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Diritti e interessi coinvolti nella riforma delle intercettazioni

28.10.2017


Teresa Bene

Professore ordinario di Diritto processuale penale, Università degli Studi della Campania Luigi Vanvitelli

Diritti e interessi coinvolti nella riforma delle intercettazioni*

Sommario: 1.Le modalità di impiego e di utilizzazione delle intercettazioni. - 2. Alcuni rilievi critici. - 3.  La professionalità del pubblico ministero.  - 4. Gli ostacoli alla violazione del segreto: l’archivio segreto. 5. Un controllo efficace attraverso il cd brogliaccio d’ascolto?- 6.  La scansione procedimentale e il controllo giurisdizionale. - 7. Il buon senso è un criterio giuridico indeterminato. - 8. L’esito dell’udienza stralcio e la distruzione delle conversazioni intercettate. - 9. La semplificazione dell’impiego delle intercettazioni nei reati contro la pubblica amministrazione.

 

  1. Le modalità di impiego e di utilizzazione delle intercettazioni

In tema di intercettazioni, l’avverbio troppo è, senza dubbi, abusato. Più volte è stato sottolineato che sono troppe le intercettazioni, troppe le notizie pubblicabili, troppe le notizie illegalmente pubblicate [1]. Ma vi è anche una constatazione obiettiva, sono troppo fragili le barriere poste a protezione del pericolo di un ingiustificato sacrificio del diritto alla riservatezza dei terzi e dello stesso indagato. In ogni caso resta fondato il timore che tra le cause dei mali denunciati vi siano prassi applicative almeno indifferenti a rilievi deontologici, alla sorte delle posizioni individuali trascinate senza necessità nell’alveo delle indagini e del processo[2] e travolte dal capitalismo mediatico.

Il tema è solitamente affrontato partendo da due diverse premesse. La prima è legata alla scelta operata dal legislatore nel 1989 di pubblicare gli atti quando non vi è più un’esigenza investigativa interna. Più volte è stato sottolineato [3] che quella scelta non ha funzionato eppure si è detto che il sistema realizzava un buon equilibrio [4]. Non vi è dubbio che in tema di intercettazioni vi siano problemi culturali che condizionano le prassi applicative, ma vi sono profili tecnici intimamente legati alla peculiarità delle intercettazioni [5].

 La seconda premessa è legata agli insegnamenti della Corte costituzionale, che con giurisprudenza costante [6], chiarisce che l’informazione può subire restrizioni solo a garanzia di beni contrastanti di pari livello costituzionale. In particolare, l’informazione sul processo penale perché svolge una funzione di controllo democratico, consentendo il controllo reciproco tra magistratura e informazione. D’altra parte, la Cedu afferma che intanto si può restringere l’informazione in quanto ricorra una imperiosa necessità democratica [7].

Il legislatore è intervenuto, delegando, con la legge 23 giugno 2017, n. 103, il Governo all’adozione di decreti legislativi per la riforma della disciplina delle intercettazioni di conversazioni e comunicazioni, secondo quanto previsto ex art. 1, comma 82. Il successivo comma 83 stabilisce che i decreti legislativi devono essere adottati nel termine di tre mesi dalla data di entrata in vigore della legge per la materia delle intercettazioni e nel termine di un anno per le altre previsioni. Il comma 84 prevede princìpi e criteri per la riforma della disciplina delle intercettazioni.

La legge delega riguarda la regolamentazione dell’utilizzazione nel procedimento penale delle captazioni e le regole per la divulgazione del materiale registrato. In particolare, il legislatore ha delegato il Governo a riformare le modalità di impiego e di utilizzazione delle intercettazioni, prevedendo prescrizioni che incidano anche sull’impiego delle stesse nel corso del procedimento cautelare e che «diano una precisa scansione procedimentale per la selezione di materiale intercettativo nel rispetto del contraddittorio delle parti».

Nella seconda parte la delega prevede princìpi e criteri che dovranno ispirare la successiva normativa delegata relativa alla disciplina delle intercettazioni di comunicazioni o conversazioni tra presenti mediante immissione di captatori informatici in dispositivi elettronici portatili [8].

La nuova disciplina tendenzialmente intende assicurare un più ampio margine di tutela della riservatezza delle comunicazioni e delle conversazioni, telefoniche e telematiche, con speciale riguardo delle persone occasionalmente coinvolte nel processo penale e delle comunicazioni che comunque non sono rilevanti ai fini di giustizia penale. Le previsioni della legge di riforma tendono ad assicurare una maggiore tutela della riservatezza anche dei colloqui tra il difensore ed il suo assistito al fine di riconoscere un livello più elevato di salvaguardia del diritto di difesa.

Tuttavia, nel perseguire questi obiettivi devono essere «fatte salve le esigenze di indagine». Il legislatore ha così chiarito che le nuove norme non potranno determinare un depotenziamento dell’impiego nelle indagini del mezzo di ricerca della prova. Tant’è che, all’art. 1, comma 84, lett. d), è stabilito che le nuove norme dovranno «prevedere la semplificazione delle condizioni per l’impiego delle intercettazioni delle conversazioni e delle comunicazioni telefoniche e telematiche nei procedimenti per i più gravi reati dei pubblici ufficiali contro la pubblica amministrazione», criterio che inevitabilmente comporterà la possibilità di prevedere un ampliamento dei presupposti per il ricorso alle intercettazioni per tali reati.

Richiamato il fondamento costituzionale della nuova disciplina nell’art. 15 Cost. e negli artt. 8 e 10 Cedu, come interpretati dalla Corte EDU, all’art. 1, comma 84, lett. c), è previsto che le nuove prescrizioni dovranno «tenere conto delle decisioni e dei princìpi adottati con le sentenze della Corte europea dei diritti dell’uomo, a tutela della libertà di stampa e del diritto dei cittadini all’informazione». Non può prescindersi, dunque, dal conflitto con altri diritti.

Il diritto alla riservatezza è collocato nell’ambito dei principi costituzionali, come espressione di libertà dell’individuo, ed il legislatore ne appare consapevole. Un diritto soggettivo assoluto che trova il suo presupposto nell’art. 2 Cost.

Sebbene vi siano approdi più equivoci della Corte costituzionale, talvolta si trascura che la prima affermazione del rango costituzionale del diritto proviene proprio da una decisione della Corte costituzionale [9] che, investita di una questione di legittimità concernente la legge sul diritto di autore, ha collocato il diritto alla riservatezza tra i diritti inviolabili costituzionalmente garantiti dall’art. 2 Cost., in quanto in tale norma sono ricompresi gli artt. 12 Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo e art. 8 della Cedu [10].

In realtà, una definizione di riservatezza di estrema efficacia è stata offerta anche dalla Corte costituzionale tedesca, secondo cui essa è la libertà dell’individuo di determinare in perfetta autonomia le modalità di costruzione della propria sfera privata, comprese le singole informazioni che andranno a comporla [11].

Tuttavia, la ricerca della definizione di riservatezza non può trascurare, seppur solo per cenni poiché in parte è profilo eccentrico rispetto al tema principale, l’incidenza sul valore del diritto alla riservatezza delle nuove tecnologie, tant’è che nel diritto deve essere compreso anche l’interesse di ogni persona a non restare indeterminatamente esposta ai danni ulteriori provocati da una reiterata pubblicazione di una notizia, in passato legittimamente divulgata [12].

  1.  Alcuni rilievi critici

In un’ottica di prospettiva può anticiparsi una valutazione sulla effettività delle nuove condizioni di tutela della riservatezza. Il sospetto è che esse mancheranno l’obiettivo per le medesime ragioni che hanno reso possibili le prassi applicative che si vuole evitare si rinnovino, poiché quella funzione di protezione resta affidata prevalentemente alla diligenza dei magistrati del pubblico ministero nella fase delle indagini.

L’osservazione critica possibile attraversa tutti gli spazi logico-giuridici nei quali trova realizzazione la garanzia giurisdizionale imposta dall’art. 15 comma 2 Cost. Resta da chiedersi se il carico di nuove responsabilità derivante per il pubblico ministero dalle modifiche normative non sia il riflesso del medesimo ruolo di garanzia e di obiettività nell’applicazione della legge, che ne connota lo statuto normativo e che già oggi potrebbe consigliare all’organo titolare della funzione di direzione delle indagini opportune modalità di esercizio delle relative potestà.

Si insinua così un senso di disagio, purtroppo destinato ad aumentare [13] se si pensa agli episodi di chiusura corporativa, talvolta all’autodichia del Csm. Temi che hanno caratterizzato un intervento di Luigi Ferrajoli sull’autoreferenzialità che tenta di coniugarsi col populismo giudiziario e che rendono molto attuali le massime deontologiche espresse nel 2013 [14].

Appare inevitabile la conseguenza: il bilanciamento degli interessi in gioco resterà in larga misura affidato alla sensibilità degli organi di informazione [15] e alla loro capacità di munirsi di codici di comportamento adeguati e vincolanti, tali da creare un limite allo sfrenato capitalismo mediatico .

Non a caso, il legislatore stabilisce che il Governo, nell’adottare il decreto legislativo di riforma delle intercettazioni deve «tenere conto delle decisioni e dei princìpi adottati con le sentenze della Corte europea dei diritti dell’uomo, a tutela della libertà di stampa e del diritto dei cittadini all’informazione».

Come è noto, l’elaborazione giurisprudenziale della Corte europea in tema di libertà di espressione, invero, ha riguardato in modo particolare l’attività dei giornalisti [16].

Alla luce dei doveri e delle responsabilità previsti dall’art. 10 Cedu, il giornalista deve agire in buona fede, fornendo informazioni corrette e degne di credito, nel rispetto dell’etica giornalistica[17]. Consapevole che la propria condotta possa incidere su altre libertà umane, deve operare con grande prudenza, valutando adeguatamente il rischio di pregiudicare la reputazione delle persone citate per nome o, più in generale, di nuocere ai diritti altrui [18].

Su questi temi è interessante la Direttiva 2016/343/UE in tema di presunzione di non colpevolezza. Essa prescrive agli Stati membri di adottare le misure necessarie per garantire che, nel fornire le notizie ai mass media, le dichiarazioni rilasciate dalle pubbliche autorità e le decisioni giudiziarie, diverse da quelle sulla colpevolezza, non presentino l’indagato o l’imputato come colpevole, fino a che la sua responsabilità non sia stata legalmente accertata. Inevitabili gli effetti dell’attuazione del testo sovranazionale. Auspicabilmente, essa implicherà un ripensamento della prassi ormai frequente di tenere da parte dell’autorità, anche di polizia, delle conferenze stampa non appena conclusa l’operazione che ha assicurato i soggetti coinvolti nel blitz o quelle tenute dai Procuratori della Repubblica, non sempre rispettose di quanto preteso dall’art. 5 d.lgs. 20 febbraio 2006, n. 106, in tema di regolamentazione dei rapporti tra Ufficio del Pubblico Ministero ed organi di stampa. Peraltro, la Corte edu nel 1995 affermò che, sebbene l’esigenza di informare la collettività sullevicende giudiziarie costituisca una prerogativa delle moderne società democratiche, rientrando nella libertà di espressione di cui all’art. 10 Cedu., ciò non esclude tuttavia che l’attività dei mezzi di informazione debba essere svolta “con tutta la discrezione e con tutto il riserbo imposti dal rispetto della presunzione di innocenza[19].

  1. La professionalità del pubblico ministero

Il nuovo sistema appare costruito sulla fiducia che il legislatore ripone nella professionalità del pubblico ministero, la cui discrezionalità appare guidata verso una scelta quantitativa del materiale intercettativo e auspicabilmente anche qualitativa. L’idea, accolta dal legislatore, è già espressa nelle circolari delle procure [20]

Si riconosce al magistrato la capacità, in presenza di una contestazione non chiara e precisa, di eliminare dal materiale allegato alla richiesta cautelare le captazioni irrilevanti rispetto ai fatti da provare, quelle vietate e quelle contenenti dati sensibili. Si trascura l’insidia possibile in tutti i casi in cui le captazioni sono utilizzate per la dimostrazione di un “contesto ambientale” in cui maturano i fatti da provare o di una “rete di relazioni” che agevola il compimento del reato ipotizzato.  

Se la selezione implica approfondimenti più puntuali, perché vengono in rilievo concetti e nozioni di difficile determinazione di cui si prospetta la possibile utilità e rilevanza, è anche evidente la potenziale capacità lesiva della riservatezza, soprattutto, dei soggetti non indagati. Il modus procedendi è diffuso nei procedimenti per reati associativi e quando occorre delineare la personalità e la pericolosità dell’indagato. L’esame delle prassi fa crescere un senso di inquietudine nei casi in cui emerge che non è sempre indispensabile riportare intercettazioni che riguardano terzi non indagati per illustrare un contesto criminale; che andrebbero indicate le ragioni della indispensabilità e che, in nessun caso, se non raramente, sono riservate forme di tutela nei confronti dei terzi.

D’altro canto, si trascura il rilievo legato allo status del soggetto interessato, nulla si dice, infatti, delle notizie processualmente irrilevanti ma di sicuro interesse pubblico. Di particolare rilievo è, sul profilo, l’elaborazione giurisprudenziale della Corte edu che ha stabilito che il giornalista che pubblica in violazione del segreto non è punibile se la notizia è di interesse pubblico [21].

In ogni caso, quando le registrazioni contengono dati sensibili, la loro eliminazione dal materiale posto a sostegno della richiesta cautelare deve avvenire sempre ma non in assoluto, a meno che “non siano pertinenti all’accertamento delle responsabilità per i reati per cui si procede o per altri reati emersi nello stesso procedimento o nel corso delle indagini”.

La legge delega, dunque, in linea con la delibera del CSM [22], ha riconosciuto la centralità del ruolo del pubblico ministero, che dovrà selezionare gli atti trasmessi a sostegno della richiesta cautelare, potere invero già previsto dalla disciplina attuale. Secondo le previsioni dell’art. 291 c.p.p.., il pubblico ministero è già tenuto a selezionare nell’ambito del materiale raccolto nel corso delle indagini, quello che ha una valenza indiziaria o che suffraga le esigenze di cautela, depositando in particolare gli elementi che hanno un rilievo nell’ottica difensiva. Il pubblico ministero non trasmette al giudice le sole registrazioni che non supererebbero il vaglio previsto dall’art. 268, comma 6, c.p.p. e cioè quelle che reputa “manifestamente irrilevanti” e quelle che, oltre ad essere manifestamente irrilevanti, contengano anche dati sensibili.

Il legislatore è consapevole, come traspare dal contenuto della legge delega, che tra i profili problematici della disciplina delle intercettazioni, vi è la diffusione di dati e notizie. Il tema è particolarmente delicato poiché attraversa i rapporti tra la magistratura, gli organi di stampa e i terzi estranei ai reati, il cui diritto alla riservatezza ed alla segretezza delle comunicazioni [23] è talvolta ingiustificatamente leso.

Particolare attenzione è rivolta alla stretta relazione esistente tra l’adozione di un provvedimento cautelare, il deposito degli atti posti a sostegno della richiesta, la loro messa a disposizione delle parti e la divulgazione dei risultati delle intercettazioni. L’art. 1, comma 84, lett. a), n. 1) della legge delega, pertanto, ha fissato i criteri per l’adozione di prescrizioni del decreto legislativo di riforma della disciplina delle intercettazioni che devono regolamentare la selezione [24] da parte del pubblico ministero del materiale da inviare al giudice.

Il pubblico ministero dovrà evitare la trasmissione di tre distinte tipologie di captazioni. Le registrazioni di conversazioni o comunicazioni informatiche o telematiche inutilizzabili a qualunque titolo. Le registrazioni che contengono dati sensibili ai sensi dell’art. 4, comma 1, lett. d) del decreto legislativo 30 giugno 2003, n. 196. Secondo questa disposizione, costituiscono «dati sensibili», «i dati personali idonei a rivelare l'origine razziale ed etnica, le convinzioni religiose, filosofiche o di altro genere, le opinioni politiche, l'adesione a partiti, sindacati, associazioni od organizzazioni a carattere religioso, filosofico, politico o sindacale, nonché i dati personali idonei a rivelare lo stato di salute e la vita sessuale». La previsione dell’eliminazione degli atti contenenti conversazioni o comunicazioni che presentano queste caratteristiche, tuttavia, non è assoluta, ma deve avvenire sempre che «non siano pertinenti all’accertamento delle responsabilità per i reati per cui si procede o per altri reati emersi nello stesso procedimento o nel corso delle indagini». Infine, il pubblico ministero non deve trasmettere al giudice le intercettazioni irrilevanti ai fini delle indagini perché riferite esclusivamente a fatti o a circostanze ad esse estranei.

  1. Gli ostacoli alla violazione del segreto: l’archivio segreto

 Il legislatore tenta di inserirsi nel reticolo tra mondo giudiziario e stampa e acquista la consapevolezza che il mero ascolto delle captazioni, funzionale all’esercizio del contraddittorio sulla loro rilevanza nella cd. udienza stralcio e senza possibilità di ottenerne copia, non dovrebbe determinare sostanziali violazioni del segreto delle stesse.

E’ vero che difficilmente gli organi di stampa pubblicheranno atti di cui conoscono il contenuto tramite qualcuno che abbia avuto accesso agli stessi, ma che non posseggono, perché in questo caso non potrebbero dimostrare, in un eventuale giudizio per il reato di diffamazione, il rispetto dei limiti del diritto di cronaca, in particolare sotto il profilo della verità di quanto pubblicato. Ma, d’altro canto, il legislatore si affida totalmente alle circolari delle procure, proprio quando prevede che solo dopo la conclusione della procedura di cui all’art. 268, commi 6 e 7, secondo il criterio fissato dall’art. 1, comma 84, lett. a) n. 3, i difensori delle parti possono ottenere copia degli atti e trascrizione in forma peritale delle intercettazioni, ritenuti rilevanti dal giudice. La scelta implica una cautela necessaria poiché occorrerà prevedere che la copia degli atti e la trascrizione peritale possa essere autorizzata dal giudice anche nella fase successiva alla conclusione delle indagini preliminari. La previsione, inevitabile, costituisce una sorta di clausola di salvezza, attivabile in quei casi in cui  dopo la chiusura delle indagini dovesse emergere la rilevanza di talune comunicazioni o conversazioni intercettate.

Se la selezione del materiale intercettativo cela in sé il pericolo di eliminare, anche involontariamente, captazioni utili per la difesa, il legislatore della riforma stabilisce, all’art. 1, comma 84, lett. a), n. 2), il criterio in virtù del quale la nuova legge deve prevedere che gli atti non allegati a sostegno della richiesta di misura cautelare, personale o reale, debbano essere custoditi in apposito archivio riservato [25]. I difensori delle parti ed il giudice, fino al momento di conclusione della procedura di cui all’art. 268, commi 6 e 7, c.p.p., hanno la facoltà di esaminare gli atti contenuti nell’archivio e di ascoltare le registrazioni, ma non di farne copia. Il divieto di pubblicazione viene meno con la conclusione della procedura di selezione delle conversazioni dinanzi al giudice, ma limitatamente agli atti acquisiti. La previsione è condivisibile sebbene il richiamo al comma 7 dell’art. 268 c.p.p. dilati eccessivamente i tempi del divieto [26].

Il pubblico ministero, dunque, pur effettuando la selezione delle registrazioni conserva le tracce audio registrate ed i relativi brogliacci, che saranno disponibili per la difesa nel momento dell’attivazione dell’udienza c.d. stralcio prevista dall’art. 268, comma 6, c.p.p. [27]. Solo dopo la conclusione della procedura di cui all’art. 268, commi 6 e 7, c.p.p., secondo il criterio fissato dall’art. 1, comma 84, lett. a) n. 3, della legge delega, i difensori delle parti possono ottenere copia degli atti e trascrizione in forma peritale delle intercettazioni, ritenuti rilevanti dal giudice.

 

  1. Un controllo efficace attraverso il cd brogliaccio d’ascolto?

L’art. 1, comma 84, lett. a), n. 5) stabilisce che il decreto legislativo di riforma delle intercettazioni deve prevedere che le conversazioni o comunicazioni inutilizzabili, quelle contenenti dati sensibili e non pertinenti all’accertamento delle responsabilità e quelle irrilevanti ai fini delle indagini, oltre ad essere custodite in apposito archivio riservato, non devono essere oggetto di trascrizione sommaria ai sensi dell’art. 268, comma 2, c.p.p. Negli atti d’indagine devono solo essere indicati data, ora e apparato su cui la registrazione è intervenuta. Il pubblico ministero, peraltro, deve essere informato, in modo da permettergli di verificare la rilevanza delle registrazioni, autorizzandone con decreto motivato, in tal caso, la trascrizione nel cd. brogliaccio d’ascolto. Le previsioni, in via teorica apprezzabili, non assicurano, tuttavia, un controllo qualitativo efficiente.

Il profilo dell’inutilizzabilità impone una valutazione tipicamente giurisdizionale, che non può essere delegata alla polizia giudiziaria. Dunque, per evitare che, al momento dell’ascolto, la polizia giudiziaria assuma, d’iniziativa o in virtù di generica direttiva, la determinazione di omettere l’annotazione sul brogliaccio di conversazioni che a suo esclusivo giudizio appaiano inutilizzabili, cosi di fatto sottraendola in radice alla valutazione del magistrato, è stato previsto un obbligo di informazione al pubblico ministero.

Le considerazioni possono estendersi anche al giudizio sulla rilevanza, legato alla complessiva conoscenza di tutti gli elementi raccolti nel corso dell’indagine, per cui, un’eventuale valutazione demandata alla polizia giudiziaria nell’immediatezza dell’ascolto, risulterebbe, condivisibilmente con quanto affermato dal Csm, una valutazione almeno parziale.

La ratio sottesa a questa previsione è chiara. Si vuole evitare che la trascrizione sommaria del contenuto delle registrazioni da parte della polizia giudiziaria di cui all’art. 268, comma 2, c.p.p., depositata unitamente agli atti, possa essere divulgata, venendosi a realizzare proprio quella lesione della riservatezza che si vuole limitare con le nuove norme ma le perplessità riguardano i rapporti tra polizia giudiziaria e pubblico ministero e la possibilità solo teorica del magistrato di poter ricontrollare tutto il materiale intercettativo.

Vi sono evidenti insidie della scelta legislativa[28]. Se, come previsto, nell’atto della polizia giudiziaria devono essere indicati solo data ed ora della conversazione ed apparato oggetto di intercettazione, ma non, in particolare, gli interlocutori o il tema della conversazione, il pubblico ministero potrà sopperire alla carenza di ulteriori dati solo grazie all’informazione che deve ricevere da parte della polizia giudiziaria delegata all’ascolto.

Resta così sullo sfondo il tema della efficace attività difensiva. La difesa sembra chiamata ad una prova di resilienza, si troverà in una posizione obiettivamente svantaggiata, poiché solo attraverso l’ascolto diretto delle conversazioni potrà verificare l’irrilevanza delle conversazioni per il procedimento o il loro contenuto “sensibile” e, al contempo, non pertinente.

Dunque, sul pubblico ministero graverà una funzione di garanzia e di tutela di rilevanti posizioni soggettive [29]. Infatti, la difesa conoscerà quali sono le conversazioni che si intende eliminare dal materiale probatorio e potrà provvedere al loro ascolto selettivo e funzionale all’esercizio del diritto di difesa, attraverso la scelta discrezionale operata dalla polizia giudiziaria e dal pubblico ministero. Non può escludersi una involontaria, ma possibile, manipolazione delle conversazioni da parte del pubblico ministero, per la selezione del materiale, anche se imposta dalla necessità di assicurare una disciplina alle registrazioni in una fase determinante dell’impiego e del deposito a fini cautelari in cui non trova applicazione il congegno ex art. 268 c.p.p.[30].

A queste criticità si aggiunge un’ulteriore considerazione: la legge delega non precisa le modalità dell’informazione che la polizia giudiziaria deve dare al pubblico ministero ma la forma e il destino dell’atto di polizia giudiziaria sono direttamente incidenti sul raggiungimento dell’obiettivo finale. Ove questa informazione si sostanziasse, come sembrerebbe, in una nota informativa scritta, immaginiamo che dovrebbe essere contenuta nell’archivio riservato, per evitarne il deposito tra gli atti posto a sostegno di una eventuale misura cautelare. Una previsione diversa minerebbe le fondamenta del sistema posto in essere a tutela della riservatezza.

  1. La scansione procedimentale e il controllo giurisdizionale

La scansione procedimentale, prevista dall’art. 1, comma 84, lett. a), n. 4), è una procedura molto vicina a quella disciplinata dall’art. 268, comma 6 e ss., c.p.p. per l’acquisizione delle conversazioni o delle comunicazioni, prodromica al loro inserimento nel fascicolo per il dibattimento.

 La procedura, nel contraddittorio tra le parti, è diretta a preservare l’indagato, le persone offese e i terzi interlocutori, estranei al processo, dalla diffusione e dalla pubblicazione di fatti personali e riservati irrilevanti rispetto ai temi probatori. I difensori hanno facoltà di esaminare gli atti e di ascoltare le registrazioni, ma non possono trarre copia, né dei file audio, né dei verbali in cui, nel corso delle indagini, è trascritto sommariamente il contenuto delle comunicazioni o delle conversazioni. Il decreto legislativo di riforma, più in particolare, dovrà stabilire che l’intervento del giudice sia finalizzato all’acquisizione delle conversazioni o dei flussi di comunicazioni informatiche “indicate dalle parti” .

Quindi non un controllo onnicomprensivo ma circoscritto alle conversazioni indicate dalle parti, tenuto conto però del vizio genetico di conoscenza della difesa, da cui sono stralciate le tre categorie di registrazioni. Nel primo caso, la disposizione fa riferimento alle intercettazioni inutilizzabili a norma di legge, in particolare in base all’art. 271 c.p.p. Trovano applicazione i parametri normativi di cui all’art. 266, comma 2, c.p.p., all’art. 268, comma 1 e 3, c.p.p., all’art. 103, comma 5 e 7, c.p.p.., all’art. 200 c.p.p.. ed all’art. 6 della legge n. 140 del 2003. In questa prospettiva, la procedura mira a tutelare la legalità della prova, evitando che tra il materiale probatorio possano trovare spazio registrazioni vietate dalla legge.

Nella seconda e nella terza ipotesi, il giudice deve compiere un giudizio di irrilevanza probatoria che, a differenza di quanto previsto nella disciplina attuale, non sarà più “manifesta”, ma dovrà condurre all’esclusione dei dialoghi estranei all’accertamento della responsabilità per i reati per i quali si procede.

Restano le perplessità sulla verifica a posteriori [31] sulle intercettazioni tra difensore ed il proprio assistito; del resto la sanzione dell’inutilizzabilità coprirebbe la conversazione non pertinente all’attività professionale, integrante essa stessa un’ipotesi di reato.

Il giudizio appare ricco di insidie poiché la valutazione è compiuta in un momento procedimentale in cui non sempre è possibile svolgere un controllo puntuale di rilevanza rispetto ai parametri desumibili dall’art. 187 c.p.p. La procedura, infatti, è strutturalmente prevista nella fase delle indagini, quando l’imputazione non è ancora chiara e precisa. La valutazione resta ferma sebbene il decreto legislativo dovrà estendere alla selezione delle captazioni compiute dal Gip il medesimo criterio che, a legislazione vigente, è impiegato dal tribunale in sede dibattimentale quando dispone la perizia trascrittiva delle intercettazioni. Né, del resto, rassicura la previsione di parametri più restrittivi rispetto a quello che, ai sensi dell’attuale 268, comma 6, c.p.p. il Gip deve applicare. 

Quanto al momento procedimentale in cui va richiesta la cd. “udienza stralcio”, costruita quale udienza esclusiva e non inclusiva, la procedura va attivata “in vista della richiesta di giudizio immediato ovvero del deposito degli atti successivo all’avviso di cui all’art. 415 bis c.p.p.”, qualora non fosse già intervenuta in precedenza.

Dunque, in un momento del procedimento penale in cui sia effettivamente utile per tutelare le prerogative individuali nel contraddittorio tra le parti, e cioè prima del deposito di tutti gli atti, quando non sia ancora consentito il rilascio di copia delle registrazioni e siano ancora vigenti i divieti di cui all’art. 114, comma 1 e 2 ma soprattutto per verificare, nel contraddittorio delle parti, la correttezza della selezione effettuata dal pubblico ministero

Dunque, l’udienza di stralcio in una fase precedente rispetto all’avviso di cui al 415 bis c.p.p. e non contestualmente.

Nel caso dell’immediato, non essendo previsto l’invio dell’avviso di conclusione delle indagini preliminari [32], il pubblico ministero dovrà disporre il deposito di cui al 268, comma 4 e 5, c.p.p., preferibilmente 5 gg prima della scadenza dei termini previsti dal 453, comma 1 bis, e 454, comma 1, c.p.p., e comunque non oltre gli stessi, in modo da poter inoltrare al giudice la richiesta di stralcio contemporaneamente alla richiesta di giudizio immediato, sì che il giudice possa assumere le decisioni di competenza in tempi diversi e conoscere tempestivamente anche il materiale di cui il pubblico ministero non ritenga di potersi avvalere.

Resta sullo sfondo la preoccupante prassi del deposito ritardato delle intercettazioni, secondo quanto previsto ex art. 268, comma 5, c.p.p. sino alla chiusura delle indagini preliminari, sinora ostacolo per l’udienza stralcio dinanzi al Gip. Sul profilo non appaiono rassicuranti le considerazioni secondo cui il provvedimento di cui all’art. 268, comma 5, c.p.p.. presuppone la sussistenza di «un grave pregiudizio per le indagini» e, dunque, implica un apprezzamento da parte del Gip. Peraltro, il provvedimento del Gip, comunque, legittima il pubblico ministero a ritardare il deposito dei verbali e delle registrazioni in segreteria «non oltre la chiusura delle indagini», senza escludere che, cessato il pericolo di nocumento per le investigazioni (per esempio, dopo l’adozione della misura cautelare e, comunque, quando sono cessate le indagini), il pubblico ministero possa provvedere al deposito anche prima della formale chiusura delle indagini o, comunque, prima della notifica dell’avviso di cui all’art. 415 bis c.p.p. [33].

Quanto all’attivazione della procedura di cui all’art. 268, comma 6, c.p.p. nei procedimenti in cui sono stati adottati provvedimenti cautelari, occorrerà prevedere che l’attivazione della procedura in esame sia reputata necessaria solo se il pubblico ministero ha avuto cognizione della presenza nel materiale registrato di comunicazioni o di conversazioni vietate dalla legge o che non solo siano irrilevanti, ma contengano anche «dati sensibili». Essendo stata adottata una misura cautelare, infatti, può essere opportuno limitare il procedimento in esame alla sola selezione delle conversazioni inutilizzabili o manifestamente irrilevanti, contenenti «dati sensibili», rinviando la trascrizione di quelle acquisite al giudizio dibattimentale.

7.  Il buon senso è un criterio giuridico indeterminato

Il ricorso alla scansione procedimentale risulta marginalizzato nelle circolari delle procure [34] ma stupisce che nella delibera del Csm del 29 luglio 2016 si suggerisca un impiego dell’istituto ispirato al buon senso, raccomandando il suo uso nei soli casi in cui effettivamente ricorrano esigenze di bilanciamento dei valori costituzionali confliggenti. In particolare, in via esemplificatrice è ritenuta una “buona prassi” il ricorso a detta udienza camerale nelle situazioni in cui è effettivamente utile per garantire la riservatezza.

Il buon senso è un criterio giuridico indeterminato. Dal punto di vista concettuale non può ad esso riconoscersi il carattere della obiettività né può essere annoverato tra le regole di condotta condivise, eppure il Csm ricorre ad esso, preoccupato della sostenibilità organizzativa degli uffici e dimentico della finalità della scansione procedimentale stessa.

In perfetta sintonia il legislatore ha implicitamente individuato, per il decreto legislativo di riforma della disciplina delle intercettazioni, il criterio dell’impiego ragionevole della procedura di selezione. Il pubblico ministero deve avanzare richiesta per lo svolgimento dell’udienza camerale non sempre, ma “ove riscontri tra gli atti la presenza di registrazioni di conversazioni o comunicazioni informatiche o telematiche inutilizzabili a qualunque titolo ovvero contenenti dati sensibili ai sensi dell’articolo 4, comma 1, lett. d), del codice di cui al decreto legislativo 30 giugno 2003, n. 196, che non siano pertinenti all’accertamento delle responsabilità per i reati per cui si procede ovvero irrilevanti ai fini delle indagini in quanto riguardanti esclusivamente fatti o circostanze ad esse estranei”. Il criterio sembra ispirato dall’intenzione di proporre un meccanismo procedurale effettivamente applicabile negli uffici giudiziari che non si risolva in un mero formalismo o, peggio ancora, che non determini un successivo insorgere di prassi abrogative.

La questione del “recupero” della cd. udienza stralcio, dunque, così come nella circolare del Csm, sembra affrontata dal legislatore tendenzialmente nella prospettiva della sostenibilità organizzativa degli strumenti processuali previsti per impedire le violazioni ingiustificate della riservatezza [35].

  1. L’esito dell’udienza stralcio e la distruzione delle conversazioni intercettate

La legge delega nulla prevede sull’esito della procedura di selezione delle registrazioni realizzata nella fase dell’indagine. Nel caso in cui all’esito di detta procedura siano individuate intercettazioni inutilizzabili, irrilevanti o contenenti “dati sensibili”, ma non pertinenti alle indagini, si pone il tema della loro distruzione.

La distruzione, invero, è uno strumento che contribuisce a rendere effettiva la tutela della riservatezza e che oggi riguarda tre categorie di intercettazioni: 1) quelle “non necessarie per il procedimento”, ex art. 269, comma 2, c.p.p.; 2) quelle “inutilizzabili”, ex art. 271, comma 3, c.p.p. e 3) quelle “illegalmente formate”, ex art. 240, comma 5 c.p.p.

Il rimedio, come è noto, oggi è attivato molto di rado poiché la distruzione risulta tardiva e del tutto inefficace per assicurare una valida tutela dei diritti individuali.

Il ritardo, però, verrebbe meno se la procedura, nelle ipotesi in cui sarà reputata necessaria dal decreto legislativo che sarà emanato, fosse attivata nel corso delle indagini.

Deve rilevarsi peraltro che l’art. 1, comma 84, lett. a), n. 3 dispone che il decreto legislativo di riforma delle intercettazioni debba prevedere che il rilascio di copia delle registrazioni possa essere autorizzato dal giudice anche «nella fase successiva alla conclusione delle indagini». Questo criterio sembra presupporre che alla procedura di selezione delle conversazioni, che deve essere compiuta nel corso delle indagini, non deve seguire la distruzione delle captazioni “stralciate” le quali, anche in un secondo momento – nel corso delle indagini – potrebbero essere ritenute rilevanti e, in questo caso, può esserne chiesta al giudice la copia.

  1.  La semplificazione dell’impiego delle intercettazioni nei reati contro la pubblica amministrazione

Con l’art. 1, comma 84, lett. d), il Governo è delegato ad adottare prescrizioni dirette a realizzare la semplificazione «delle condizioni per l’impiego delle intercettazioni delle conversazioni e delle comunicazioni telefoniche e telematiche nei procedimenti per i più gravi reati dei pubblici ufficiali contro la pubblica amministrazione».

Il criterio è generico. L’espressione “condizioni per l’impiego” sembra evocare il profilo dei presupposti per l’ammissibilità del mezzo di ricerca della prova ma già l’art. 266, comma 1, lett. b) c.p.p. prevede una semplificazione per il ricorso alle intercettazioni nel caso di reati contro la pubblica amministrazione, stabilendo che esse siano consentite per delitti per i quali è prevista la pena della reclusione non inferiore nel massimo a cinque anni. Quindi, una ulteriore semplificazione per l’accesso allo strumento intercettativo nel corso delle indagini relative ai delitti contro la pubblica amministrazione dovrebbe riguardare i presupposti indicati nell’art. 267 c.p.p. In particolare, il parametro probatorio, la sussistenza dei gravi indizi di reato e quello della residualità del mezzo, dunque, la necessità che siano assolutamente indispensabili, ovvero, nel caso di intercettazioni tra presenti in un luogo domiciliare, il presupposto di cui all’art. 266, comma 2, c.p.p. del fondato motivo dello svolgimento in detto luogo di un’attività criminale. Per incidere su questi aspetti, semplificando l’accesso per gli investigatori al mezzo di ricerca della prova, bisognerebbe estendere alle indagini per i più gravi reati contro la pubblica amministrazione le regole attualmente previste per la criminalità organizzata.

Sebbene il criterio contenuto nella legge delega appaia generico, sottende l’estensione di queste regole anche ai delitti contro la pubblica amministrazione. Se si ripropone il tema della distinzione degli indizi “gravi” e quelli solo “sufficienti”, in ogni caso, la richiesta di indizi meramente “sufficienti”, non dovrebbe ingenerare dubbi sull’autorizzazione di un’intercettazione fondata su illeciti penali meramente ipotetici. Dagli elementi addotti si deve desumere la seria probabilità dell’avvenuta consumazione di un reato che legittima il ricorso al mezzo di ricerca della prova [36].

La condizione della “necessità” del mezzo, invece, obbliga il giudice a ragionare secondo una logica di concreta residualità dell’intercettazione rispetto ad altri strumenti investigativi cd. “tradizionali”. Quando le investigazioni riguardano reati di criminalità organizzata non occorre che le intercettazioni siano l’unico strumento efficace a disposizione degli inquirenti (cioè, siano “assolutamente indispensabili” ai sensi dell’art. 267 c.p.p.), ma, tenuto conto della loro portata invasiva, devono comunque rivelarsi necessarie per la prosecuzione delle indagini.

Anche per le indagini di criminalità organizzata, infine, il profilo più significativo è rappresentato dall’individuazione dello stretto rapporto esistente tra questi due presupposti. Dunque, il giudice non può tralasciare di indicare il criterio di collegamento tra l’indagine in corso e l’intercettando. Solo in questo modo, la captazione è necessariarispetto ad una determinata fattispecie delittuosa la cui esistenza deve essere dimostrata da sufficienti indizi. Il giudice dovrà dare conto, con congrua motivazione, della ragione dell’intercettazione di una determinata persona o di una certa utenza, spiegando quale sia il rapporto, dunque il concreto collegamento tra la persona captata o l’utenza e le specifiche investigazioni in atto [37].


* Il contributo è stato sottoposto a double blind peer review.

[1] Per tutti G. Conso, Intercettazioni telefoniche, troppe e troppo facilmente divulgabili, in Dir. pen. proc., 1996, p. 138.

[2] La complessità è già stata sottolineata da G. Melillo, Le intercettazioni tra diritto alla riservatezza ed efficienza delle indagini, in Cass. pen., 2000, p. 3482

[3] F. Caprioli, Intercettazioni illecite, intercettazioni illegali, intercettazioni illegittime, in AA.VV., Le intercettazioni di conversazioni e comunicazioni: un problema cruciale per la civiltà e l'efficienza del processo e per le garanzie dei diritti: atti del Convegno, Milano, 5-7 ottobre 2007, Milano, 2009, p. 133 e ss.

[4] V. Grevi, Le intercettazioni al crocevia tra efficienza del processo e garanzie dei diritti, in  AA.VV., Le intercettazioni di conversazioni e comunicazioni: un problema cruciale per la civiltà e l'efficienza del processo e per le garanzie dei diritti: atti del Convegno, cit., p. 23 e ss.

[5] Si vuol dire che alla caduta del segreto, cade il segreto anche rispetto a tutto quel materiale di riporto che nulla ha a che vedere col processo e quindi cade anche il segreto sulle notizie irrilevanti, estranee al thema decidendum. Da qui la legittima divulgazione di parti delle intercettazioni che riguardano terzi ma anche l’indagato, di notizie terze rispetto al procedimento che vengono divulgate. E’ legittima perché la tutela penale della privacy dei soggetti intercettati oggi dipende da una disciplina processuale che rende gli atti segreti o non segreti, pubblicabili o non pubblicabili, pubblicabili integralmente o solo nel contenuto, per ragioni che non hanno nulla a che vedere con la protezione della riservatezza dei soggetti coinvolti nell’indagine penale, ma per ragioni di tutela degli esiti dell’investigazione e di tutela della verginità cognitiva del giudice del dibattimento. Su questi profili, cfr. Si veda F. Caprioli, Brevi note sul progetto Gratteri di riforma della disciplina delle intercettazioni, relazione al Convegno dell’ Unitelma del 17 giugno 2016.

[6]Corte cost., 14 giugno 1956, n. 1, in Giur. cost., 1956, p. 1; Corte cost., 13 luglio 1970, n. 129, in www.cortecostituzionale.it; Corte cost.,16 luglio 1973, n. 131, in Giur. cost., 1973, p. 1354 ss; Corte cost. 21 marzo1974, n. 86, in Giur. cost., 1974, I, p. 677

[7]   Corte edu, 25 giugno 1992, Thorgeirson c. Islanda; Corte edu, 4 dicembre 2015, Roman Zakharov c. Russia ; Corte edu, 22 marzo 2016, Pinto Coelho c. Portogallo; Corte edu, 16 marzo 2017, Olafsson c. Islanda

[8] La seconda parte della legge ha ad oggetto anche la regolamentazione dei presupposti che consentono di ricorrere nel procedimento penale all’impiego del nuovo mezzo tecnologico.

 

[9] Si veda Corte cost., 12 aprile 1973, n. 38, in Giur. cost., 1973, p. 354

[10]  A. Gaito – S.  Furfaro, Le nuove intercettazioni “ambulanti”: tra diritto dei cittadini alla riservatezza ed esigenze di sicurezza per la collettività, in Arch. pen., 2016, 2, p. 309 e ss.. Una sensibilità che la Corte costituzionale ha sottolineato, cfr. Corte cost., 11 giugno 2009, n. 173, inForo it., 2010, 6, 1, p. 1737,  pronuncia in cui la Corte chiede al legislatore “diversi e migliori equilibri” tra i valori costituzionali implicati perché si assiste ad un “dilagante e preoccupante fenomeno di violazione della riservatezza, che deriva dalla incontrollata diffusione mediatica di dati e informazioni personali, sia provenienti da attività di raccolta e intercettazioni legalmente autorizzate, sia effettuate al di fuori dell’esercizio di ogni legittimo potere da pubblici ufficiali o da privati mossi da finalità diverse, che comunque non giustificano l’intrusione nella vita privata delle persone.

[11] Volkszählungsurteil, Bundesverfassungsgericht 15-12-1983, 1 BvR 209/83  DBR n. 43 del 1983) .

[12] Cfr. A. Marandola,  La tutela dell’identità personale (informatica), anche del soggetto coinvolto in un processo penale, in Proc. pen. giustizia, 2017, 3, p. 8 e ss.

[13] Per dirlo con le parole di Montesquieu, « puissance de juger, si terrible parmi les hommes ».

[14]L. Ferrajoli, Nove massime di deontologia giudiziaria, XIX Congresso di Magistratura Democratica Roma, 31.1-3.2.2013, più che mai attuale come le massime  deontologiche a cui faceva riferimento: il costume del dubbio- la prudenza del giudizio-la disponibilità all’ascolto di tutte le diverse ragioni, il rispetto dovuto a tutte le parti in causa.

[15]W. Faulkner, Privacy, Adelphi, 2003 «l’individuo non è protetto dal giornalismo, come suppongo lo chiamino».

[16] Corte edu, 24 febbraio 2015, Haldimann e altri c. Svizzera; Corte edu, 22 novembre 2016, Grebneva e Alisimchik c. Russia; Corte edu, 16 marzo 2017, Olafsson c. Islanda

[17] La Corte ha sottolineato che, benché la stampa giochi un ruolo essenziale in una società democratica, e abbia il dovere di comunicare informazioni e idee su  qualsiasi questione di interesse pubblico, i giornalisti sono comunque soggetti a obblighi e responsabilità. La tutela accordata ai giornalisti dall'articolo 10 della Convenzione è infatti subordinata alla condizione che essi agiscano in buona fede, per fornire informazioni accurate e affidabili, in conformità ai principi del giornalismo responsabile, che rinvia principalmente al contenuto raccolto e/o  divulgato mediante mezzi giornalistici, Corte edu, 24 gennaio 2017, Travaglio c. Italia;  Corte edu, 24 settembre 13, Belpietro c. Italia.

[18] Corte edu, 3 dicembre 2015, Prompt c. Francia.

[19] Corte edu, 10 febbraio 1995, Allenet de Ribemont c. Francia; di recente Corte edu, 7 giugno 2007, Dupuis c. Francia, in Cass. pen., 2008, p. 813, con commento di L. Filippi, La sentenza Dupuis c. Francia: la stampa “ watchdog” della democrazia tra esigenze di giustizia, presunzione di innocenza e privacy”.

[20]Ed in perfetta sintonia anche con la delibera del CSM del 29 luglio 2016.

[21]Corte edu, 22 marzo 2016, Pinto Coelho c. Portogallo, cit., relativa al caso di un’emittente televisiva che aveva mandato in onda un servizio, nel quale si sosteneva che la condanna di un diciottenne  fosse frutto di un errore giudiziario; nel servizioveniva fatto ascoltare uno stralcio della registrazione di un'udienza, senza che la giornalista avesse ottenuto il permesso del giudice; per questo la reporter veniva condannata alla pena di 1.500 €. La Corte europea ricorda l'essenziale funzione della stampa nella diffusione di notizie di interesse per l'opinione pubblica, e considera la restrizione della libertà di espressione non accettabile in una società democratica. Infatti, la registrazione, pur non autorizzata, non era stata ottenuta con mezzi illeciti; la diffusione del servizio non avrebbe potuto minacciare l'indipendenza della magistratura (poiché il giudizio si era già concluso), né era stata messa a rischio la reputazione di alcuno (in quanto le voci erano state distorte). Infine, l'imposizione di una sanzione, pur non elevatissima, viene considerata a carattere deterrente e quindi, in ogni caso, sproporzionata.

[22] Il CSM richiama la centralità del ruolo del pubblico ministero chiamato a svolgere «un’opera di selezione» degli atti trasmessi a sostegno della richiesta cautelare per «operare una attenta verifica delle informazioni utili e rilevanti per le indagini, attraverso un giudizio relazionale con i fatti per i quali si procede e con la personalità dei soggetti indagati».

[23] Cfr. G. Spangher, Linee guida per una riforma delle intercettazioni telefoniche, in Dir. pen. proc. 2008, p. 1209

[24] Sul profilo della selezione cfr. Corte edu, 17 marzo 2003, Craxi c, Italia, caso in cui la Corte ha ritenuto che la lettura dibattimentale di estratti di conversazioni intercettate debba essere preceduta da una selezione del materiale rilevante, ovvero di quello la cui pubblicità deve essere considerata una conseguenza normale ed inevitabile del processo. Ove il sistema processuale non imponga un tale preventiva selezione, si pongono secondo la Corte “serie preoccupazioni circa il rispetto …dell’obbligo positivo di assicurare l’effettiva protezione” dei diritti).

[25]Già il progetto Mastella prevedeva un archivio riservato, da istituirsi presso ogni procura sotto la responsabilità e sorveglianza del procuratore della Repubblica (art. 19 in rapporto all’art. 89 disp. att.) come luogo dove il pubblico ministero deve di regola custodire, prima del deposito, le registrazioni e i verbali delle intercettazioni già effettuate, e dove comunque dovrà essere conservata la documentazione di quelle che egli non ritenga utili alle indagini. Ferma restando per i difensori delle parti la possibilità di accedervi, al solo fine di valutare le scelte operate dal pubblico ministero (artt. 9 e 10 in rapporto agli artt. 268 comma 3 ter e 268 bis).

[26] A. Camon, Intercettazioni e fughe di notizie: dal sistema delle circolari alla riforma Orlando, in Arch. pen., 2017, 2, p. 1 e ss.

[27]D’altro canto potrebbero esservi informazioni sensibili che coinvolgono persone non indagate astrattamente utili alla difesa …(tema ignorato tutte le volte in cui si prospetta la distruzione del materiale di intercettazioni).

 

 

[28] Le circolari diffuse dalla varie Procure della Repubblica, prima dell’intervento del Consiglio superiore della magistratura, già “suggerivano”  l’applicazione di tale meccanismo, attribuendo alla polizia giudiziaria l’onere di non verbalizzare il contenuto della conversazione, rivolgendosi, nei casi dubbi, al pubblico ministero. Secondo la Circolare della Procura della Repubblica di Roma, del 26 novembre 2015, la polizia giudiziaria deve “astenersi” dal verbalizzare, mentre la direttiva della Procura della Repubblica di Napoli, del 16 febbraio 2016, stabilisce ce la polizia giudiziaria deve limitarsi a riportare sul brogliaccio d’ascolto, l’annotazione “intercettazione irrilevante ai fini delle indagini”.

[29] Cfr. A. Cisterna, L’autoregolamentazione delle intercettazioni nel-le linee guida delle procure, in Arch. pen., 2016, 2, p. 7,« a stretto rigore e secondo l’ordinamento, dovrebbe competere al giudice.» . Quanto al potere di selezione del pubblico ministero, cfr.  P. Tonini- F. Cavalli,Le intercettazioni nelle circolari delle procure della repubblica, in Dir. pen. proc., 2017, 6, p. 708

[30]Sul punto il CSM aveva ritenuto necessario assicurare che, quanto meno in termini sommari, gli elementi essenziali delle captazioni fossero riportate dalla polizia giudiziaria nel brogliaccio, con riferimento ai dati estrinseci della conversazione (indicazioni sulla identità dei conversanti, sull’orario e sull’oggetto del colloquio) ed alla sintetica tipologia dell’oggetto (es. “conversazione su argomenti familiari”, ovvero “conversazione su temi strettamente personali”, ecc.). Peraltro, la deliberazione consiliare si è spinta fino a suggerire una distinzione fra la normale prassi operativa di trascrivere il contenuto delle conversazioni nel brogliaccio della polizia giudiziaria e, viceversa, la diversa ipotesi in cui è opportuna e sufficiente una “mera indicazione” dei dati estrinseci delle conversazioni per le intercettazioni, che si presentino come inutilizzabili o manifestamente irrilevanti, cfr. L. Giordano, La delega per la disciplina delle intercettazioni tra presenti mediante immissione di captatori informatici, in T. Bene - A. Marandola ( a cura di), La riforma della giustizia penale, Milano, 2017, 419. D’altro canto, si obietterà che lo squilibrio tra le posizioni delle parti, a ben vedere, è più apparente che reale, poiché il pubblico ministero quando sono state captate comunicazioni o conversazioni che devono essere eliminate dal materiale probatorio, deve richiedere necessariamente l’udienza camerale per il loro stralcio. In questo caso, egli è tenuto ad indicare “espressamente” le conversazioni di cui intende richiedere lo stralcio; quindi, deve indicare precisamente le conversazioni o le comunicazioni che, oggetto dell’informazione della polizia giudiziaria, ha ritenuto irrilevanti.

 

[31] Cfr. su questi aspetti: C. Parodi, La delega in tema di intercettazioni, in C. Parodi ( a cura di), Riforma Orlando: tutte le novità, Il penalista, 2017, p. 115 e ss.

[32] Come è noto la Corte cost. ha negato l’applicabilità dell’art. 415 bis nel giudizio immediato, escludendo la  violazione del diritto di difesa in quanto al soggetto destinatario della richiesta di giudizio immediato sono riconosciute tutte le garanzie difensive esercitabili nella fase investigativa, seppure con le particolari forme previste dagli art. 453 ss. c.p.p. v. in particolare Corte cost., 16 maggio 2002, n. 203, in Riv. it. dir. proc. pen. 2003, p. 508.

[33] L. Giordano, La delega per la disciplina delle intercettazioni tra presenti mediante immissione di captatori informatici, cit., p. 419 secondo cui l’emissione del provvedimento con cui si autorizza il ritardato deposito, dunque, non impedisce, in teoria, il ricorso alla procedura di selezione delle registrazioni nel corso delle indagini.

[34] Diverse le direttive e le circolari sul tema delle intercettazioni, assunte dalle Procure di Roma, Napoli, Torino nonché da quelle di Firenze, Bari, Macerata, Foggia, Nuoro, Caltanissetta, Campobasso, Siracusa, Catanzaro, Cosenza, Lamezia Terme, Arezzo, Grosseto, Livorno, Sulmona e Lecce. Si veda G. Cascini, Intercettazioni e privacy: dalle circolari delle Procure di Roma, Torino e Napoli soluzioni utili per il legislatore, in Questione Giustizia, 19 aprile 2016

[35] C. Parodi, La delega in tema di intercettazioni cit., p. 115 e ss., «La delega non contiene indicazione specifiche integrative della disciplina generale dell’art 268 commi 6 e 7, ma è ragionevole ipotizzare che alcuni “ adattamenti si renderanno necessari, proprio sulla falsariga della indicazioni di alcune Procure.»

 

 [36] Cass., Sez. III, 2 dicembre 2014, n. 14954, rv.263044 ; Cass., Sez. VI, 26 febbraio 2010, n. 10902, rv.246688 secondo cui «il presupposto dei gravi indizi di reato va inteso non in senso probatorio, ossia come valutazione del fondamento dell'accusa, ma come vaglio di particolare serietà delle ipotesi delittuose configurate, le quali non devono risultare meramente ipotetiche, essendo al contrario richiesta una sommaria ricognizione degli elementi dai quali sia dato desumere la seria probabilità dell'avvenuta consumazione di un reato». In precedenza, tra le altre, Cass., Sez. II, 1 marzo 2005, n. 10881, in Guida dir.,2005, 17, 82 ; Cass., Sez. un., 17 novembre 2004, n. 45189, in Cass. pen., 2005, 343. La valutazione della particolare serietà dell’ipotesi delittuosa, peraltro, non implica un’esposizione analitica di tutti gli elementi indiziari (è sufficiente solo una ricognizione sommaria), né impone un vaglio critico di tutti gli elementi, che condurrebbe alla valutazione probatoria del fondamento dell’accusa; Cass., Sez. VI, 7 novembre 2006, n. 42178, in Arch. n. proc. pen., 2007, 5, 669; Cass., Sez. II, 21 aprile 1997 n. 2873, in Arch. n. proc. pen., 1998, 296.

[37] Cass., Sez. VI, 17 novembre 2016, n. 1407, rv.268900; Cass., Sez. VI, 12 febbraio 2009, n. 12722, in Cass. pen., 2009, 3341, relativa alla declaratoria di inutilizzabilità per mancanza di motivazione di alcuni decreti di intercettazioni redatti con una motivazione per relationem alla richiesta del pubblico ministero, senza che fosse dato conto delle ragioni per cui erano sottoposte ad intercettazioni conversazioni private.

Bene Teresa



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