamente detto supra (§ 3.1), tuttavia si rende qui opportuno aggiungere qualche ulteriore precisazione.
L’Autore afferma che la legge naturale può essere considerata in due modi: in sé stessa e in quanto data per mezzo di una legge positiva[96]. In entrambi i casi, afferma Suárez, la legge di natura ha bisogno, per gli uomini, di chiarimenti e interpretazioni che ne spieghino il vero senso. Infatti, poiché non tutti i precetti naturali sono egualmente noti o semplici da capirsi, l’interpretazione è necessaria per ricercare le condizioni e le circostanze verificandosi le quali un atto è in se cattivo, e dunque proibito dalla legge naturale, ovvero è buono e dunque lecito[97].
Per chiarire questa affermazione il filoso di Granada porta, tra gli altri, l’esempio dell’omicidio: “nel precetto di evitare l’omicidio, è al massimo grado necessaria l’interpretazione per chiarire che cosa si intenda col termine “omicidio”; perché non qualunque uccisione di un uomo è omicidio proibito dalla legge naturale, ma solo quello compiuto per autorità propria e di propria iniziativa o tramite un’aggressione; ma non l’uccisione che avviene [per ordine della] autorità legittima o per legittima difesa”[98].
Questa interpretazione, che non è epikeia, può e deve essere operata non solo da Dio ma anche dall’uomo da sé o per mezzo dell’interpretazione dottrinale.
Invece nessun precetto naturale considerato in sé stesso ammette epikeia propriamente detta.
Se è vero, infatti, che l’epikeia è un adattamento della legge o della giustizia legale, allora non può revocarsi in dubbio che essa non possa trovare applicazione rispetto alla legge naturale, la quale non può essere adattata poiché posta dalla retta ragione che non può mancare di verità. Se in qualche caso, aggiunge Suárez dovesse venire meno “l’obbligo della legge [naturale], [ciò] non è causa dell’epikeia, ma del cambiamento dell’oggetto […] Tutte le volte in cui sembra che un precetto naturale non obblighi in qualche occasione, significa necessariamente che è cambiato l’oggetto dell’atto.”[99]
Il Dottor Esimio chiarisce questo concetto con un esempio: “La legge di natura ordina all’inferiore di obbedire al superiore: ne consegue che in caso di esenzione dall’obbedienza si dà un’eccezione. In forza dell’esenzione l’inferiore cessa di essere tenuto ad obbedire al superiore. Ma questa è ancor meno epikeia […] in questo caso la legge cessa di obbligare per cambiamento dell’oggetto, dato che colui che era inferiore cessa di esserlo a causa dell’esenzione”[100].
Suárez, tuttavia, ammette il ricorso all’epikeia anche con riguardo al diritto naturale in relazione ai precetti di natura affermativa ma solo nei momenti in cui è previsto che essi non obblighino il destinatario della norma. Questa affermazione merita però di essere chiarita.
I precetti positivi del diritto naturale, infatti, non obbligano in ogni circostanza in quanto è necessaria la previa la determinazione del periodo di tempo in cui avranno vigore.
Tale determinazione può avvenire innanzitutto attraverso la ragione naturale e, in questo caso, «nulla est epiikia, quia nulla est exceptio a lege, nec emendatio praecepti, sed simplex intelligentia illius» perché non è possibile concepire che vi sia un altro modo di determinare il precetto o la sua cessazione; ma può avvenire anche attraverso la legge umana positiva e allora, in tal caso, l’epikeia è ammissibile[101].
I precetti di natura negativa, invece, obbligano sempre e in ogni circostanza, in quanto mirano ad evitare il compimento di azioni malvagie e ciò anche nel caso in cui siano stabiliti dalla legge umana positiva[102]. Questa caratteristica basta per escludere, secondo Suárez, che tali precetti siano suscettibili di epikeia perché “è impossibile che ciò che è intrinsecamente cattivo divenga buono fermi restando il medesimo oggetto e le medesime circostanze”[103]. Quello che può capitare in relazione a questo tipo di precetti, come si evince dall’ultima parte dell’affermazione appena riportata, è che l’atto proibito cessi di essere cattivo a causa di un cambiamento dell’oggetto oppure delle circostanze intrinseche. Anche in questo caso, tuttavia, non è possibile parlare di epikeia bensì di un atto di conoscenza o di interpretazione dell’oggetto della legge o del suo campo di applicazione.
La possibile obiezione secondo la quale taluni precetti naturali che, in caso di necessità o di un fine estrinseco, non obbligano relativamente ad atti che in via ordinaria sarebbero proibiti dal diritto naturale (ad esempio il precetto che proibisce di contrarre matrimonio con una seconda moglie mentre la prima è ancora viva e il primo matrimonio è stato consumato che non obbliga allorquando la prima moglie è sterile ed è necessario assicurare la conservazione del genere umano), è liquidata sbrigativamente dall’Autore come falsa obiezione in quanto “fintantoché rimane invariato l’oggetto del precetto naturale negativo, un atto proibito non può essere giudicato lecito per mezzo dell’epikeia, in ragione di una causa, di un fine o di una necessità estrinseci” e se questo apparentemente accade allora o il precetto in questione non è un precetto di diritto naturale oppure è venuto meno o è cambiato l’oggetto del precetto[104].
A conclusione del Capitolo XVI del Libro II del De Legibus Suárez si occupa dei precetti naturali per così dire derivati in quanto formulati o determinati da una legge umana.
Tali formulazioni positive, secondo il filosofo di Granada, possono essere corrette per mezzo dell’epikeia proprio in quanto posti dal legislatore umano e in relazione all’intenzione di quest’ultimo[105].
Può accadere, infatti, che il legislatore umano abbia emanato una legge impiegando delle clausole generali e senza prevedere o considerare espressamente delle eccezioni. In tali casi l’indeterminatezza ed incondizionatezza dei termini impiegati potrebbero far ritenere al destinatario della norma che un determinato caso concreto sia compreso nell’ambito di applicazione del precetto ma in realtà non vi rientra affatto. Ecco allora che per evitare questi inconvenienti Suárez ammette la necessità di ricorrere all’epikeia a fine di interpretare, attraverso un giudizio prudenziale, l’intenzione del legislatore (umano) al fine di vagliare se un determinato caso concreto rientri o meno nella previsione legale.
- Conclusioni
A Francisco Suárez, va riconosciuto il merito di aver raccolto e sviluppato il materiale scientifico distribuito in numerosi trattati giuridici e teologici elaborati da altri insigni autori che si erano occupati, prima di lui, del tema dell’epikeia.
Questo dato potrebbe indurre a pensare che la dottrina suareziana dell’epikeia sia meramente ricognitiva o riassuntiva di contrasti dottrinali di cui egli era attivamente partecipe.
Al contrario, invece, deve registrarsi che il giurista di Granada ha messo a punto una dottrina dell’epikeia del tutto originale, completa e risolutiva dei principali aspetti problematici relativi all’applicazione dell’istituto oggetto del presente scritto.
La dottrina suareziana è originale per il contributo che Suárez dà all’inquadramento sistematico dell’epikeia. Il Dottore Esimio la colloca, infatti, nell’alveo dell’interpretazione della legge pur non identificandola puramente e semplicemente con quest’ultima. Questa non completa assimilazione tra epikeia ed interpretazione della legge dipende dalla dicotomia campo di applicazione– effetti dei due istituti nel senso che l’interpretazione, ha un campo di applicazione più ampio di quello dell’epikeia, mentre l’epikeia ha effetti più ampi rispetto all’interpretazione.
L’elaborazione teorica di Suárez, inoltre, ha consentito di marcare le differenze tra l’epekeia ed altri istituti giuridici apparentemente ad essa affini. Gli studiosi che si erano occupati del tema prima di Suárez consideravano l’epikeia come un istituto giuridico dai contorni indefiniti o addirittura come un “collettore”[106] entro cui far rientrare ogni caso in cui non fosse possibile affermare la liceità di un’azione e quindi, ad esempio, il giudizio concreto del giudice, la dispensa del superiore, l’inosservanza della legge in caso di necessità o di desuetudine[107]. Con il filosofo di Granada l’epikeia assume la dignità di istituto giuridico autonomo dotato di un proprio campo di operatività rispetto ad istituti ad esso apparentemente analoghi ma non del tutto assimilabili.
Infine, si diceva che la dottrina suareziana dell’epikeia è una dottrina completa. Suárez, infatti, ha approfondito il tema dell’applicazione dell’istituto sia con riferimento alla legge umana sia con riferimento al diritto naturale.
Quanto alla legge umana. Egli ha il merito di aver elencato i casi generali in cui l’epikeia può trovare applicazione, mentre per la legge naturale in sé considerata il Dottor Esimio ne ha escluso ogni margine di operatività. Questa diversa impostazione, come si è visto, trova giustificazione nella diversa origine, umana, delle norme di diritto umano e, divina, di quelle di diritto naturale.
Alla luce delle superiori considerazioni è da condividersi quella dottrina che sostiene che con l’imponente sintesi di Suárez si può considerare quasi conclusa l’elaborazione dottrinale che costituirà la base dello studio casistico dell’epikeia per molti secoli [108].
Tuttavia, l’aver limitato il discorso ad alcuni grandi pensatori del passato che maggiormente hanno contribuito con il proprio pensiero all’elaborazione scientifica dell’istituto, non deve indurre a pensare che il diritto debba disinteressarsi dell’epikeia poiché figura ormai desueta, residuale[109] o da relegarsi al solo campo della morale[110]. Ciò è palesemente smentito non solo dal vigore degli studi sull’epikeia che si sono sviluppati nel corso del secolo scorso[111] ma anche dal recente dibattito su possibili nuovi impieghi dell’istituto con riferimento a tutti quei casi in cui la rigidità del sistema legislativo rischierebbe di compromettere insopprimibili esigenze di mitezza e misericordia.
Lo dimostra, ad esempio, il dibattito riaccesosi con la celebrazione dell’ultimo Sinodo sulla famiglia sul possibile impiego dell’epikeia nell’ambito dell’accesso ai sacramenti per i divorziati e risposati[112]. In queste situazioni si è detto “non si può parlare di un’oggettiva situazione di peccato senza considerare anche la situazione del peccatore nella sua singolare dignità personale. Per questa ragione non può esserci alcuna soluzione generale del problema, ma solo soluzioni singolari”[113] soprattutto in un ordinamento com’è quello canonico in cui la misericordia “è la via che unisce Dio e l’uomo, perché apre il cuore alla speranza di essere amati per sempre nonostante il limite del nostro peccato”[114].
Ciò dimostra dunque che l’epikeia non è istituto privo di utilità pratica neppure ai nostri tempi attesa l’attualità della sua essenza che è quella di mostrare, ieri come oggi, l’intreccio tra legge e misericordia[115] permettendo al diritto di stare al passo coi tempi attraverso l’adeguamento della prescrizione astratta alla realtà concreta[116].
Key words: Francisco Suárez, epikeia, interpretation of the law, human law, natural law.
Abstract:This paper is to account for the fundamental contribution offered by Francisco Suárez, with his De Legibus ac Deo legislatore, in tracing the clear conceptual and operative boundaries of epikeia. In fact, three merits must be recognized to the philosopher: given a clear systematic framing of the epikeia in the interpretation of the law; awarded to epikeia, through a careful work of conceptual clarification, dignity of an autonomous legal institute with respect to similar figures with which other scholars before him easily confused; studied with methodological rigor the different operation of the institute with respect to human law and natural law. In relation to human law, Suárez identifies the three general cases in which it is possible and lawful to make use of epikeia. The theme of the application of epikeia to natural law, however, is so important for the philosopher of Grenade to be object of an autonomous discussion in Chapter XVI of Book II of the work cited. The solution proposed by Suárez relating to the relationships between epikeia and natural law, as will be seen, is different from the ones proposed by other illustrious authors who preceded him, first of all Thomas Aquinas.
* Testo ampliato e rivisto della relazione tenuta presso l’Universidad Católica San Antonio de Murcia in occasione della II International Conference “Justice, Mercy and Law. From revenge to forgiveness in the History of Law”, Murcia, 15 dicembre 2016.
(**)Il contributo è stato sottoposto a double blind peer review.
[1] Tra i sostenitori di questa tesi figurano S. Alfonso, Theologia moralis, 1.1., trac 2, n. 201, Roma, 1905, p. 182, che definisce l’epikeia come “exceptio casus ob circomstantias ex quibus certo vel saltem probaliter indicatur legislatorem noluisse illum casum sub lege comprehendi”; tra gli autori moderni H. Noldin, Summa Theologiae Moralis, 28 ed., Lipsia, 1941, Vol. I, n. 160 e, come affermato da F. D’Agostino, Contributo alla storia dell’idea di equità: Jehan de Gerson e la lotta per il Concilio, in Angelicum, 48 (1971), pp. 448-449, Jehan de Gerson.
[2] E. Hamel, Epikeia, in AA. VV., Dizionario enciclopedico di teologia morale (a cura di Leandro Rossi e Ambrogio Valsecchi), Roma, 1976, p. 357.
[3] L’espressione “benigna interpretatio” con riferimento all’epikeia è utilizzata da P. Laumann, Theologia Moralis, L. I. 4, 19 n. 2, Venetiis, 1719, I, p. 67.
[4] E. Hamel, Epikeia, in AA. VV., Dizionario enciclopedico, op. cit., pp. 357 ss.
[5] Ivi, p. 358.
[6] Ivi, p. 359. Cfr. anche E. Hamel, L’usage de l’épikie, in Studia Moralia, 3 (1965), pp. 48-49: “Certains se montrent plutôt réservés; ils insistent sur les dangers d’abus que comporte l’épikie et concluent que cette arme dangereuse ne devrait être utilisée que rarement. C’est une concession miséricordieuse dont il serait plus parfait de ne pas faire usage. Le moins serait le mieux! D’autres en restreignent également l’usage, mais pour des raisons différentes. Ils ne témoignent pas, comme les premiers d’une méfiance spéciale à l’endroit de l’épikie. Mais, frappés par son caractère exceptionnel, ils affirment qu’en pratique les cas où elle s’applique ne peuvent être qu’extrêmement rare”.
[7] Platone, Definizioni, 412 b, definisce l’epikeia come «disposizione a cedere i propri diritti e i propri interessi; moderazione nelle relazioni; ben ordinato atteggiamento dell’anima razionale riguardo al bene e al male». Cfr. F. D’agostino, Epieikeia. Il tema dell’equità nell’antichità greca, Milano, 1973, p. 19; G.M. Colombo, Sapiens aequitas: l’equità nella riflessione canonistica tra i due codici, Roma, 2003, p. 16; L. Solidoro Maruotti, Tra morale e diritto: Gli itinerari dell’aequitas. Lezioni, Torino, 2013, p. 30. In alcuni casi, il termine epikeia nell’antica Grecia veniva riferito alla decenza e alla modestia (cfr. A. Di Marino S. J., L’epikeia cristiana, in Divus Thomas, XXIX (1952), p. 396); in altri casi essa esprimeva la conformità di una situazione o di una persona ad un ordine oggettivo non proveniente dalla creazione o dall’attività umana ma dalla realtà stessa delle cose oppure la possibilità di adattare un parametro astratto ed oggettivo alla realtà degli avvenimenti quotidiani. Con quest’ultimo significato secondo M.T. Romano, La rilevanza invalidante del dolo sul consenso matrimoniale (can. 1098 C.I.C.): dottrina e giurisprudenza, Roma, 2000, pp. 125, nota n 90, l’epikeia “si ritrova spesso nelle opere di Omero ad esempio nell’episodio di Eumolo [Omero, Iliade, XXIII], a cui Achille riconosce il giusto valore dell’auriga pur essendo arrivato per ultimo nella gara, l’epikeia […] trova la sua fonte […] nel riconoscimento, fatto da Achille, del fatto che egli è oggettivamente il migliore auriga».
[8] Platone, Leggi, VI, 757 a ss.
[9] A. Rodríguez Luño, La virtù dell’epikeia. Teoria, storia e applicazione (I). Dalla Grecia classica fino a F. Suárez, in Acta Philosophica, vol. 6 (1997), fasc. 2, p. 199.
[10] Platone, Politico. Traduzione, introduzione e commento a cura di G. A. Roggerone, Torino, 1954, p. 78.
[11] E. Hamel, Epikeia, in AA. VV., Dizionario enciclopedico… op.cit., p. 358; L. J. Riley, The History, nature and use of epikeia in moral Theology, Washington, 1978, p. 137; J. E. Lalanne, Los principios del derecho del trabajo, in Revista de Derecho, 11 (2015), pp. 176-177.
[12] L. Barp Fontana, La justicia como virtud social, in Derechos Humanos México, 8 (2008), p. 49, sostiene che “la epikeia es la virtud anexa de la justicia que inclina la voluntad hacia aquello que es justo, interpretando la ley segùn su espiritu e no segùn su letra”. Negli stessi termini si esprime anche A. Poncela González, Las raíces filosóficas y positivas de la doctrina del derecho de gentes de la Escuela de Salamanca, Leòn 2010, p. 59, il quale afferma: “la corrección, no significa una rectificación o una derogación de la ley, sino un complemento a la misma, hablando con propiedad “un decreto”. No viene a suplir un defecto de la ley, sino a completar la naturaleza propia de ley su pretendida “indefinición”, o virtualidad, necesaria para que pueda regular las más diversas circunstancias”. Chiarisce bene questo aspetto anche F. D’agostino, Appunti per una teoria dell’epikeia, in Sapientia, 2 (1977), p. 136, il quale afferma che “l’epikeia non vuole negare la legge ma pretende solo in certi casi di correggerla, di attenuarla di renderne maggiormente giusta l’applicazione al caso particolare”. M. C. C. Avendaño, E. Sota, Hermenéutica y campo jurídico, in Anuario, 8 (2004-2005), Córdoba 2005, p. 330, sottolineano come l’epikeia non comporta una disapplicazione della legge. Non mancano tuttavia Autori che la pensano diversamente. Al proposito si vedano, ad esempio, R. Coppola, La non esigibilità nel diritto penale canonico. Dottrine generali e tecniche interpretative, Bari, 1992, p. 197 e S. Berlingò, Lacuna della legge, in Stato e Chiese e pluralismo confessionale (www.statoechiese.it), febbraio 2008, p. 13, i quali affermano che l’epikeia si traduce in una disapplicazione della legge o in un’(auto)esenzione dagli obblighi che ne derivano. Infine, si veda ancora M. Idoya Zorroza, Interpretación y equidad: la virtud de la epiqueya en Suárez, in Auctoritas Prudentium, 5 (2011), p. 53, il quale afferma che l’epikeia è una esenzione, interpretazione, o cessazione di una legge umana.
[13] M. D’Arienzo, L. Musselli, M. Tedeschi, P. Valdrini, Manuale di diritto canonico, Torino, 2016, p. 61.
[14] E. Hamel, Epikeia, in AA. VV., Dizionario enciclopedico, op.cit., p. 359; Id. L’usage de l’épikie, op. cit., pp. 48-49, afferma che alcuni autori patrocinano “un usage plus étendu de l’épikie. Selon Schilling, par exemple, il ne faut pas limiter l’épikie aux seules circonstances exceptionnelles de la vie civile ou ecclésiastique: l’épikie doit être utilisée régulièrement: elle est une fonction normale de la vie chrétienne. Selon Azpiazu, l’épikie doit nécessairement trouver une large place dans la vie moderne. Ses possibilités d’application, beaucoup plus vastes aujourd’hui qu’autrefois, ne peuvent aller qu’en augmentant. Michiels affirme pour sa part que le champ d’application de l’épikie couvre tous les secteurs de la vie sociale. Lumbreras soutient que les cas où doit intervenir l’épikie sont plus nombreux qu’on le croit ordinairement”.
[15] B. Mondin, “Equità”, in Dizionario enciclopedico del pensiero di S. Tommaso D’Aquino, Bologna, 1991, pp. 245 ss.
[16] Per Aristotele l’epikeia è correttivo della legge che non può essere mai perfetta (cfr. AA.VV., Il potere, a cura di Piero Ciardella e Maurizio Gronchi, Milano, 2007, p. 41) in quanto a causa della sua universalità fallisce in casi particolari (cfr. R. F. Bégin, Natural Law and Positive Law, Washington, 1959, p. 149).
[17] Aristotele, Etica Nicomachea, Traduzione, Introduzione e Note di Carlo Natali, n. 1137b, Bari, 2003, p. 215. M.F. Pompedda, Studi di diritto processuale canonico, Milano, 1995, pp. 251 ss., nel commentare questo passo dell’Etica Nicomachea afferma che è lecito usare l’epikeia “quando la legge si esprime in modo generico ma in concreto avviene un fatto che non rientra in questa generalità, allora è giusto correggere la lacuna; e lo direbbe anche il legislatore stesso se fosse presente, perché, se avesse previsto il fatto l’avrebbe regolato con la legge”.
[18] Aristotele, Ars rhetorica (trad. di Plebe), Bari, 1961, pp. 66 ss.
[19] L. Solidoro Maruotti, Tra morale e diritto: Gli itinerari, op. cit., p. 31.
[20] V. Frosini, «Equità», in Enciclopedia del diritto, XV, Milano, 1966, p. 71.
[21] O. Robleda, Miscellanea Comillas, XV, 1, 1951, p. 261. Al propo
Caprara Leonardo
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