fbevnts Marco Allena, Abuso del diritto e profili procedurali nel nuovo art. 10-bis dello statuto del contribuente

Abuso del diritto e profili procedurali nel nuovo art. 10-bis dello statuto del contribuente

28.02.2017

Marco Allena

Professore associato di diritto tributario, Università Cattolica del Sacro Cuore di Piacenza

Abuso del diritto e profili procedurali nel nuovo art. 10-bis dello Statuto del contribuente

Sommario: - 1. Le garanzie procedurali nella nuova clausola generale antiabuso: inscindibilità di quest’ultima rispetto al riconoscimento del diritto al contraddittorio; - 2. Pieno accoglimento, da parte del nuovo art. 10-bis, della interpretazione garantista in tema di profili procedurali connessi all’abuso; - 3. Abuso del diritto ex art. 10-bis e condotta elusiva di cui all’abrogato art. 37–bis: identità strutturale delle due fattispecie quale presupposto per la estensione delle garanzie procedimentali operata dalla nuova norma; - 4. Rilevanza sistematica e di principio della considerazione unitaria, nell’art. 10-bis, di clausola generale e previsione di cautele procedurali; - 5. Conferma, anche da parte della Corte costituzionale, della piena legittimità delle garanzie di cui all’art. 37-bis, comma 4, d.P.R. n. 600/73, ora riprese dalla nuova norma; - 6. Nuove forme di interpello ed abuso del diritto nel quadro del mutato rapporto fisco – contribuente e della cooperative compliance. 

1. Le garanzie procedurali nella nuova clausola generale antiabuso: inscindibilità di quest’ultima rispetto al riconoscimento del diritto al contraddittorio[1].

A quasi un anno e mezzo dall’entrata in vigore dell’art. 10-bis dello Statuto del contribuente[2], recante la disciplina dell’abuso del diritto, pare opportuno riprendere alcune riflessioni[3] sul tema delle garanzie procedimentali nell’ambito di tale istituto, alla luce della norma introdotta: non v’è dubbio, infatti, che all’interno della nuova disciplina uno dei punti maggiormente qualificanti sia proprio quello della previsione di regole procedurali.

Nella delega[4], che in proposito puntava sulla necessità di introdurre nell’ordinamento tributario una norma antielusiva generale – e da questo punto di vista la raccomandazione della Commissione europea del 6 dicembre 2012 non lasciava davvero più adito a dubbi, data la sua perentorietà[5] – espressamente si menzionava la doverosità di un contraddittorio con il Fisco, mediante la previsione di regole procedimentali tali da salvaguardare il diritto di difesa del contribuente in ogni fase dell’accertamento[6].

In particolare, la delega individuava tra i principi e criteri direttivi la disciplina dell’onere della prova, l’obbligo di motivazione dell’avviso che eccepisca la condotta abusiva, specifiche regole procedurali che garantiscano un efficace contraddittorio con l’Amministrazione.

Il testo dell’art. 10-bis, a sua volta, dedica i commi 6, 7, 8 e 9 esclusivamente alla disciplina di tali aspetti - rispettivamente, i primi tre si occupano in dettaglio dei profili procedurali, il quarto dell’onere della prova[7].

Previsioni, tutte, da tempo auspicate dalla dottrina più attenta in materia: come è stato efficacemente scritto[8], infatti, “se l’abuso non c’è quando, pur in assenza di aumento del profitto, sono realmente perseguiti obiettivi aziendali e funzioni societarie; se nella opzione fra più percorsi giuridicamente ammissibili l’imprenditore è libero di scegliere quello fiscalmente meno oneroso, ebbene, dato tutto questo, la comprensione e la dimostrazione degli obiettivi perseguiti e delle soluzioni prescelte, così intimamente connesse alla complessità delle attività e delle strutture d’impresa, postulano evidentemente una adeguata ponderazione degli strumenti da utilizzare”.

Assume di conseguenza notevole rilievo, anche dal punto di vista sistematico, la scelta operata dal legislatore della delega prima e del decreto delegato poi: la previsione esplicita, in tal senso, nella delega, di considerare in maniera unitaria l'introduzione della clausola antiabuso[9], il riparto dell'onere della prova, e soprattutto il riconoscimento del diritto al contraddittorio, esprimevano l'esigenza imprescindibile di affiancare la procedura “in partecipazione” del contribuente all'affermazione e all'applicazione del principio dell'abuso: il che ha trovato puntuale realizzazione nel testo dell’art. 10-bis che, appunto, considera unitariamente tali aspetti.

Non solo: la proposta di una visione sistematica per garantire la piena efficacia di un principio (quello dell’abuso) accompagnandolo alla disciplina del contraddittorio, ha ottenuto pieno riconoscimento nel momento in cui si è passati dal principio (“creato”, come noto, dalla giurisprudenza della Cassazione) alla disciplina positiva di un istituto – mediante l’introduzione della clausola generale.

E da questo punto di vista si può dire sin d’ora che se la legge delega si era posta il problema del contraddittorio, espressamente prevedendolo, ma lasciando al decreto delegato l’onere della sua procedimentalizzazione, quest’ultimo - il decreto legislativo n. 128/2015 - ha pienamente risposto alle attese.

E non poteva che essere così. Infatti, l’esplicita previsione di “specifiche regole procedimentali che garantiscano un efficace contraddittorio con l’amministrazione finanziaria, e salvaguardino il diritto di difesa in ogni fase del procedimento di accertamento tributario”, contenuta nella lettera f) dell’articolo 5 della delega, costituiva applicazione ad un caso specifico (quello dell’accertamento antiabuso) della regola generale contenuta nell’articolo 9 della delega, rubricato “Rafforzamento dell’attività conoscitiva e di controllo”, al comma secondo: in tale sede, infatti, si parlava di “rafforzare il contraddittorio nella fase di indagine e la subordinazione dei successivi atti di accertamento e di liquidazione all'esaurimento del contraddittorio procedimentale”.

Di fronte a simili, inequivoche, indicazioni, il decreto delegato non poteva dunque che prendere atto.

2. Pieno accoglimento, da parte del nuovo art. 10-bis, della interpretazione garantista in tema di profili procedurali connessi all’abuso

L'esperienza dell'art. 37-bis, ora espressamente abrogato[10], è stata quanto mai utile - come vedremo tra poco - per regolare gli aspetti qualificanti della delega quali il contraddittorio, la motivazione e l'onere della prova.

Da questo punto di vista, sorprende che - quantomeno sino alla delega del 2014 - la dottrina che si era occupata dell’abuso non avesse concentrato la sua attenzione proprio sugli aspetti procedurali e processuali[11], e che la giurisprudenza (per lo più quella di legittimità, in quanto quella di merito, come vedremo infra, in una serie di pronunce precedenti la positivizzazione dell’istituto si era espressa sul tema con una serie di interessanti prese di posizione) non avesse indagato più di tanto l’argomento, anzi eludendo il quesito circa la estensibilità all’abuso del diritto quantomeno delle cautele che sul piano della procedura di controllo reca l’art. 37-bis.

Addirittura, e ci torneremo, proprio nel mentre il Parlamento si accingeva ad approvare in via definitiva la delega – e quindi a dibattito praticamente concluso – la Cassazione[12] aveva sollevato ex officio la questione di legittimità costituzionale proprio del comma 4 dell’articolo 37-bis, nella parte in cui sanzionava con la nullità l’avviso di accertamento (antielusivo) non preceduto dalla richiesta di chiarimenti nelle forme e nei tempi ivi previsti; definendo tale previsione “distonica” rispetto al diritto vivente, e foriera di disparità di trattamento – e quindi contrastante (ad avviso della Cassazione) con gli articoli 3 e 53 Cost.[13].

Molto opportunamente la Corte Costituzionale, nel dichiarare infondata la questione, ha confermato – ma anche su questo torneremo - la piena validità della previsione sul contraddittorio endoprocedimentale per le ipotesi di abuso del diritto ricomprese nell’allora vigente testo dell’art. 37-bis, d.P.R. 600/1973, valorizzando quindi, al massimo grado, la portata del principio del contraddittorio stesso.

Possiamo anticipare sin d’ora – e nonostante quanto avesse statuito la Cassazione or ora menzionata – che le garanzie procedimentali per l’accertamento delle operazioni elusive previste dall’art. 37-bis, terzo comma[14], rispondevano all’esigenza di consentire al contribuente di fornire all’Ufficio tutti gli elementi utili per le complesse valutazioni legate alla reale presenza di una ragione extrafiscale dell’operazione posta in essere, come confermato, ora, dall’art. 1 del d.lgs. n. 128, e, prima, già dall’art. 5 della legge delega: si tratta delle stesse ragioni che giustificano la procedimentalizzazione della clausola generale.

Peraltro, e a maggior ragione dopo l’approvazione del decreto che ha introdotto l’art. 10-bis, riteniamo che la tesi per la quale sarebbe stato sufficiente eliminare il comma terzo dell’art. 37-bis (che prevede l’elenco delle operazioni alle quali la norma è applicabile) per rendere le garanzie procedurali di cui al comma 4 estensibili a tutte le fattispecie di elusione (fatta salva, ovviamente, una migliore collocazione della norma da un punto di vista sistematico), fosse senza dubbio apprezzabile per la soluzione concreta e “piana” - nonché più celere - che avrebbe offerto ad un tema così delicato e sentito[15].

Le indicazioni sul punto della precedente norma, piane e tra l’altro già ampiamente sperimentate nella prassi, sono ora fatte proprio dall’art. 10-bis. In estrema sintesi, la norma ora prevede – per quanto appunto concerne la parte procedurale – che l’Amministrazione: consenta al contribuente una conoscenza anticipata delle contestazioni relative alla singola fattispecie elusiva mediante una richiesta di chiarimenti, motivata in relazione agli elementi indicatori dell’abuso, da notificare al contribuente, a pena di nullità dell’accertamento; attenda un termine dilatorio per la formulazione delle osservazioni da parte del contribuente, a pena di nullità; eventualmente, accerti con un apposito atto (“senza pregiudizio dell’ulteriore azione accertatrice nei termini stabiliti per i singoli tributi”), decorso il predetto termine dilatorio di sessanta giorni, la fattispecie concreta di abuso del diritto.

Non si può a questo proposito non essere totalmente critici verso l’originario atteggiamento, su tale specifico aspetto, dei Giudici di legittimità[16]: esso, consentendo di fatto una rilevabilità assoluta in ogni stato e grado dell’abuso, senza previsione di garanzie procedurali e senza neppure menzionarle[17], se fosse stato seguito dalla Cassazione negli anni successivi avrebbe permesso un ampliamento a dismisura dei poteri dell’Amministrazione[18].

Infatti, svincolando l’abuso del diritto dalle garanzie procedimentali, un simile orientamento – in netto contrasto con quanto ora stabilito dalla norma – avrebbe rischiato di autorizzare prassi che senza enfasi si possono definire “di abuso dell’abuso”, giacché gli Uffici si sarebbero trovati ad impiegare liberamente motivazioni incentrate sulla violazione di tale principio senza aver preventivamente esperito il contraddittorio procedimentale con il contribuente, indefettibile strumento di garanzia del medesimo e di acquisizione all’accertamento degli elementi e delle notizie indispensabili per la correttezza del controllo fiscale.

Tutto ciò ci aiuta a comprendere la grande importanza delle scelte operate dal legislatore dell’art. 10-bis – e prima ancora, val la pena ribadirlo, della delega – sul tema delle garanzie procedimentali applicabili nei casi di accertamento che portino alla contestazione dell’abuso del diritto[19].

Questione delicatissima, opportunamente risolta dapprima dalla delega e successivamente dal decreto n. 128, in quanto l’irrompere della giurisprudenza che ha introdotto tale principio nel nostro ordinamento, proprio in quanto rapido e per così dire inaspettato, aveva lasciato scoperto tale aspetto – ed il legislatore ha impiegato una decina di anni ad intervenire.

Va peraltro rilevato come la formulazione della norma – e della delega prima (con la sequenza contraddittorio / prova / motivazione) – conferma ufficialmente – e nella maniera più autorevole – la cosiddetta “interpretazione garantista”, che aveva ritenuto sin da subito estensibili a tali accertamenti le garanzie e le procedure previste dall’art. 37-bis.

Detta interpretazione, però, non era stata unanime[20].

Si era ritenuto da parte di autorevole dottrina, in estrema sintesi, che una visione “letterale” della disposizione potesse far pensare ad una norma ad applicazione tassativa, nel suo complesso, in quanto il comma 3 dell’art. 37-bis avrebbe limitato in tutto e per tutto l’ambito di applicazione della stessa.

Non solo: si era anche argomentato[21], da un punto di vista logico, che sarebbe lineare la estensione di un trattamento giuridico se si scende dal generale al particolare, ma non nel caso inverso: in altre parole, non sarebbe possibile – sempre per questa tesi – applicare alla specie quel che vale per il genere.

A ciò si aggiunga che la stessa Cassazione aveva fin dall’inizio ritenuto che l’abuso del diritto rappresentasse questione rilevabile d’ufficio[22], con il solo limite del giudicato interno; cosicché l’irruzione dell’abuso del diritto nei contenziosi pendenti[23], senza la previsione di regole procedurali certe e stabili, ha potuto in certi casi essere utilizzata per colmare le lacune dell’accertamento dell’Amministrazione, ulteriormente svilendo la rilevanza della sua originaria motivazione e del connesso diritto di difesa del contribuente[24] – problema, questo, del tutto superato con l’introduzione, nel nostro ordinamento, della clausola generale antiabuso, oggi norma positiva, che ha sostituito il principio “creato” dalla Cassazione.

3. Abuso del diritto ex art. 10-bis e condotta elusiva di cui all’abrogato art. 37–bis: identità strutturale delle due fattispecie quale presupposto per la estensione delle garanzie procedimentali operata dalla nuova normaL’introduzione dell’art. 10-bis consente di chiarire un possibile equivoco. È innegabile l’identità strutturale tra il fenomeno dell’abuso del diritto a scopi essenzialmente elusivi, come enucleato negli anni più recenti dalla giurisprudenza della Suprema Corte, e la condotta elusiva positivamente sancita dal “vecchio” art. 37-bis del D.P.R. n. 600/1973[25]; e in proposito la formale abrogazione di tale ultima norma, disposta dall’art. 2 del d.lgs. n. 128/2015, ha sciolto parecchi dubbi, anche di tipo sistematico. Ciò conferma, ove ve ne fosse bisogno, quanto già riconosciuto, sia pur implicitamente, dall’art. 5 della delega: se si afferma l’esistenza nell’ordinamento di un principio generale antielusivo, estensione parimenti generale deve avere la garanzia procedimentale rappresentata dal contraddittorio preventivo con il contribuente, come stabiliva appunto il quarto comma della ricordata, ora abrogata, disposizione, ed il sesto comma dell’attuale art. 10-bis, a pena di nullità dell’avviso di accertamento[26].La perfetta coincidenza tra la fenomenologia giuridica dell’abuso ora positivizzata nell’art. 10-bis e quella dell’elusione codificata dall’art. 37-bis[27], primo comma, peraltro, aveva trovato espresso riconoscimento anche nella consolidata giurisprudenza di legittimità. In particolare, le Sezioni Unite della Suprema Corte avevano riconosciuto l’esistenza, nell’ordinamento, di un “generale principio antielusivo […] secondo cui il contribuente non può trarre indebiti vantaggi fiscali dall’utilizzo distorto, pur se non contrastante con alcuna specifica disposizione, di strumenti giuridici idonei ad ottenere un risparmio fiscale, in difetto di ragioni economicamente apprezzabili che giustifichino l’operazione, diverse dalla mera aspettativa di quel risparmio fiscale”[28].Nella stessa direzione, la Sezione Tributaria aveva affermato che“l’abuso […] costituisce una modalità di ‘aggiramento’ della legge tributaria utilizzata per scopi non propri con forme e modelli ammessi dall’ordinamento giuridico”[29].

Al di là delle singole parole, l’art. 10-bis, primo comma, ha ripreso tale definizione - laddove parla di “operazioni prive di sostanza economica che, pur nel rispetto formale delle norme fiscali, realizzano essenzialmente vantaggi fiscali indebiti”, e laddove dice che esse non sono “opponibili all'amministrazione finanziaria, che ne disconosce i vantaggi determinando i tributi sulla base delle norme e dei principi elusi”.

Si tratta, con ogni evidenza, dei medesimi requisiti oggettivi che caratterizzano la fattispecie ex art. 37-bis, tanto sotto il profilo della carenza di “valide ragioni economiche” (ossia di “ragioni economicamente apprezzabili”), quanto in ordine al conseguimento di benefici fiscali contrari alla ratio del sistema, ovvero della finalizzazione della condotta ad “aggirare obblighi o divieti previsti dall’ordinamento tributario…”. A chiara conferma dell’equiparabilità tra l’elusione precedentemente disciplinata nell’art. 37-bis e la figura generale dell’abuso del diritto ora codificata nell’art. 10-bis, o, più precisamente, dello stretto nesso funzionale che li lega (nel senso che l’abuso serve a realizzare il risultato elusivo), basti menzionare ancora una ulteriore pronuncia della Suprema Corte[30]: “nel nostro ordinamento, a prescindere dalla compiuta normazione della materia in oggetto (di cui all’art. 7 della legge 8 ottobre 1997 n. 358 che ha modificato l’art. 37-bis del d.P.R. 600/73) sussiste infatti un principio generale antielusivo, la cui fonte è reperibile nel diritto e nella giurisprudenza comunitaria per quanto riguarda i tributi ‘armonizzati’, mentre per gli altri tributi, quali quelli diretti, un tale principio è reperibile nelle norme costituzionali che sanciscono il criterio di capacità contributiva e di progressività dell’imposizione […] non è quindi lecito al contribuente trarre indebiti vantaggi fiscali dall’utilizzo distorto (seppur non contrastante con specifiche disposizioni, almeno fino alla entrata in vigore della menzionata legge 358/97) di strumenti idonei a procurargli un vantaggio fiscale, in difetto di ragioni economicamente apprezzabili diverse dalla mera aspettativa di quel vantaggio (Cass. 5926/2009)”. Anche in questo caso, tra l’altro, si ritrova corrispondenza con la formula dell’art. 10-bis.

In termini più espliciti, la attuale norma antiabuso costituisce dunque il completamento del percorso avviato con la disciplina recata dal 37-bis, secondo un semplice ragionamento logico: il contrasto all’elusione di imposta ha formato oggetto di una speciale procedura di accertamento, disciplinata allora dall’art. 37-bis; questa procedura rispondeva all’esigenza di salvaguardare la pienezza del diritto di difesa del contribuente, introducendo un momento di contraddittorio procedimentale con conseguenti riflessi sulla motivazione dell’atto impositivo; dato tutto questo, è senza dubbio preferibile ritenere che tale procedura venga ad estendersi a qualsiasi ipotesi di verifica volta a reprimere l’abuso del diritto, piuttosto che immaginare, in stridente contrasto con le esigenze di civiltà giuridica che ispirano la soluzione accolta in principio dalla Cassazione[31], che essa mantenga irrazionalmente ristretto il suo ambito di applicazione alle sole fattispecie tipizzate dalla norma.

Di qui, appunto, si è pervenuti all’attuale art. 10-bis, e alla conseguente soppressione della norma precedente, che dell’introduzione della norma antiabuso costituisce il logico corollario.

Cosicché, allorquando l’Amministrazione intenda disconoscere, a fini fiscali, gli effetti propri di atti ritenuti elusivi, l’attivazione del contraddittorio preventivo con il contribuente, tramite la prospettazione in forma scritta della contestazione e la concessione di un termine di almeno sessanta giorni per formulare osservazioni e rilievi difensivi ed offrire chiarimenti, si configura come presupposto di validità dell’eventuale successivo avviso di accertamento.Nell’economia garantista dell’art. 37-bis risultava già evidente che l’emissione dell’avviso di accertamento recante una contestazione antielusiva doveva essere preceduta, a pena di nullità, dall’invio di una richiesta di chiarimenti, nell’ambito della quale l’Agenzia delle Entrate doveva esprimere “ex professo” tutte le ragioni che considerava rilevanti ai fini dell’applicazione della disposizione antielusiva. In questi termini, l’Agenzia delle Entrate doveva - e deve ora a maggior ragione, vigente la nuova norma - indicare i motivi per cui ritiene che una data condotta sia stata posta in essere in assenza di valide ragioni economiche, sia stata aggirata una disposizione di legge e sia stato ottenuto un vantaggio indebito. E ciò, val la pena ribadirlo, a pena di nullità[32], come riconosciuto dal comma 6 dell’art. 10- bis e già dalla lettera e) del più volte citato art. 5 della delega.Ora, se la “speciale” tutela di tipo procedimentale fosse stata esclusivamente riservata ai casi di sindacato antielusivo espressamente codificati dall’art. 37-bis, terzo comma, d.P.R. n. 600, o in tali termini effettuati dall’Ufficio, si sarebbe finito per (ingiustificatamente) limitare le segnalate garanzie procedimentali ai soli casi di elusione che, per la loro intrinseca gravità, erano stati espressamente individuati anni fa dal legislatore, escludendo, invece, dall’ambito di tale speciale tutela fattispecie che non erano - vigente il 37-bis - ex lege qualificate come elusive/abusive. In altri termini, si sarebbe finito per rimettere all’Agenzia la scelta se rendere operative o meno le citate garanzie, sulla base della diversa formulazione del rilievo ex art. 37-bis, d.P.R. n. 600, o ai sensi dell’abuso del diritto[33]. Possiamo quindi concludere nel senso che il legislatore ha oggi concordato sul fatto che le garanzie procedimentali a suo tempo già sancite dal quarto comma dell’art. 37-bis devono trovare applicazione ogni qualvolta l’Amministrazione finanziaria intenda disconoscere, ai fini fiscali, gli effetti propri di atti ritenuti elusivi[34]- e vanno quindi senz’altro apprezzati in tal senso lo sforzo e il risultato ottenuti dalla norma vigente, e, prima ancora, dalla legge delega.Tale conclusione, in linea con quanto più volte esplicitamente affermato dalla giurisprudenza di merito[35], era stata implicitamente avvalorata anche da una bella sentenza, la n. 7393/2012, della Cassazione.In quel caso, i Giudici di legittimità avevano sì respinto l’eccezione del contribuente circa l’omissione della procedura prevista dall’art. 37-bis, quarto comma, ma sol perché, nella concreta fattispecie, “siffatta esigenza garantistica è stata pienamente rispettata dall’Amministrazione […] atteso che alla contribuente, all’esito della verifica fiscale, fu notificato il p.v.c., nel quale i verificatori contestavano la suddetta indeducibilità della svalutazione della partecipazione […] per il che un contraddittorio con la contribuente è stato regolarmente instaurato dall’amministrazione”.Emergeva, quindi, una volta di più, e oltretutto nelle parole della stessa Cassazione, il riconoscimento della generale “esigenza garantistica” sottesa al quarto comma dell’art. 37-bis, con conseguente necessità della “regolare instaurazione” di un contraddittorio c.d. “anticipato” con il contribuente – esigenza garantistica, lo si ripete, che è stata in pieno accolta dal legislatore del decreto delegato.

4. Rilevanza sistematica e di principio della considerazione unitaria, nell’art. 10-bis, di clausola generale e previsione di cautele procedurali

Quanto sino ad ora rilevato, e la bontà della scelta operata dalla norma vigente - e prima ancora dalla delega - di considerare in maniera unitaria la introduzione della clausola generale con la previsione delle garanzie procedurali, trovano ulteriore e ben più “alta” conferma se andiamo a collocare tali conclusioni in un quadro sistematico d’insieme, che guardi ai principi generali dell’ordinamento.

Innanzitutto, vi è una esigenza di coerenza interna dell'ordinamento, alla quale soltanto in questo modo si riesce a dare risposta.

Sarebbe illogico, infatti, che, in un'ottica di simmetria tra poteri attribuiti alla parte pubblica e garanzie previste a fronte degli stessi, ad una maggiore incisività dei primi non corrispondesse un livello più elevato delle garanzie accordate ai soggetti da questi incisi.

L'art. 37-bis, come il suo “predecessore”, l'art. 10 della legge n. 408/1990, nacque come norma antielusiva dalla struttura generale, la cui collocazione era però limitata in relazione alla necessaria esistenza di una delle operazioni comprese nell'elenco. Detto elenco aveva appunto la funzione di limitare i poteri dell'Amministrazione.

Ora, la mancata estensione, a tutti gli accertamenti in materia di abuso del diritto, del sistema di garanzie approntato dall'art. 37-bis, avrebbe – ed ha sino a poco tempo fa – comportato una evidente irrazionalità: infatti, sarebbero risultate assistite da maggiori garanzie proprio le fattispecie di più grave patologia, le prime ad essere considerate tali dal legislatore (e per questo inserite nell'elenco del 37-bis), mentre ne risulterebbero sprovviste quelle escluse dalla norma, e perciò in un certo qual modo ritenute più lievi[36].

In tale prospettiva, solo estendendo, come infatti opportunamente prevede oggi la norma positiva dello Statuto, a tutte le fattispecie le garanzie procedimentali, viene rispettato il principio di coerenza interna dell'ordinamento.

In secondo luogo, l’estensione piena e generale delle garanzie procedimentali dettate allora dall’art. 37-bis risponde, nel contempo, ai principi di buon andamento[37] ed economicità dell’attività di accertamento tributario.

Da ciò discende, immediatamente, che non è davvero difficile immaginare che una interpretazione costituzionalmente orientata, e che coniuga il diritto di difesa del contribuente con i principi apicali della funzione pubblica di accertamento, non poteva che condurre alla diretta applicazione di tali garanzie a tutti i casi di abuso del diritto[38], secondo i dettami della interpretazione adeguata a Costituzione.

Diversamente, sarebbero stati violati, a tacer d’altro, gli artt. 3 (principio di ragionevolezza), 24 (diritto di difesa) e 97 (imparzialità e buon andamento della Pubblica Amministrazione) [39].

Concludendo, va rilevato che l’opportunità – ben colta dal legislatore delegato nel nuovo art. 10-bis - di operare la estensione in esame trova una ragion d'essere anche nell’acclarato riconoscimento, all'interno dell'ordinamento tributario, di un principio del contraddittorio anticipato, ribadito anche a livello comunitario dalla stessa Corte di Giustizia, applicabile in via generale, e quindi vieppiù a tali tipi di contestazioni, in relazione alle quali ben si scorgono le ragioni che rendono più pressante l'esigenza di instaurare un dialogo con il contribuente, in maniera tale da favorire una completa valutazione della fattispecie concreta, al fine di evitare letture fuorvianti della realtà da parte dei verificatori[40].

Senza dimenticare, infine, che, come anticipato in avvio, il principio del contraddittorio aveva trovato nella delega una espressa positivizzazione quale principio generale, al di là e ben oltre della fattispecie dell’abuso, nella previsione dell’articolo 9, al secondo comma, che in tema di “Rafforzamento dell’attività conoscitiva e di controllo”, menziona la esigenza di “rafforzare il contraddittorio nella   fase   di indagine e la subordinazione dei successivi atti di accertamento e di liquidazione all'esaurimento del contraddittorio procedimentale”[41].

5. Conferma, anche da parte della Corte costituzionale, della piena legittimità delle garanzie di cui all’art. 37-bis, comma 4, d.P.R. n. 600/1973, ora riprese ed ampliate dalla nuova norma

Occorre dare conto, a questo punto e come anticipato, di come la Cassazione – con una nota ordinanza del 2013 - avesse dimostrato di essere di avviso diametralmente contrario rispetto a quanto sostenuto nel presente lavoro e positivizzato nella legge delega prima e nel decreto delegato poi – oltre che rispetto a quanto si potesse immaginare dalle precedenti pronunce.

I Giudici di legittimità, con l’ordinanza n. 24739 del 5 novembre 2013[42], avevano infatti sollevato ex officio la questione di legittimità costituzionale proprio del comma 4 dell’art. 37-bis, nella parte in cui sanzionava con la nullità l’avviso di accertamento (antielusivo) non preceduto dalla richiesta di chiarimenti nelle forme e nei tempi ivi previsti; essi avevano prospettato che la sanzione di nullità, comminata nel caso di omesso contraddittorio preventivo, definita “distonica” rispetto al diritto vivente, e foriera di disparità di trattamento, potesse contrastare con gli articoli 3 e 53 Cost..

L’Amministrazione, in un ricorso per cassazione, aveva lamentato la violazione e falsa applicazione dell’articolo 37-bis, chiedendo se “per effetto dell’introduzione nell’ordinamento nazionale del divieto di abuso del diritto in forza del quale l’Amministrazione può disattendere gli effetti di operazioni compiute essenzialmente per il conseguimento di un vantaggio fiscale, sia divenuta irrilevante la nullità prevista dal d.P.R. 600/1973, articolo 37-bis, comma 4, e se conseguentemente sia illegittima una sentenza che annulli un avviso di accertamento contenente un rilievo in relazione a operazioni elusive, per il mancato rispetto del termine di cui al comma 4 del medesimo articolo”.

La Cassazione, appunto, aveva ritenuto di sollevare ex officio la questione di legittimità costituzionale della norma.

In sintesi. Innanzitutto, l’ordinanza di rimessione parte dalla considerazione che l’art. 37-bis sia norma speciale rispetto al principio generale del divieto di abuso del diritto; ribadisce poi, una volta di più, come per contestare l’abuso del diritto non sia necessario un contraddittorio preventivo, richiamando la propria giurisprudenza nella quale aveva statuito che la fattispecie abusiva debba essere rilevata dal giudice anche d’ufficio.

Infine, la Cassazione constata come vi siano nell’ordinamento altre norme antielusive (quale è l’art. 20, D.p.r. n. 131/1986), che prevedono sì l’inopponibilità dei negozi elusivi, ma senza prevedere la nullità per difetto di contraddittorio preventivo.

Da tali premesse, essa prende le mosse per considerare irragionevole la previsione della nullità dell’accertamento nel caso di mancato contraddittorio nelle riprese fondate sull’articolo 37-bis (norma, secondo la Cassazione, speciale e residuale).

Ma la irrazionalità della previsione è ravvisata dall’ordinanza anche con riferimento all’articolo 53 Cost., che impone l’adempimento delle obbligazioni tributarie, dando in proposito una lettura del contraddittorio connotata da caratteri di effettività sostanziale, e non da profili esclusivamente formalistici.

Da questo punto di vista, sempre nella visione della Cassazione, la nullità dell’avviso per il solo omesso contraddittorio porterebbe ad annullare – per motivi formali – pretese fiscali altrimenti fondate. Di qui, dunque, la questione di legittimità costituzionale dell’articolo 37-bis, comma 4, in riferimento ai parametri di cui agli artt. 3 e 53 Cost..

Ora, al di là delle considerazioni in merito al tema in sé considerato[43], e alla questione di legittimità sollevata con riguardo a norme costituzionali così come lette dal giudice rimettente stesso, va rilevato in questa sede che la Cassazione ha escluso alla radice che vi sia un obbligo di contraddittorio preventivo in caso di contestazione di abuso del diritto; anzi, essa ha individuato uno dei motivi dell’irragionevolezza della previsione dell’art. 37-bis, comma 4, proprio nel fatto che, per il caso di abuso di diritto – in base al principio da essa stessa introdotto nell’ordinamento –, non fosse (al tempo) prevista un’analoga sanzione.

Il tutto, a tacer d’altro, alla luce di principi comunitari che affermano, come noto, l’esatto contrario[44], e dei principi e criteri direttivi che presiedono alla revisione della disciplina delle norme antielusive nel nostro ordinamento, come recita l’art. 5 della legge delega che all’epoca dell’ordinanza della Cassazione era già ben noto.

La risposta della Corte costituzionale (sent. 132/2015) alla questione prospettata dalla Cassazione ha confermato la piena validità della previsione sul contraddittorio endoprocedimentale per le ipotesi di abuso del diritto ricomprese nell’allora vigente testo dell’art. 37-bis, d.P.R. 600/1973.

Il giudice delle leggi, in totale disaccordo con le tesi sostenute dalla Suprema corte, ha dichiarato infondata la questione di legittimità costituzionale del comma IV dell’art. 37-bis.

La Consulta ha così argomentato: “la nullità dell’avviso di accertamento per inosservanza del termine dilatorio prescritto dalla norma denunciata è la conseguenza (…) di un vizio del procedimento, consistente nel fatto di non essere stato messo a disposizione del contribuente l’intero lasso di tempo previsto dalla legge a garanzia della sua facoltà di partecipare al procedimento stesso presentando osservazioni e chiarimenti. (…) La sanzione della nullità dell’atto conclusivo del procedimento assunto in violazione del termine stesso trova (…) ragione in una divergenza dal modello normativo che, lungi dall’essere qualificabile come meramente formale o innocua, o come di lieve entità, è invece di particolare gravità, in considerazione della funzione di tutela dei diritti del contribuente della previsione presidiata dalla sanzione della nullità, e del fatto che la violazione del termine da essa previsto a garanzia dell’effettività del contraddittorio procedimentale impedisce il pieno svolgersi di tale funzione. LA sanzione prevista dalla norma censurata non è dunque posta a presidio di un mero requisito di forma del procedimento, estraneo alla sostanza del contraddittorio, (…) ma costituisce invece strumento efficace ed adeguato di garanzia dell’effettività del contraddittorio stesso, eliminando in radice l’avviso di accertamento emanato prematuramente”[45].

Tale pronuncia ha consentito di confermare un importante passo in avanti nella affermazione, all’interno del sistema, di un principio generale sull’obbligatorietà del contraddittorio procedimentale[46]: all’interno di un rapporto improntato a lealtà e chiarezza tra Amministrazione e contribuente, occorre consentire la soddisfazione dei diritti di difesa del privato e del dovere al buon andamento della Autorità per il tramite del contraddittorio procedimentale preventivo.

6. Nuove forme di interpello ed abuso del diritto nel quadro del mutato rapporto fisco – contribuente e della cooperative compliance

Solo parte della dottrina aveva saputo additare uno dei punti cruciali in argomento[47], sul quale - molto opportunamente - il legislatore delegato è intervenuto, per ben due volte.

Si tratta di quella che era stata delineata come la possibilità di ritenere doveroso “ammettere l’utilizzo dell’interpello speciale per ogni ipotesi di potenziale operazione elusiva, ossia anche diversa da quelle riconducibili all’art. 37-bis”.

Anzi, se vi è un terreno tuttora gravido di innovazioni dal punto di vista legislativo, è proprio questo dell’interpello preventivo, che, sui modelli di altri ordinamenti, potrebbe assumere contenuti, modalità, termini ed effetti tali da assicurare all’impresa tempestive e quindi utili risposte da parte dell’Amministrazione finanziaria.

Qui il tema si ricollega direttamente ad una delle obiezioni che più di frequente erano state mosse da coloro i quali si erano ostinati a criticare l’introduzione del divieto di abuso del diritto nel nostro ordinamento da parte della Cassazione.

Si tratta della certezza del diritto, invocata appunto dai detrattori di tale intervento della Cassazione.

Ora, la certezza, quella che conta per l’operatore economico, si ottiene solo - come è stato fatto - collocando il contrasto all’abuso su nuovi binari procedurali, che consentano di ottenere dal Fisco, preventivamente e in tempi rapidi, un giudizio non modificabile sull’operazione da intraprendere: un vero accertamento, insomma.

E non può non venire in considerazione, a tal proposito, l’interpello[48], e con esso una disciplina che, facilitando il dialogo tra Amministrazione e contribuente, assicura che l’interpretazione delle norme avvenga, il più possibile, in una logica fisiologica di condivisione anticipata, anziché in una prospettiva patologica di litigiosità[49].

L’ampia previsione del comma 6 dell’art. 6 della delega[50] ha consentito al legislatore delegato, innanzitutto con il più volte citato decreto n. 128, di intervenire anche su tale aspetto, “collocando” il c.d. interpello anti-abuso nel comma 5 dell’art. 10-bis[51]. – vedremo tra poco come vi sia stato un secondo intervento legislativo, di poco successivo, e di ancora più ampia portata.

Ciò ha permesso di eliminare così la stridente – precedente -anomalia, per cui, secondo la giurisprudenza della Cassazione, l’elusione travalicava i limiti dell’art. 37-bis, ma l’interpello era ammesso solo per le vicende ivi contemplate.

Ora, siccome con l’interpello si apprende l’opinione del Fisco sull’elusività delle operazioni che si vuole eseguire, è doveroso potervi ricorrere ogni volta che sia prospettabile la contestazione dell’abuso del diritto[52]; ed è quanto mai corretto che il decreto delegato abbia operato in proposito il necessario collegamento tra l’art. 5 ed il comma 6 dell’art. 6 della delega, prevedendo ora espressamente – con l’attuale 10-bis, quinto comma, appunto – la possibilità dell’interpello per tutti i casi nei quali sia astrattamente ipotizzabile la applicazione della clausola generale di recente introduzione.

Infatti, l’estensione dell’interpello è del tutto coerente con quella delle garanzie procedimentali: come il privato può esporre le proprie ragioni quando sia solo prefigurata l’elusione, così è opportuno gli sia consentito – con l’interpello – di illustrare tali argomenti all’Amministrazione prima di realizzare la relativa condotta.

Interpello e contraddittorio preventivo, detto in altri termini, possono evitare – nell’interesse del contribuente e del Fisco – infondate pretese basate sull’abuso del diritto.

Rispondendo all’interpello, il Fisco può poi prevenirne l’azione elusiva, sicché è confermato che esso serve ad entrambe le parti del rapporto impositivo. Serve al privato, poiché espone anticipatamente le proprie tesi, conosce l’orientamento dell’Amministrazione e vi può fare affidamento. Serve al Fisco, per indirizzare l’operato del richiedente, anticipare la funzione di controllo e porre le basi per l’attuazione condivisa dei doveri tributari.

Successivamente alla riforma contenuta nel decreto n. 128 (e dopo poco più di un mese), il legislatore ha poi messo mano all’intera disciplina degli interpelli (compreso dunque il c.d. interpello anti-abuso), con un intervento di carattere organico, salutato con favore dalla dottrina[53].

Operando una radicale riformulazione dell’art. 11 dello Statuto, ora, l’intera disciplina in materia è racchiusa in tale legge[54].

Tutto ciò ben si coordina, d’altra parte, con quella collaborazione trasparente e leale, e conseguentemente impegnativa, che oggi è prevista per le imprese che aderiscono al cd. regime di adempimento collaborativo[55].

La prassi di tale istituto – oggi ai primordi, ma sicuramente rivoluzionario per quanto concerne il rapporto Fisco-contribuente[56] – favorirà lo svilupparsi anche di nuove forme di interpello, inserite, sempre per le società di rilevanti dimensioni, nel quadro delle procedure interne di controllo dell’attività[57].

A queste condizioni, opportunamente, è prescritto al fisco di rispondere entro termini dimezzati rispetto agli attuali, esercitando immediatamente l’attività istruttoria utile e proporzionata alla verifica degli elementi rilevanti, e nel contesto del contraddittorio immediato con l’impresa.

Con una serie di effetti rilevanti: preclusione per l’Amministrazione finanziaria di modificare il proprio accertamento sull’operazione, contenendo il successivo controllo nei ristretti limiti della verifica di rispondenza dell’operazione effettuata a quella rappresentata; possibilità di addivenire ad un accertamento che, recependo le indicazioni emerse durante il contraddittorio fra le parti, ad esse condizioni esprima il giudizio di liceità fiscale dell’operazione.

Infine, all’impresa che, dopo avere collaborato in modo leale e trasparente all’accertamento del fisco, ne impugni il responso negativo e decida nel frattempo di attuare l’operazione nei termini che continua a ritenere non elusivi, deve essere garantita la non punibilità: non vi è colpa nell’avere errato in una complessa valutazione di prevalenza delle ragioni economiche su quelle di convenienza fiscale, per di più intimamente connessa con l’apprezzamento di delicati profili giuridici ed aziendali che intessono le complesse operazioni di ristrutturazione di un gruppo, sovente con dimensioni internazionali e relative ulteriori implicazioni di coordinamento fra le diverse fiscalità.

La verifica fra impresa e fisco del carattere elusivo o meno dell’operazione deve essere improntata a lealtà e reciprocità di conseguenze[58].

 

 

Key words:Abuse of Law, tax avoidance; adversarial principle; defence principle; guaranties; tax ruling.

Abstract:This work analyses proceeding aspects of the abuse of law, after more than an year since the introduction of the unitary general clause provided by the Art. 10-bis of law 212/2000. One of the more remarkable aspects of the new rule lies, in fact, in the provision of special proceeding guaranties informed to adversarial and defence principle. The provision of a general clause means, even from the procedural view, a fundamental grant in terms of internal systematic coherence of the legal system: in fact, such a coherence is respected only by an extension of the participation guaranties to every type of abuse (or tax avoidance); at the same time, principles of good performance and of cheapness are implemented.

Key words: Abuso del diritto; elusione fiscale; contraddittorio; garanzie; interpello.

Abstract: Il presente lavoro analizza gli aspetti procedurali dell’abuso del diritto, a più di un anno dalla introduzione della clausola generale unitaria prevista dall’art. 10-bis della legge 212/2000. Uno degli aspetti più rilevanti della nuova norma è infatti costituito proprio dalla previsione di specifiche garanzie procedimentali informate al principio del contraddittorio. La introduzione della clausola generale fornisce, anche dal punto di vista procedimentale, un fondamentale contributo in termini di sistematicità e di coerenza interna dell'ordinamento: solo estendendo, infatti, a tutte le fattispecie le garanzie partecipative, viene rispettato il principio di coerenza interna dell'ordinamento; nel contempo ciò risponde ai principi di buon andamento ed economicità dell’attività di accertamento tributario.


*Il contributo è stato sottoposto a double blind peer review

[1] Per un quadro generale del tema, e per specifici approfondimenti, vedi su tutti il recente C. Glendi, C. Consolo, A. Contrino (a cura di), Abuso del diritto e novità sul processo tributario, Milano, 2016, e, in particolare, A. Contrino, A. Marcheselli, Procedimento di accertamento dell’abuso, contraddittorio anticipato e scelte difensive, ibidem, pp. 36 e ss.; P. Russo, Profili storici e sistematici in tema di elusione ed abuso del diritto in materia tributaria: spunti critici e ricostruttivi, in Diritto e pratica tributaria, 2016, I, pp. 3 e ss.; G. Ingrao, L’evoluzione dell’abuso del diritto in materia tributaria: un approdo con più luci che ombre, in Diritto e pratica tributaria, 2016, I, pp. 1433 e ss..

[2] La norma è stata introdotta il 5 agosto 2015, con D.Lgs. n. 128/2015, art. 1, primo comma.

[3] Ci permettiamo di rinviare al nostro Legge delega e profili procedurali dell’abuso del diritto, in Giurisprudenza delle imposte, 2014, pp. 1-24.

[4] Si tratta, come noto, della legge n. 23/2014, “Delega al Governo recante disposizioni per un sistema fiscale più equo, trasparente e orientato alla crescita”.

[5] In tal senso, il punto 4.1 della citata raccomandazione prevede che “per contrastare le pratiche di pianificazione fiscale che non rientrano nell’ambito di applicazione delle norme nazionali specifiche intese a combattere l’elusione fiscale, gli Stati membri dovrebbero adottare una norma generale antiabuso adatta alle situazioni nazionali, alle situazioni transfrontaliere limitate all’Unione e alle situazioni che coinvolgono paesi terzi”. A tal fine “gli Stati membri – come indicato al punto 4.2 – sono incoraggiati ad inserire la seguente clausola nella legislazione nazionale: “Una costruzione di puro artificio o una serie artificiosa di costruzioni che sia stata posta in essere essenzialmente allo scopo di eludere l’imposizione e che comporti un vantaggio fiscale deve essere ignorata. Le autorità nazionali devono trattare tali costruzioni a fini fiscali facendo riferimento alla loro sostanza economica”.

[6] Recita infatti l’art. 5 della legge delega citata del 2014: “Il Governo è delegato ad attuare, con i decreti legislativi di cui all'articolo 1, la revisione delle vigenti disposizioni antielusive al fine di unificarle al principio generale del divieto dell’abuso del diritto, in applicazione dei seguenti principi e criteri direttivi, coordinandoli con quelli contenuti nella raccomandazione della Commissione europea sulla pianificazione fiscale aggressiva n. 2012/772/UE del 6 dicembre 2012: a) definire la condotta abusiva come uso distorto di strumenti giuridici idonei ad ottenere un risparmio d’imposta, ancorchè tale condotta non sia in contrasto con alcuna specifica disposizione; b) garantire la libertà di scelta del contribuente tra diverse operazioni comportanti anche un diverso carico fiscale e, a tal fine: 1) considerare lo scopo di ottenere indebiti vantaggi fiscali come causa prevalente dell’operazione abusiva; 2) escludere la configurabilità di una condotta abusiva se l’operazione o la serie di operazioni è giustificata da ragioni extrafiscali non marginali; stabilire che costituiscono ragioni extrafiscali anche quelle che non producono necessariamente una redditività immediata dell’operazione, ma rispondono ad esigenze di natura organizzativa e determinano un miglioramento strutturale e funzionale dell'azienda del contribuente; c) prevedere l'inopponibilità degli strumenti giuridici di cui alla lettera a) all'amministrazione finanziaria e il conseguente potere della stessa di disconoscere il relativo risparmio di imposta; d) disciplinare il regime della prova ponendo a carico dell'amministrazione finanziaria l'onere di dimostrare il disegno abusivo e le eventuali modalità di manipolazione e di alterazione funzionale degli strumenti giuridici utilizzati, nonché la loro mancata conformità a una normale logica di mercato, prevedendo, invece, che gravi sul contribuente l'onere di allegare l'esistenza di valide ragioni extrafiscali alternative o concorrenti che giustifichino il ricorso a tali strumenti; e) prevedere una formale e puntuale individuazione della condotta abusiva nella motivazione dell'accertamento fiscale, a pena di nullità dell'accertamento stesso; f) prevedere specifiche regole procedimentali che garantiscano un efficace contraddittorio con l'amministrazione finanziaria e salvaguardino il diritto di difesa in ogni fase del procedimento di accertamento tributario”. Vedi, per alcuni spunti sull’allora disegno di legge (poi diventato legge delega), su tutti, M. Beghin, L’abuso e l'elusione fiscale tra regole "scritte", giustizia tributaria e certezza del diritto, in Corriere Tributario, n. 17/2012, pag. 1298.

[7]Dispone, infatti, l’art. 10-bis, per la parte che più specificamente in questa sede rileva:“6. Senza pregiudizio dell’ulteriore azione accertatrice nei termini stabiliti per i singoli tributi, l’abuso del diritto è accertato con apposito atto, preceduto, a pena di nullità, dalla notifica al contribuente di una richiesta di chiarimenti da fornire entro il termine di sessanta giorni, in cui sono indicati i motivi per i quali si ritiene configurabile un abuso del diritto. 7. La richiesta di chiarimenti è notificata dall’amministrazione finanziaria ai sensi dell’articolo 60 del decreto del Presidente della Repubblica 29 settembre 1973, n. 600, e successive modificazioni, entro il termine di decadenza previsto per la notificazione dell’atto impositivo. Tra la data di ricevimento dei chiarimenti ovvero di inutile decorso del termine assegnato al contribuente per rispondere alla richiesta e quella di decadenza dell’amministrazione dal potere di notificazione dell’atto impositivo intercorrono non meno di sessanta giorni. In difetto, il termine di decadenza per la notificazione dell’atto impositivo è automaticamente prorogato, in deroga a quello ordinario, fino a concorrenza dei sessanta giorni. 8. Fermo quanto disposto per i singoli tributi, l’atto impositivo è specificamente motivato, a pena di nullità, in relazione alla condotta abusiva, alle norme o ai principi elusi, agli indebiti vantaggi fiscali realizzati, nonché ai chiarimenti forniti dal contribuente nel termine di cui al comma 6. 9. L’amministrazione finanziaria ha l’onere di dimostrare la sussistenza della condotta abusiva, non rilevabile d’ufficio, in relazione agli elementi di cui ai commi 1 e 2. Il contribuente ha l’onere di dimostrare l’esistenza delle ragioni extrafiscali di cui al comma 3.”.

[8] Vedi M. Miccinesi, Riflessioni sull’abuso del diritto, in M. Miccinesi, M. Logozzo, M. Allena (a cura di) Scritti in onore di E. De Mita, Napoli, Jovene 2013, p. 602.

[9] D. Stevanato, Elusione fiscale e abuso delle forme giuridiche, anatomia di un equivoco, in Diritto e Pratica Tributaria, 5/2015, pp.695 e ss. esprime una nota di critica sulla definizione della fattispecie di abuso espressa dal dato letterale dell’art. 10-bis della l. 212/2000.

[10] Dispone infatti l’art. 1, comma 2, del D.Lgs. n. 128/2015 che “L’art. 37-bis del decreto del Presidente della Repubblica 29 settembre 1973, n. 600, e successive modificazioni, è abrogato. Le disposizioni che richiamano tale articolo si intendono riferite all’art. 10-bis della legge 27 luglio 2000, n. 212, in quanto compatibili.”.

[11] Sul tema, oltre alla dottrina citata di seguito, si rinvia per gli aspetti generali a L. Tosi, Gli aspetti procedurali nell'applicazione delle norme antielusive, in Corriere Tributario, n. 39/2006, pp. 3119 ss.

[12] Ci riferiamo all’ordinanza n. 24739 del 5 novembre 2013, sulla quale torneremo nel paragrafo 6. Per un primo commento a tale ordinanza, vedi F. Tundo, Illegittimo il diritto al contraddittorio nell’accertamento antielusivo per disparità con l’abuso del diritto?, in Corriere tributario, 2014, pp. 29 e ss..

[13] P. Russo, Profili storici e sistematici in tema di elusione ed abuso del diritto in materia tributaria: spunti critici e ricostruttivi, in Diritto e Pratica Tributaria, 1/2016, pp. 5-7, esprime una nota critica al ravvisato fondamento dell’abuso del diritto nell’art. 53 della Costituzione.  

[14] In base a tale norma, il comma quarto dell’art. 37-bis, l’avviso di accertamento è emanato, a pena di nullità, previa richiesta al contribuente di chiarimenti da inviare per iscritto entro sessanta giorni dalla data di ricezione della richiesta, con indicazione dei motivi per cui si rendono applicabili i commi 1 e 2 del medesimo articolo.

[15] Infatti, in base all’art. 37-bis, comma quarto, l’Ufficio aveva l’obbligo di instaurare un contraddittorio anticipato con il contribuente, pena la nullità dell’avviso di accertamento emesso, e quello di dar conto delle giustificazioni addotte dal contribuente nel contraddittorio, sempre a pena di nullità. Sul tema dell’art. 37-bis, e in particolare del suo primo comma, quale eventuale norma generale dell’ordinamento, vedi per tutti G. Zizzo, L’elusione tra ordinamento nazionale ed ordinamento comunitario: definizione a confronto e prospettive di coordinamento, in G. Maisto (a cura di), Elusione ed abuso del diritto tributario, Milano, 2009, pagg. 57 e seguenti, specie pag. 73.

[16] Ci riferiamo alle sentenze delle Sezioni Unite, nn. 30055/2008, 30056/2008 e 30057/2008, tutte del 23 dicembre 2008. Tale orientamento, peraltro, aveva trovato conferma nell’ordinanza che ha sollevato la questione di legittimità costituzionale dell’art. 37-bis comma 4, poi superata dalla Corte Costituzionale, per la quale vedi infra.

[17]Si leggeva infatti in tali sentenze: "Come correttamente viene sottolineato nella sentenza n. 25374/08, l'esistenza di un principio generale non scritto volto a contrastare le pratiche consistenti in un abuso del diritto è d'altro canto riconosciuta da questa Corte anche in campi diversi dal diritto tributario. Ne è testimonianza la sentenza di queste Sezioni Unite n. 23726/07, nella quale è definitiva come abusiva la pratica di frazionamento di un credito, nella fase giudiziale dell'adempimento, al fine, essenzialmente, di scelta del giudice competente. 2.6. Nessun dubbio può d'altro canto sussistere riguardo alla concreta rilevabilità d'ufficio, in questa sede di legittimità, della inopponibilità del negozio abusivo all'erario. In aggiunta alle considerazioni svolte sub 2.1., giova ricordare che, per costante giurisprudenza di questa Corte, sono rilevabili d'ufficio le eccezioni poste a vantaggio dell'amministrazione in una materia, come è quella tributaria, da essa non disponibile (da ultimo, Cass. n. 1605/08). Il carattere elusivo dell'operazione può d'altro canto agevolmente desumersi, senza necessità di alcuna ulteriore indagine di fatto, sulla base della compiuta descrizione che se ne rinviene in atti (in specie nella stessa sentenza impugnata) e, soprattutto, della esplicita valutazione proveniente dallo stesso legislatore, per quanto si è osservato sub 2.3. e 2.4.". Sulla rilevabilità d’ufficio, vedi M. Basilavecchia, Cassazione della sentenza senza esamedei motivi: nuovi impieghi dell’abuso del diritto, in Corriere Tributario, 4 / 2012, pp. 252 ss..

[18] Vedi sul punto M. Miccinesi, Riflessioni sull’abuso del diritto, cit., p. 604.

[19] Vedi, sul tema dell’accertamento nei casi di abuso, G. Marongiu, Abuso del diritto, poteri di accertamento e principio di legalità, in Corriere Tributario, 2009, pp. 3631 ss.

[20] Vedi E. Marello, Elusione fiscale ed abuso del diritto: profili procedimentali e processuali, in Giurisprudenza Italiana, 2010, pag. 1732.

[21] E. Marello, Elusione fiscale ed abuso del diritto: profili procedimentali e processuali, op. cit., pag. 1732.

[22] Vedi, oltre alle sentenze di dicembre 2008, citate, tra le altre, Cass., sent. 18 febbraio 2011, n. 3947; Cass., sent. 26 ottobre 2011, n. 22258; Cass., sent. 21 gennaio 2011, n. 1372; Cass., sent. 11 maggio 2012, n. 7393; Cass., sent. 22 febbraio 2013, n. 4535. Sul tema della rilevabilità d’ufficio, e sulla necessità, in tali casi, di integrazione del contraddittorio da parte del giudice, vedi A. Giovannini, Il divieto d’abuso del diritto in ambito tributario come principio generale dell’ordinamento, in Rassegna tributaria, 2010, n. 4, pp. 98 ss.. In generale, in tema di diritto di difesa e contraddittorio, anche in un’ottica comunitaria, vedi su tutti A. Di Pietro, Giusto processo, giustizia tributaria e giurisprudenza comunitaria, in Rassegna tributaria, 2013, pp. 405 ss.; nonché G. Fransoni, Preclusioni processuali, rilevabilità d’ufficio e giusto processo, in Rassegna tributaria, 2013, 449 ss.. Vedi anche M. Cantillo, Profili processuali del divieto di abuso del diritto: brevi note sulla rilevabilità d’ufficio, in Rassegna tributaria, 2009, pp. 475 ss..

[23] Con riguardo ai quali, prima della approvazione della delega, un parziale rimedio era stato additato dalla stessa Cassazione nella possibilità di applicare l’esimente dell’obiettiva incertezza a fattispecie insorte prima che si consolidasse il principio (Cass. 25 maggio 2009, n. 12042).

[24] Sul piano processuale, peraltro, il principio del contraddittorio, nell’accezione oggi legislativamente prevista, comprende il diritto delle parti ad esprimere le proprie difese in merito a qualsiasi questione il giudice ritenga di rilevare d’ufficio e di porre a fondamento della propria decisione. Dispone, infatti, l’art. 101, secondo comma, c.p.c.: “se ritiene di porre a fondamento della decisione una questione rilevata d’ufficio, il giudice riserva la decisione, assegnando alle parti, a pena di nullità, un termine, non inferiore a venti e non superiore a quaranta giorni dalla comunicazione, per il deposito in cancelleria di memorie contenenti osservazioni sulla medesima questione”. La norma, di recente introduzione, è espressione del più generale principio costituzionale secondo cui “ogni processo si svolge nel contraddittorio tra le parti” (art. 111 Cost.), e certamente opera nel processo tributario. Ciò, sia in ragione della rilevata portata costituzionale del principio, sia dell’operare nel processo tributario della clausola generale di rinvio alle norme del codice di rito civile di cui all’art. 1, secondo comma, del D.Lgs. n. 546/1992. Si è espressa in tal senso, e proprio con riguardo all’abuso, la Cassazione (17949/2012), che ha affermato: "Si è, quindi, chiaramente in presenza dell'applicazione ex officio del principio di divieto di abuso del diritto, tema che non era stato, neanche implicitamente, allegato dall'amministrazione nell'atto impositivo, nè, in ogni caso, era entrato a far parte del dibattito processuale. Inoltre, la questione non può considerarsi di puro diritto, implicando, come emerge espressamente dalla sentenza impugnata, anche profili fattuali (e la ricorrente ha indicato le circostanze e le argomentazioni che avrebbe potuto dedurre per contestare la tesi del giudice). Ne consegue, in definitiva, la nullità della sentenza, in virtù del principio secondo il quale l'omessa indicazione alle parti, ad opera del giudice, di una questione di fatto, ovvero mista di fatto e diritto, rilevata d'ufficio, sulla quale si fondi la decisione, comporta la nullità della sentenza (c.d. "della terza via", o "a sorpresa") per<

Allena Marco



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