La riforma degli artt. 9 e 41 della Costituzione nell’ecologia delle idee
Danila Iacovelli*
La riforma degli artt. 9 e 41 della Costituzione nell’ecologia delle idee**
English title: The Reform of art. 9 and 41 of the Constitution in the Ecology of Ideas
DOI: 10.26350/18277942_000081
Sommario: 1. La riforma degli artt. 9 e 41 della Costituzione. - 2. Nuova “ecologia delle idee” e processi di revisione costituzionale. Verso il “geocostituzionalismo”? – 3. La tutela dell’ambiente nell’Unione europea e nel quadro costituzionale degli Stati membri. - 4. L’ambiente nella giurisprudenza costituzionale. - 5. Ambiente e paesaggio. - 6. Costituzione e futuro. Solidarietà intergenerazionale. - 7.Ambiente e salute: limiti alla libertà di iniziativa economica privata. - 8. Verso un’economia circolare.
1. La riforma degli artt. 9 e 41 della Costituzione
Con il disegno di legge costituzionale "Modifiche agli articoli 9 e 41 della Costituzione in materia di tutela dell’ambiente", approvato in via definitiva l’8 febbraio 2022[1], la tutela dell’ambiente è entrata nel quadro dei principi fondamentali della Costituzione, da cui si ricava «l’immagine più veritiera dell’ordine giuridico che si adegua alla società attuale»[2].
La riforma, articolata in tre disposizioni, introduce una modifica dell’art. 9 della Costituzione, aggiungendo un ulteriore comma, il terzo, secondo il quale la Repubblica «Tutela l'ambiente, la biodiversità e gli ecosistemi, anche nell'interesse delle future generazioni» (art 1 del d.d.l. costituzionale). Nel secondo periodo dello stesso comma è stata inserita una riserva di legge statale in materia di «tutela degli animali»[3], che disciplini «forme e modi» della relativa protezione.
La formulazione della norma, oggetto di ampia discussione nel corso dei lavori parlamentari[4], per la prima volta colloca nella Costituzione il riferimento agli animali, in linea con le previsioni del Trattato sul funzionamento dell’Unione europea (“TFUE”)[5], e implica quindi il riconoscimento degli stessi quali “esseri senzienti”, sia pure con modalità differenziate da definirsi in via legislativa.
Il progetto di legge costituzionale è inoltre intervenuto sull’art. 41, che contiene la disciplina costituzionale dei rapporti economici, modificando l’attuale previsione – secondo la quale l'iniziativa economica privata è libera (primo comma) e non può svolgersi in contrasto con l'utilità sociale o in modo da recare danno alla sicurezza, alla libertà, alla dignità umana (secondo comma) – con l’introduzione dell’ulteriore vincolo che non possa svolgersi in modo tale da recare danno «alla salute e all'ambiente» (art 2 del d.d.l. costituzionale).
Le relazioni al disegno di legge costituzionale evidenziano che con l’inserimento di tali limiti «si è inteso dare sostanza al nuovo dettato dell’articolo 9, elevando al rango costituzionale princìpi già previsti dalle norme ordinarie e affiancando altresì la salute all’ambiente per la stretta correlazione tra i due aspetti»[6].
Con un’ulteriore modifica, apportata al terzo comma dello stesso art. 41, la riforma ha previsto che l’intervento del legislatore per il coordinamento programmatico dell’attività economica pubblica e privata, prefigurato dalla Costituzione, possa essere indirizzato non solo a fini sociali, ma anche ambientali[7].
L’art. 3 del d.d.l. prevede, infine, una clausola di salvaguardia per le regioni a statuto speciale e le province autonome, stabilendo che la legge statale, che ai sensi del nuovo art. 9 Cost. disciplina le forme e i modi della tutela degli animali, si applica alle Regioni a statuto speciale e alle province autonome «nei limiti delle competenze legislative ad esse riconosciute dai rispettivi statuti».
2. Nuova “ecologia delle idee” e processi di revisione costituzionale[8]. Verso il “geocostituzionalismo”?
La rilevanza giuridica dell’ambiente è il riflesso di un mutamento culturale e storico che ha condotto ad una revisione ideologica del rapporto tra uomo e natura, con il passaggio da una prospettiva antropocentrica ad una ecocentrica o, con un’ottica più sottile, olistica[9], in cui si afferma l’idea di una «cooperazione simbiotica con la natura», come necessità scaturente dalla concatenazione stessa dei fenomeni e come espressione di una «forma di intelligenza» da cui dipende direttamente la «nostra capacità di adattarci alla nicchia ecologica in cui viviamo» [10].
La storia ha dimostrato l’insufficienza di tutte le ideologie, fondate su una artificiosa separazione tra bios ed oikos, che sulla spinta del pensiero razionalista, da Bacone a Locke, si sono profondamente diffuse nella civiltà occidentale, conducendola verso una cultura industrializzata, in cui si accentuava il dualismo tra uomo e natura.
La crisi ecologica e sociale che ne è derivata ha condotto a un ripensamento dell’ordine sociale, in connessione con quello naturale, quale premessa indefettibile della stessa esistenza umana, tanto da far apparire “scandaloso” che «mentre il mondo perisce – e non solo il mondo della natura – i filosofi continuano a discutere, a volte acutamente a volte no, se il mondo esiste» [11].
Dai primi segnali di degrado per il «cattivo trattamento riservato all’ambiente» [12], denunciato già sul finire dell’Ottocento [13], alla percezione del pericolo che grava sul pianeta, il passo è stato relativamente breve.
Il timore di eventi naturali che possano condurre ad un “vicolo cieco evolutivo” [14] ha indotto a rimeditare le premesse epistemologiche del passato, e a spostare lo sguardo sulla “relazione” tra l’uomo e l’ambiente, accentuandone le interazioni, nella prospettiva della valorizzazione dell’habitat naturale e di una più efficiente gestione delle risorse[15].
La nuova cultura ecocentrica prende il via dal rovesciamento puro di antichi paradigmi e, a ben vedere, ne riproduce la parzialità, conservando una supervalutazione del controllo umano come causa efficiente dell’equilibrio del sistema, sia quando lo altera sia quando lo assicura.
Muovendo da questa consapevolezza, una corrente di pensiero che si definisce deep ecology, propone una visione olistica della realtà, spiegata attraverso l’intima connessione delle parti che la costituiscono in un equilibrio dinamico che ricompone bios ed oikos [16], nella quale non trova spazio alcuna scissione, poiché l’insieme non è riducibile alla somma dei suoi elementi, e l’essere umano partecipa all’evoluzione della terra, in un processo simbiotico[17], del quale è corresponsabile e co-creatore.
In tale logica, alcuni Autori riconoscono una “etica della Terra”, che consente di estendere i confini della comunità, per includervi suolo, acqua, animali, piante, in un orizzonte di valori che si pone come limite alla libertà dell’uomo, in un’ottica cooperativa con la natura, quale presupposto indefettibile dell’evoluzione[18].
Gli interessi della collettività, collegati in fondo al «mistero dell’evoluzione biologica»[19] e alla crisi del rapporto con l’ambiente, possono essere compresi in termini di una «ecologia delle idee»[20], intesa come una sorta di «selezione naturale che determina la sopravvivenza di certe idee e l’estinzione o la morte di certe altre»[21].
Come osservava Feliciano Benvenuti, «il diritto è un fenomeno sociale», e pertanto, «non si dovrà mai dimenticare che il diritto trae la sua stessa ragione di esistenza dalla Società che esso ordina e quindi occorrerà tener presente, accanto alle esigenze del sistema giuridico, le esigenze del sistema sociale in cui esso vive»[22].
L’emersione dell’interesse ambientale è legata all’evoluzione economico sociale e alla nascita di nuovi bisogni, «progressivamente considerati rilevanti per il diritto, fino ad essere qualificati “a protezione necessaria”, veri e propri diritti»[23]; o, con un passo ulteriore, fino a diventare «il pilastro delle nuove strutture costituzionali»[24].
La natura, come si dirà oltre, è stata assunta tra i principi fondamentali in molteplici costituzioni europee, e tuttavia, come osservato in dottrina[25], anche la consacrazione della tutela ambientale nella Costituzione, in modo esplicito o attraverso un’interpretazione sistematica delle disposizioni vigenti, si rivela insufficiente.
La protezione dell’ambiente, come attualmente configurata, è infatti destinata ad entrare nella dinamica del bilanciamento con la pluralità dei diritti fondamentali riconosciuti dalla costituzione, con esiti incerti, e comunque assoggettata alle determinazioni dell’uomo[26].
La «primazia ontologica» della natura, come evidenziato dalla stessa dottrina, trova riscontro nell’anteriorità logica del problema dell’esistenza rispetto ad ogni altra speculazione e implica, pertanto, un rovesciamento di prospettiva, che «costringe a ripensare il fondamento ultimo del potere»[27].
Un simile percorso si è pur realizzato nell’esperienza di due importanti Paesi sudamericani, nei quali l’ambiente è stato consacrato quale principio fondamentale idoneo a definire l’identità stessa dell’ordinamento costituzionale[28].
Tale processo «riflette una nuova coscienza ecologista che va ben oltre la mera rivendicazione politica o culturale», in quanto l’inclusione di «un nuovo elemento nella “materia costituzionale” segna senza dubbio una svolta nella costruzione delle basi normative dei rispettivi ordinamenti» e condiziona le scelte dei legislatori nazionali che dovranno misurarsi su nuovi principi fondamentali[29].
Su tale base e sulla scia del nuovo costituzionalismo andino, si è aperta la strada di un processo globale di “geocostituionalismo”[30], «quale filosofia che assoggetta il potere politico al rispetto per la natura»[31], configurando la costituzione come ecosistema[32] e la natura quale base di legittimazione del potere stesso[33].
Questa prospettiva, ponendo al centro del sistema la natura, quale condizione essenziale per preservare la vita stessa del pianeta, ha di per sé una proiezione nel futuro, a garanzia delle prossime generazioni e della tutela dei relativi diritti e aspettative, strettamente connessi agli equilibri ecologici e alla conservazione delle risorse della Terra.
Nel quadro giuridico vigente, la tutela dell’ambiente si è gradualmente affermata sul piano comunitario, fino a diventare un pilastro delle politiche eurounitarie, per poi entrare nella trama dei principi fondamentali riconosciuti da molte costituzioni nazionali.
3. La tutela dell’ambiente nell’Unione europea e nel quadro costituzionale degli Stati membri
L’interesse ambientale ha preso consistenza giuridica, prima in ambito sovranazionale, poi nell’ordinamento interno, a partire dai primi anni Settanta, quando si trattò di fronteggiare fenomeni di inquinamento transfrontaliero, e si affermò che al diritto sovrano degli stati di sfruttare le proprie risorse fa da contrappeso il dovere di non causare danni all’ambiente oltre i confini territoriali [34]. Da allora si è progressivamente accresciuta l’attenzione nei confronti dei valori e beni ambientali unita al riconoscimento che l’espansione economica «non è un fine a sé stante» e «deve tradursi in un miglioramento della qualità come del tenore di vita» [35], secondo un’interpretazione evolutiva dell’art. 2 del Trattato istitutivo della Comunità europea [36].
Le istituzioni comunitarie hanno quindi adottato un programma d’azione in materia ambientale [37], prorogato negli anni [38], e hanno disciplinato specifici settori, anche quando non erano ancora definiti i lineamenti costituzionali dell’ambiente, facendo leva sugli art. 100 e 235 del Trattato CEE (ora art. 94 e 308 TUE), che consentono di superare lo scoglio dell’assenza di poteri espliciti.
In tale quadro, la Corte di giustizia, con una serie di pronunce nel settore dei rifiuti, che è stato uno dei primi ambiti regolamentati al livello europeo[39], ha incluso tra gli scopi comunitari essenziali anche la tutela ambientale, qualificata come «esigenza imperativa», a fronte della quale si giustificano restrizioni alla libera circolazione delle merci e alla concorrenza [40], valori di per sé non assoluti e come tali derogabili, in una logica di contemperamento degli interessi, emersa già nelle prime sentenze in materia di oli esausti e di imballaggi [41].
A seguito dell’approvazione dell’Atto Unico Europeo nel 1986, la salvaguardia dell’ambiente è stata formalmente assunta tra le finalità fondamentali cui si ispira l’azione comunitaria, che s’impronta nella sua concreta esplicazione ai principi di prevenzione, correzione alla fonte dei danni, chi inquina paga, integrazione delle esigenze ambientali nelle altre politiche della Comunità [42]
Il Trattato che ha istituito l’Unione europea (TUE), firmato a Maastricht il 7 febbraio 1992, ha poi introdotto come obiettivo prioritario la promozione di una crescita sostenibile e rispettosa dell’ambiente [43] (articolo 2) e ha ricompreso, tra le attività dell’Unione, una «politica nel settore ambientale» [44] (articolo 3 k), rafforzandone il carattere preventivo, con l’introduzione del principio di precauzione, che impone la tutela anche in condizioni di incertezza scientifica sui possibili rischi [45].
L’espansione dell’azione europea in più ampi settori testimonia la spinta dell’Europa verso un assetto comune, non solo mercantile, com’era in origine, ma anche politico, nel quale la protezione dell’ambiente diviene uno dei principi guida dell’integrazione tra gli stati membri accanto a quello dell’«economia di mercato aperta e in libera concorrenza» (art. 3 A dello stesso Trattato), con il quale necessariamente convive [46].
Nel Trattato di Amsterdam del 1997, lo «sviluppo armonioso, equilibrato e sostenibile delle attività economiche» diventa un punto centrale delle politiche comunitarie, che mirano a promuovere «un elevato livello di protezione dell’ambiente ed il miglioramento della qualità di quest’ultimo» (art. 2 del Trattato di Amsterdam, ora art. 3 TUE e 191, par. 2, del Trattato sul funzionamento dell’Unione europea – TFUE) [47]. Le successive revisioni dei Trattati hanno rafforzato tali impegni, stimolando il passaggio verso modelli di produzione e di consumo sostenibili.
La necessità di affrontare le politiche economiche, sociali e ambientali in modo sinergico è stata ribadita in occasione del Consiglio europeo di Göteborg del 2001 [48], che ha aggiunto una terza dimensione, quella ambientale, alla strategia di Lisbona[49], e ha individuato le misure da intraprendere per una più responsabile gestione delle risorse, nell’orizzonte tematico del Sesto programma d’azione per l’ambiente [50].
Più recentemente, nel dicembre 2015, nell’ambito della conferenza di Parigi sul clima, si è concluso il primo accordo universale e giuridicamente vincolante sui cambiamenti climatici, ratificato dall’UE e da 190 paesi, ed entrato in vigore il 4 novembre 2016, a seguito dell’adempimento della condizione di ratifica da parte di almeno 55 stati che rappresentassero almeno il 55% delle emissioni globali[51].
In tale contesto, l’Unione europea si è impegnata a perseguire il programma d’azione dell’Agenda 2030 per lo Sviluppo sostenibile[52], che ingloba 17 obiettivi e pone sfide comuni per tutti i paesi e gli individui: «nessuno ne è escluso, né deve essere lasciato indietro lungo il cammino necessario per portare il mondo sulla strada della sostenibilità»[53].
Tali principi sono enunciati anche dalla Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea (“Carta di Nizza”)[54], che all’art 37 stabilisce che «Un livello elevato di tutela dell’ambiente e il miglioramento della sua qualità devono essere integrati nelle politiche dell’Unione e garantiti conformemente al principio dello sviluppo sostenibile».
La protezione dell’ambiente, generalmente non contemplata nelle costituzioni europee del primo dopoguerra, ha fatto ingresso in quelle più recenti (come la Costituzione spagnola del 1978), ed è stata inserita nei testi più risalenti, a seguito di revisione costituzionale[55], con diverse accezioni: sia quale diritto fondamentale in sé considerato[56], sia quale diritto all’ambiente salubre, sia quale componente del «diritto di condurre una vita conforme alla dignità umana»[57].
La Francia, con la Carta dell’ambiente, adottata con la legge costituzionale n. 2005-205 del 1° marzo 2005, ha riconosciuto, nel preambolo, l’ambiente quale «patrimonio comune dell’umanità», integrandolo tra gli obiettivi di valore costituzionale[58], e ha positivizzato i principi di precauzione e sviluppo sostenibile (art. 5 e 6). In particolare, l’art. 1 enuncia il diritto di «vivere in un ambiente equilibrato e favorevole alla salute», il cui naturale corrispondente è il dovere di partecipare alla tutela e al miglioramento dell’ambiente», di prevenire e limitare danni all’ambiente, di contribuire alla loro riparazione, sancito dagli artt. 2, 3,4 della stessa Carta.
Nella Repubblica federale tedesca, l’esigenza di garantire la protezione dell’ambiente si è posta, sin dai primi anni Settanta, in termini per molti versi peculiari rispetto ad altri paesi occidentali, in quanto percepita come emergenza innanzitutto al livello sociale, e connotata come interesse esistenziale, che imponeva la ridefinizione dei modelli organizzativi, in modo da garantire la tutela dell’habitat naturale[59]. La centralità assunta dall’interesse ambientale è comprovata anche dalle nuove riflessioni sviluppate dalla dottrina e dalla giurisprudenza sull’ Umweltschutzrecht, che hanno condotto ad una rivisitazione dei diritti fondamentali, e ad una interpretazione rigorosa, in particolare, degli art. 2, comma 2, e dell’art. 14 della legge fondamentale, rispettivamente in tema di diritti della personalità e tutela della proprietà, nonché dal serrato dibattito sugli strumenti e le tecniche di tutela più idonee a coniugare la «qualità della vita», lo sviluppo e gli equilibri ambientali[60].
Allo stesso tempo, l’emersione della problematica ambientale ha messo in luce i limiti di un sistema economico di impianto liberista (o neoliberista), e di un mercato sostanzialmente autoregolamentato, stimolando una intensa produzione normativa, col proliferare di leggi - federali e dei Länder – volte a disciplinare le attività economiche, unitamente al moltiplicarsi di strumenti e procedure amministrative conformative del diritto d’impresa.
A fronte di tali evoluzioni, la stessa nozione di proprietà di cui all’art. 14 citato, che ha una collocazione centrale sul piano costituzionale, è stata ridefinita da una parte della dottrina, tenuto conto dell’uso del bene in relazione alla normativa ambientale, ai rapporti di vicinato e alla responsabilità civile in caso di eventi causativi di danno[61].
In tale quadro, a seguito dell’elaborazione di diversi progetti di revisione costituzionale, nel 1994, è stata approvata una legge di modifica che ha inserito nella Costituzione l’art. 20a[62], per il quale lo «Stato tutela, assumendo con ciò la propria responsabilità nei confronti delle generazioni future, i fondamenti naturali della vita e gli animali», in linea con la visione europea di un futuro sostenibile.
La tutela dell’ambiente è stata quindi configurata come uno “Staatsziel”, e non come un diritto soggettivo, e pertanto costituisce un dovere dello stato, vincolante per il legislatore e in sede di interpretazione delle norme[63].
Una recente sentenza del Tribunale costituzionale tedesco (BVerfG) del 24 marzo 2021)[64] ha accolto una serie di ricorsi, aventi ad oggetto le disposizioni della legge sulla protezione del clima del 12 dicembre 2019 (Klimaschutzgesetz - KSG), adottata per conformarsi ai requisiti previsti dall’Accordo di Parigi, che pone gli obiettivi nazionali di protezione del clima e indica i volumi annuali di emissione di gas serra ammessi fino al 2030, demandando al governo federale il compito di fissare livelli di emissioni annualmente decrescenti per il periodo successivo[65].
La Corte ha dichiarato la parziale incostituzionalità delle disposizioni contestate, in quanto, pur non ravvisando una violazione degli obblighi di tutela sanciti dall’art. 20a della Legge fondamentale da parte del legislatore, le norme impugnate comportano un rinvio unilaterale nel futuro dei più gravosi oneri di riduzione di CO2e quindi non assicurano un’efficace protezione intertemporale delle libertà fondamentali dei ricorrenti[66].
Il consumo del carbon budget da parte delle generazioni attuali si traduce in una restrizione delle libertà di quelle future, gravate da oneri più radicali di riduzione delle emissioni, per il raggiungimento della neutralità climatica, in violazione del principio di proporzionalità[67].
La sentenza tedesca riconosce inoltre, all’art. 20°, una speciale dimensione sovranazionale, sotto diversi profili. Da un lato, secondo la Corte, il dovere dello stato di tutela del clima non si arresta entro i confini territoriali, ma presuppone una necessaria cooperazione internazionale; dall’altro, gli obiettivi concordati a Parigi svolgono un ruolo chiave nell’interpretazione dell’art. 20a, in quanto tale disposizione pone dei vincoli al legislatore, la cui azione deve essere orientata alla salvaguardia dell’ambiente, e quindi alla lotta al cambiamento climatico.
La pronuncia dei giudici tedeschi, di portata “storica” secondo una gran parte della dottrina[68], si impernia su una dogmatica innovativa, immersa in una prospettiva intergenerazionale, nella quale la tutela dell’ambiente, di natura di per sé globale, incide sullo stesso svolgimento del processo democratico e sulla discrezionalità del legislatore, quale condizione imprescindibile per garantire e custodire nel tempo le libertà fondamentali delle persone.
Il riconoscimento dell’ambiente come principio fondamentale, sia pure con diverse accezioni, si trova nelle Costituzioni della Svezia, della Polonia, del Lussemburgo, di Malta.
Il novero degli stati europei che hanno dato fondamento costituzionale alla tutela ambientale è ormai molto ampio.
In Italia, la natura di valore costituzionale dell’ambiente è stata ricostruita prima in via giurisprudenziale, sulla base dei principi fondamentali su cui si basa il patto costituzionale, e poi esplicitamente, con l’inserimento di disposizioni specifiche in sede di revisione costituzionale.
4. L’ambiente nella giurisprudenza costituzionale
Al livello nazionale, il riconoscimento della rilevanza giuridica dell’ambiente è dovuto, in primo luogo, all’opera della giurisprudenza che ha individuato situazioni giuridiche soggettive protette dall’ordinamento connesse a interessi di matrice ambientale.
La Corte di Cassazione, dapprima, ha ammesso la salvaguardia dell’ambiente in relazione al diritto alla salute, fatto valere dai proprietari o usufruttuari di beni immobili «che dall'ambiente traggono il loro pregio particolare»[69], secondo un percorso che evoca, per diversi profili, quello tedesco; e, successivamente, ha sganciato la tutela da tali referenti reali, e sulla base di una lettura sistematica degli art. 2 e 32 Cost., ha configurato un autonomo «diritto all'ambiente salubre», spettante ad ogni cittadino «come partecipe della collettività» - familiare, abitativa, di lavoro, di studio - in cui si svolge la sua personalità[70].
Tale prospettiva, di per sé parziale, è stata superata dalla Cortecostituzionale che ha riconosciuto la dimensione unitaria del bene («immateriale») ambientale, comprensivo di tutte le risorse naturali e culturali, collocandolo sul piano dei valori costituzionali, cui corrispondono diritti fondamentali della persona[71].
La protezione dell’ambiente ha quindi preso forma da un processo interpretativo della giurisprudenza, che ne ha ricostruito l’immagine costituzionale, derivandola dalle norme poste a garanzia del paesaggio (art. 9 Cost.), inteso in senso lato come “tutela ecologica”[72] e come “interesse alla conservazione dell’ambiente naturale”[73], e a tutela della salute (art. 32 Cost.), in relazione all’ambiente in cui l’uomo vive e agisce[74].
In diverse pronunce costituzionali, l’ambiente è connotato come «valore primario e assoluto», «insuscettibile di essere subordinato a qualsiasi altro»[75].La “primarietà” non si traduce tuttavia un’anteriorità gerarchica nel confronto tra la pluralità di diritti e valori costituzionali, che sono tutti specificazioni e promanazioni della libertà degli individui, quale fonte dell’ordine giuridico e limite sostanziale al procedimento di revisione costituzionale[76]. Al di là dei principi supremi, che «non possono essere sovvertiti o modificati nel loro contenuto essenziale»[77], i diritti fondamentali si pongono in rapporto di inesauribile dialettica e reciproca integrazione.
La Costituzione italiana, come le altre Costituzioni democratiche e pluraliste contemporanee, richiede «un continuo e vicendevole bilanciamento» tra princìpi costituzionali, «senza pretese di assolutezza per nessuno di essi»[78].
La qualificazione come “primario” di un valore implica pertanto che lo stesso non possa essere sacrificato nel suo nucleo centrale, ma debba trovarsi di volta in volta un punto di contemperamento e di conciliazione necessaria con altri diritti, ugualmente garantiti, secondo criteri di proporzionalità e di ragionevolezza, che meglio ne esprimano i reciproci contenuti.
A fronte dell’attuale crisi ambientale, come rilevato in dottrina, la tecnica del bilanciamento potrebbe rivelarsi inadeguata ad assicurare la tutela ambientale, in correlazione con obiettivi economici, pur suscettibili di forti impatti sull’ecosistema[79].
Il fondamento costituzionale dell’ambiente è stato esplicitamente affermato con l’entrata in vigore della l. cost. n. 3 del 2001, che ha attribuito la tutela dell’«ambiente, dell’ecosistema e dei beni culturali» alla competenza esclusiva dello stato (art. 117, comma 2, lett. s, Cost.). La Corte costituzionale ha chiarito la “trasversalità” della tutela ambientale, che investe una pluralità di materie affidate ad enti diversi, in relazione alle quali spetta allo stato la determinazione di standard che rispondono a esigenze di disciplina uniforme sull'intero territorio nazionale», ferma la legittimazione di interventi regionali diretti a soddisfare contestualmente, nell'ambito delle proprie competenze (concorrenti o residuali), ulteriori esigenze rispetto a quelle di carattere unitario definite dallo Stato[80].
Con la riforma approvata l’8 febbraio 2022, già sopra ricordata, la tutela dell’ambiente è stata introdotta nelle previsioni degli art. 9 e 41 della Costituzione, e dunque nella sua prima parte, dedicata ai principi fondamentali cui si ispira l’ordinamento giuridico.
5. Ambiente e paesaggio
L’art. 9, comma 2, della Costituzione affida alla Repubblica, e non allo Stato, e quindi «a tutte le persone associate dall’ordinamento»[81], la tutela del paesaggio e del patrimonio storico e artistico della nazione.
La formula costituzionale era intesa, originariamente, in senso più ristretto rispetto a quello attuale, in base a una concezione del «paesaggio», ispirata a una visione estetica, legata alla conservazione delle bellezze naturali[82], con una rappresentazione quasi fotografica della dimensione territoriale considerata.
Secondo una diversa e più ampia interpretazione, il paesaggio non può essere descritto esclusivamente in base a tali criteri, né si identifica con la sola natura, ma è espressione di un processo dinamico, che si identifica con la «forma del paese, creata dall’azione cosciente e sistematica della comunità che vi è insediata»[83].
Il paesaggio si configura quindi nel suo farsi, attraverso l’interazione creativa di agenti naturali e umani, che insieme contribuiscono a delinearne l’immagine, mai statica ma in continuo divenire[84].
La giurisprudenza costituzionale ha progressivamente esteso tale interpretazione, iscrivendo la tutela paesaggistica in un’ottica globale e valorizzando interessi estetico-culturali connessi al territorio[85] che, al di là della sua consistenza naturalistica, assume contenuti culturali e di civiltà, e diviene a sua volta un riflesso della società, in una dialettica evolutiva continua.
In particolare, la Corte costituzionale ha evidenziato i caratteri di «integralità e globalità» della tutela del paesaggio, che si configura come «un'autonoma disciplina dell'intero territorio dall'angolo visuale e per l'attuazione del valore estetico culturale», e come tale si distingue dall’urbanistica, con la quale deve tuttavia raccordarsi sulla base del principio di leale cooperazione[86]
Superata la tesi dell’assimilazione tra urbanistica e paesaggio, la giurisprudenza ha valorizzato il collegamento con l’ambiente, che è stato ancor più rimarcato a seguito della riforma del Titolo V della parte seconda della Costituzione, dove non compare un espresso riferimento al paesaggio. La Corte costituzionale ha chiarito che il concetto di paesaggio indica, innanzitutto, «la morfologia del territorio, riguarda cioè l’ambiente nel suo aspetto visivo» e ha precisato che sul territorio gravano più interessi pubblici, ovvero «quelli concernenti la conservazione ambientale e paesaggistica, la cui cura spetta in via esclusiva allo Stato, e quelli concernenti il governo del territorio e la valorizzazione dei beni culturali ed ambientali (fruizione del territorio), che sono affidati alla competenza concorrente dello Stato e delle Regioni»[87].
I termini ambiente e paesaggio, spesso correlati o associati in un sintagma, sembrano porsi su una linea di sostanziale convergenza, insistendo su un bene unitario e tuttavia non si identificano tra di loro ma realizzano interessi differenziati[88], in relazione ai quali il paesaggio non si riduce in una dimensione esclusivamente estetico-naturalistica, ma si arricchisce di contenuti storico-culturali che ontologicamente lo caratterizzano.
La tutela del «paesaggio-ambiente», garantita dall’art. 9, si configura come «espressione di principio fondamentale dell’ambito territoriale in cui si svolge la vita dell’uomo e si sviluppa la persona umana»[89].
Con una prospettiva più ampia, rispetto a quella legata all’identificazione di situazioni giuridiche soggettive[90], la giurisprudenza costituzionale ha ancorato l’ambiente a una pluralità di interessi di matrice costituzionale, fino a riconoscerlo di per sé quale valore fondamentale[91], oggetto di potestà legislativa statale, di carattere trasversale.
Nell’impianto costituzionale, la «mediazione fra i diritti personali e l’organizzazione sociale viene svolta per vero da “strutture di valore”, nelle quali la materia del singolo diritto prende oggettività e alle quali si riconnette anche la comunicazione fra tutti i singoli diritti. Infatti i valori non si dissociano tra loro, ma spontaneamente si collegano e si corroborano vicendevolmente, in quanto appunto presuppongono l’unità della persona»[92].
Sotto tale profilo, la tutela dell’ambiente, analogamente ad altri valori e principi costituzionali, rappresenta non solo una condizione di legalità, anche sostanziale, che vincola tutti i soggetti pubblici e privati dell’ordinamento ma ancor più un canone a cui rapportare, in base a un processo interpretativo, gli istituti del diritto.
In una più recente decisione, la Corte costituzionale, chiamata a esprimersi in relazione alla legge regionale della Lombardia n. 31 del 2014, che ha definito il suolo come «bene comune di fondamentale importanza per l’equilibrio ambientale, la salvaguardia della salute, la produzione agricola finalizzata alla alimentazione umana e/o animale, la tutela degli ecosistemi naturali e la difesa dal dissesto idrogeologico»[93], ha evidenziato come questa si inserisca in un «processo evolutivo diretto a riconoscere una nuova relazione tra la comunità territoriale e l’ambiente che la circonda, all’interno della quale si è consolidata la consapevolezza del suolo quale risorsa naturale eco-sistemica non rinnovabile, essenziale ai fini dell’equilibrio ambientale, capace di esprimere una funzione sociale e di incorporare una pluralità di interessi e utilità collettive, anche di natura intergenerazionale»[94].
L’approdo della Corte è la traduzione di un’esigenza obiettiva di adattamento e di interiorizzazione del senso di unità di biosfera e umanità e di una crescita compatibile con il ciclo della natura, che comporta un cambio di paradigma rispetto al passato e la transizione verso un modello di economica circolare e autorigenerativa.
Tale prospettiva, che implica un ripensamento delle “strutture di valore” su cui si impernia l’organizzazione socioeconomica dello stato, è stata recepita dalla riforma costituzionale, che all’art. 9, terzo comma, ha positivizzato la tutela l'ambiente, della biodiversità e degli ecosistemi, «anche nell'interesse delle future generazioni», riprendendo un’espressione sempre più ricorrente nei testi costituzionali europei, in esito ai più recenti processi di revisione[95].
6. Costituzione e futuro. Solidarietà intergenerazionale
Il definitivo inserimento dell’ambiente tra i principi fondamentali e il richiamo alle prossime generazioni sono il segno di una trasformazione dei paradigmi del pensiero e delle ideologie sottese ai modelli di sviluppo dei paesi industrializzati, in considerazione di aspetti coessenziali all’esistenza umana e alla persistenza del pianeta, anche in una prospettiva futura[96].
Il rapporto “Our common future” della Commissione Brundtland delle Nazioni Unite[97], nel 1987, ha evidenziato la necessità di attuare una strategia in grado di integrare le esigenze dello sviluppo e dell’ambiente. Questa strategia è stata definita con il termine «sustainable development», per indicare «quello sviluppo che consente alla generazione presente di soddisfare i propri bisogni senza compromettere la possibilità delle generazioni future di soddisfare i propri».
Il concetto di “sostenibilità” ha preso forma in ambito sovranazionale e nella politica ambientale europea e si è progressivamente espanso in tutte le possibili direzioni, economica, culturale, turistica, alimentare, architettonica, progettuale, irradiandosi sulla società con una forza propulsiva che si proietta nel tempo.
La positivizzazione di tale concetto in diverse costituzioni europee sembra esprimere un collegamento con un ordinamento universale, quale matrice originaria ed effettiva del valore ambientale, che non si esaurisce nella dimensione del presente né si limita entro i confini degli stati territoriali. Come espressamente rimarcato nel Green Deal europeo[98], «l'ambizione ambientale espressa in tale strategia di crescita «non potrà essere concretizzata dall'Europa, se essa agirà da sola. I fattori alla base dei cambiamenti climatici e della perdita di biodiversità hanno dimensione mondiale e non si arrestano ai confini nazionali. L'UE può esercitare la sua influenza e le sue competenze e utilizzare le sue risorse finanziarie per mobilitare i paesi vicini e i partner e indurli a percorrere insieme un percorso sostenibile».
L’idea dello sviluppo sostenibile nasce dall’interazione di una pluralità di fattori, economici ed ambientali, e consente di includere nella prospettiva di analisi dei processi produttivi la dimensione ambientale. La dottrina più recente si è tuttavia interrogata sulla sufficienza di tale approccio, a fronte del peso assunto dalle determinazioni delle istituzioni politiche, in relazione alle decisioni economiche, che spesso mostrano scarsa «sensibilità per gli equilibri naturali»[99].
La nuova norma costituzionale di cui all’art. 9, comma 3, non contiene un esplicito riferimento allo sviluppo sostenibile, ma ne evoca indirettamente i contenuti attraverso il richiamo ad una responsabilità intergenerazionale[100], di cui la sostenibilità è condizione necessaria.
La dimensione diacronica è di per sé intrinseca nelle Costituzioni, da un lato, per la rigidità formale, che ne assicura la naturale resistenza, quale trascrizione dell’ordine giuridico che la società si è data, e che «le proietta oltre l’immediato e le fonda contemporaneamente sulla storia e sull’avvenire tanto che esse sono state considerate delle “promesse per il futuro”, atti scritti capaci di plasmare una comunità politica e di esserne plasmate (proprio attraverso la revisione), al fine di durare più a lungo possibile»[101]. Dall’altro, e a maggior ragione, dal punto di vista sostanziale, in quanto «in virtù della possibilità o necessità di un continuo scavo tra le strettoie delle proposizioni formali, la costituzione è in se stessa variabile, giacché il suo compito primario è quello di tradurre in valori la storia della società che continua e muta»[102].
Lo stesso concetto di sovranità, come attributo del popolo (e non dello stato), si lega indissolubilmente col principio di libertà e valorizzazione delle persone, che rappresenta il nucleo fondamentale della costituzione, ed è dotato di un grado di permanenza, che va oltre il tempo presente, quale rappresentazione dell’assetto giuridico della società in una saldatura ideale tra passato e futuro[103].
Il tempo è quindi un aspetto immanente nelle costituzioni, che assumono anche una valenza di patto intergenerazionale[104].
La categoria delle generazioni future non è, tuttavia, riconosciuta come soggetto giuridico qualificato nell’ordinamento [105], e come tale titolare di pretese giuridiche e di diritti[106].
D’altronde, la necessità di tutelare l’ambiente, e di conservare le risorse anche per il futuro, è stata avvertita prima di tutto nell’ambito scientifico e filosofico, e la sua trasfusione nell’area giuridica, con la rigidità delle classificazioni proprie del diritto, non è immediata, né tanto meno agevole, tanto che ci si è chiesti se si possa riconoscere la “natura” stessa come soggetto di diritto[107].
Al fine di dare una consistenza giuridica alle generazioni future, la dottrina ha anche ipotizzato una ricostruzione di tale categoria seguendo un percorso parallelo a quello che ha condotto, con una fictio juris, a identificare la personalità giuridica dello stato, e poi di una serie di entità soggettive all’interno dell’ordinamento, con un accostamento che, come pur notato, potrebbe rivelarsi inadatto a descrivere la fattispecie specifica[108].
La dottrina e la giurisprudenza hanno riconosciuto la capacità di enti, associazioni e comitati di rappresentare, a determinate condizioni, interessi di dimensione superindividuale di cui sono portatori[109], su un filo interpretativo che ben difficilmente però si estende fino a spiegare, pur parzialmente, la tutela di interessi diffusi in una prospettiva futura.
Sotto un profilo formale, la protezione intergenerazionale difficilmente si inquadra nella logica delle classificazioni tradizionali.
Nella sostanza, molte qualificazioni giuridiche, «al di là di quanto normalmente si crede, mostrano e sintetizzano sia ciò che è regola sia ciò che è capacità di movimento dentro questa regola o rispetto ad essa. Una maggiore autenticità del linguaggio giuridico deve farci cogliere tale ambivalenza, che è del resto alla base del fenomeno giuridico, se questo appunto deve rappresentare la forza e allo stesso tempo il limite della soggettività»[110].
In quest’ottica, la tutela dell’habitat naturale e la conservazione delle risorse, anche per l’avvenire, si configurano come un’esigenza oggettiva di ricomposizione di bios e oikos, e di adattamento all’ordine naturale.
Gli interessi della collettività, da un lato, riaffiorano nella capacità soggettiva dello stato, nella sua relazione dialettica con la società, da cui lo stato stesso ricava la propria investitura formale; dall’altro, esprimono un collegamento tra diritto naturale e diritto positivo, che a seconda dei momenti storici e culturali, implica una razionalizzazione del confronto rispetto ai bisogni emergenti della collettività[111].
«Se il diritto dello stato nasce nel campo della ragione universale, anche i contrapposti diritti individuali pretendono alla fine di riconoscersi in questo stesso ordine»[112].
Tale connessione è emersa, inizialmente in una dimensione sovranazionale, con una prospettiva di preservazione delle risorse e dell’habitat naturale, sia spaziale, al di là dei confini territoriali, che temporale, in una logica di tutela anche per le generazioni future, per poi migrare nelle costituzioni degli stati membri, data la permeabilità[113] all’influsso del diritto europeo e delle carte internazionali.
L’inclusione della tutela dell’ambiente tra i valori fondamentali della Costituzione si salda con il principio di solidarietà, quale regola di convivenza reciproca delle libertà individuali, su cui si impernia l’organizzazione statuale, e si traduce in un dovere di salvaguardia delle risorse e dell’ecosistema in cui viviamo, come espressione di una responsabilità delle generazioni presenti anche a garanzia di quelle future[114].
L’affermazione di tale principio implica una revisione profonda dell’ideologia sottesa al modello di sviluppo proprio dei paesi industrializzati, tradizionalmente ancorato alla logica “estrazione-produzione-consumo-scarto”, e la transizione verso un’economia circolare, basata sull’uso razionale delle risorse e sulla rigenerazione dei processi di produzione, in una prospettiva di sviluppo sostenibile, e quindi compatibile con la capacità del pianeta di assorbire gli impatti delle attività umane.
Tale approccio comporta una revisione delle strutture socio-organizzative dello Stato, in modo da inglobare la dimensione ambientale, e coinvolge una pluralità di attori, dalle istituzioni alla società civile, e in particolare il mondo delle imprese, come ormai chiarito dall’art. 41 della Costituzione, in esito alla riforma.
7. Ambiente e salute: limiti alla libertà di iniziativa economica privata
Nella sua nuova formulazione, l’art. 41, come già ricordato, esplicita un ulteriore limite all’esercizio della libertà di iniziativa privata, in funzione di tutela della salute e dell’ambiente, pur riconosciuti in via sistematica dalla giurisprudenza costituzionale.
Il terzo comma dello stesso articolo affida inoltre al legislatore la determinazione i programmi e i controlli opportuni perché l'attività economica pubblica e privata possa essere indirizzata e coordinata a fini sociali, e a seguito della riforma, anche ambientali.
La Corte costituzionale, investita della questione di legittimità degli artt. 1 e 3 del decreto-legge 3 dicembre 2012, n. 207, convertito in legge n. 231 del 2012[115], riguardante l’esercizio dell’attività di impresa negli stabilimenti industriali di interesse strategico nazionale, nel caso delle acciaierie Ilva di Taranto, ha affrontato il tema dei limiti all’esercizio della libertà di iniziativa economica e, in particolare, dell’antagonismo tra esigenze di tutela dell’ecosistema e della salute e esigenze di sviluppo e difesa dei livelli occupazionali.
Con sentenza n. 85 del 2013[116], la Corte ha rilevato l’esigenza, sottesa alla norma oggetto del giudizio, di realizzazione di «un ragionevole bilanciamento tra diritti fondamentali tutelati dalla Costituzione, in particolare alla salute (art. 32 Cost.), da cui deriva il diritto all’ambiente salubre, e al lavoro (art. 4 Cost.), da cui deriva l’interesse costituzionalmente rilevante al mantenimento dei livelli occupazionali ed il dovere delle istituzioni pubbliche di spiegare ogni sforzo in tal senso».
In particolare, in tale pronuncia si rileva che tutti «i diritti fondamentali tutelati dalla Costituzione si trovano in rapporto di integrazione reciproca e non è possibile, pertanto, individuare uno di essi che abbia la prevalenza assoluta sugli altri», con la precisazione che la tutela deve essere sempre «sistemica e non frazionata in una serie di norme non coordinate ed in potenziale conflitto tra loro»[117]. Se così non fosse, si verificherebbe «l’illimitata espansione di uno dei diritti, che diverrebbe "tiranno” nei confronti delle altre situazioni giuridiche costituzionalmente riconosciute e protette, che costituiscono, nel loro insieme, espressione della dignità della persona»[118].
Sulla stessa linea, nella decisione n. 58 del 2018[119], la Corte ha ribadito che non può ritenersi astrattamente precluso al legislatore di intervenire per salvaguardare la continuità produttiva in settori strategici per l’economia nazionale e per garantire i correlati livelli di occupazione, anche in presenza di sequestri preventivi disposti dall'autorità giudiziaria nel corso di processi penali; purché tale obiettivo sia raggiunto attraverso un ragionevole ed equilibrato bilanciamento dei valori costituzionali in gioco; pur pervenendo nel caso concreto a conclusioni diverse[120].
Pertanto, la giurisprudenza costituzionale ha rimarcato i limiti che la Costituzione impone all’attività d’impresa la quale, ai sensi dell’art. 41 Cost., si deve esplicare sempre in modo da non recare danno alla sicurezza, alla libertà, alla dignità umana[121].
Il limite centrale nell’articolo 41 è rappresentato dall’utilità sociale, perché in tale richiamo si esprime «un progetto di emancipazione personale e sociale che è tracciato dall’articolo 3, secondo comma, della Costituzione»[122]. Sotto questo profilo, l’art 41 «dà per scontata l’esistenza di un modo di produzione di tipo capitalistico e ha costruito la scelta a favore di questo modo di produzione come parte costitutiva del patto repubblicano»[123], cui fa da contrappeso, nel disegno costituzionale, il dovere di concorrere al progresso della società, che il mondo dell’impresa, orientato secondo regole economiche, di per se stesso non sarebbe in grado di assicurare.
L’impianto costituzionale riflette la doppia anima dello stato, che emerge chiaramente nella finalizzazione a obiettivi sociali dell’attività impresa, a cui si aggiunge una terza dimensione, quella ambientale, già rilevata nella giurisprudenza costituzionale, che opera non solo nel campo dei rapporti economici ma contribuisce a delineare nuovi modelli organizzativi.
La clausola della tutela della salute e dell’ambiente è pur sempre configurate come eccezione rispetto all’espansione della libertà economica, secondo una rappresentazione della natura che si carica di valore costituzionale, ma resta ancora sullo sfondo, in quanto non acquisisce quel significato coessenziale rispetto alle attività umane, specie di rilevanza economica, che pur incidono sullo scenario attuale e futuro dell’evoluzione[124].
8. Verso un’economia circolare
La riforma dell’art. 41, da un lato, pone un contrappeso alla libertà economica, attraverso l’apposizione di un limite negativo, dall’altro, congiuntamente al riconoscimento del principio di tutela dell’ambiente, della biodiversità e degli ecosistemi, anche «nell’interesse delle generazioni future», sancito dal nuovo art. 9, segna un passo decisivo verso una revisione dei modelli produttivi e di consumo, in funzione di tutela dell’ambiente e dell’ecosistema.
Tale approdo appare coerente con i principi dell’economia circolare, affermati nella politica europea e penetrati nell’ordinamento interno degli stati membri, che riflettono un progressivo passaggio dalla red economy (ovvero dall’economia tradizionale che preleva dalla natura, e dai beni comuni senza preoccuparsi dei costi sociali e del lascito alle generazioni future) alla green economy, che impegna le imprese a preservare l’ambiente e a sostenere i costi derivanti dall’uso delle risorse, alla blu economy,o economia circolare, che si basa sui concetti chiave zero rifiuti e autorigenerazione.
Sebbene tale modello non sia espressamente prescritto dal combinato di norme costituzionali, a seguito della riforma, ne rappresenta per molti aspetti un corollario, quale sistema in grado di assicurare, tra l’altro, un’economia zero waste, la responsabilizzazione del produttore, secondo schemi diversi a seconda degli ordinamenti nazionali, la razionalizzazione dello sfruttamento delle risorse[125], anche a salvaguardia delle future generazioni, in linea con la politica e le strategie di azione europea sull’ambiente e con gli obiettivi fissati dalle direttive emanate in settori specifici[126].
L’implementazione di tali processi è quindi funzionale alla tutela dell’ambiente, garantita dalla costituzione, e contiene in sé una forma di conciliazione intelligente tra le esigenze della produzione e la salvaguardia dell’ecosistema.
L’organizzazione in circuiti sembra riflettere caratteristiche proprie dei processi naturali.
Come evidenziato da Bateson, il maestro dell’«ecologia della mente» [127], la cosa vivente «si sottrae al cambiamento o correggendolo o cambiando se stessa per adattarsi al cambiamento o incorporando nel proprio essere un cambiamento continuo» [128].
Un criterio fondamentale del processo è che «l’organizzazione delle cose viventi dipende da catene di determinazione circolari e più complesse» [129].
L’idea della «causalità circolare» [130], alla base di tale criterio, implica che gli effetti che si verificano in un qualunque punto del circuito «possono farne il giro completo fino a produrre cambiamenti nel loro punto di origine» [131].
Tale modello implica un ripensamento dei processi produttivi, in modo da incrementare la disponibilità di materie prime, e quindi ridurre la dipendenza da risorse vergini che sono scarse, soprattutto nel territorio europeo, e promuovere un’economia in grado di autorigenerarsi.
L’innesco della circolarità prende le mosse dalla riprogettazione dei prodotti in un’ottica che ne assecondi il ciclo di vita, con un approccio che sappia interiorizzare i valori ambientali e trasmetterli al mercato con adeguate strategie comunicative e informative, in modo da orientare le scelte dei consumatori verso opzioni innovative e sostenibili; e punta su un criterio di responsabilizzazione dei produttori, obbligati in vario modo a farsi carico del processo di gestione dei rifiuti scaturenti dalle proprie attività.
Il principio di responsabilità non si limita però a questo livello, ma ha una forza pervasiva che accomuna tutti i soggetti dell’ordinamento, senza distinzione di ruoli, irradiandosi sulla società tutta.
Il concetto di economia circolare si traduce in un insieme di regole, quale criterio di conformazione degli interessi sociali sottesi al modello, che comportano una revisione dei principi organizzativi dello stato, tanto che in dottrina si è anche parlato di un «nuovo modello di Stato “circolare”, che andrebbe ad affiancarsi alle tradizionali nozioni di Stato liberale, di Stato di polizia o di Stato del benessere» [132].
Tale modello di sviluppo presuppone il coinvolgimento di una pluralità di attori istituzionali, del mondo delle imprese, alla pubblica amministrazione, alla società civile, che hanno tutti un ruolo essenziale per il funzionamento del sistema. D’altronde la Costituzione «non disegna un progetto preciso di società», ma presuppone «un processo di emancipazione in cui sono tutti impegnati: la Repubblica, vale a dire lo Stato, le regioni e tutti i poteri pubblici», e in prima persona i cittadini; «non bisogna scordarsi del fatto che la Costituzione vuole una cittadinanza consapevole e attiva»[133].
La transizione verso un’economia circolare non si riduce alle applicazioni industriali e all’impiego di risorse rinnovabili, ma implica una modifica delle dinamiche sociali, delle consuetudini, delle scelte di consumo, e in definitiva un ribaltamento della stessa struttura mentale che orienta il comportamento, in modo da riflettere la relazione immanente con la natura e l’ambiente esterno.
L’idea alla base di tale sistema appare peraltro in linea con l’impianto solidaristico della Costituzione e anche con la lettura unitaria delle libertà che sono scritte nella sua prima parte, che offrono l’immagine di un individuo non chiuso nelle pretese di garanzia personale, ma proteso «al di fuori della sua sfera particolare e rivolto alla costruzione consapevole della società e dell’ordinamento» [134], anche a tutela delle future generazioni.
Sotto questo profilo, l’economia circolare, da cui possono derivare nuove forme di occupazione, può contribuire sensibilmente allo sviluppo di formazioni sociali più inclusive.
In tale contesto, al legislatore spetta il compito di stabilire regole chiare e stabili nel tempo, in modo da creare un quadro normativo affidabile, in grado di stimolare gli investimenti e incentivare nuovi mercati.
Le pubbliche amministrazioni, a loro volta, possono sostenere il processo di transizione sia orientando i consumi e le tendenze del mercato verso scelte di prodotti e servizi più “ecologici” [135] sia attraverso gli acquisti verdi (“green public procurement)” che rappresentano uno strumento strategico per attuare gli obiettivi di una politica sociale sostenibile e stimolare l’integrazione di criteri ambientali nella catena di approvvigionamento dei beni [136].
L’economia circolare è un’economia collaborativa, che fa leva sull’interazione e sulla coesione sociale promuovendo forme innovative di produzione e di consumo, anche attraverso la condivisione di prodotti, servizi e infrastrutture [137].
La realizzazione di tale sistema richiede un’apertura all’interconnessione dinamica di tutti i soggetti dell’ordinamento, in una dimensione solidaristica e cooperativa, che incorpori i valori ambientali.
La riforma degli artt. 9 e 41 della Costituzione apre la strada a un ripensamento delle strutture organizzative socioeconomiche dello stato, attento alla tutela del pianeta nel suo insieme, all’uso razionale delle risorse e allo sviluppo umano, proiettandosi in uno spazio globale in cui si decide il futuro dell’uomo.
Abstract:The reform of art. 9 and 41 of the Constitution includes the environment among the fundamental values in the first part of the Constitution, similarly to other constitutions of the member states of the European Union. This reform is the expression of a profound change in the ideology underlying the development model of industrialized countries, in line with the transition process towards a circular economy, launched first at a European level, and based on the rational use of resources and the regeneration of production processes, with a view to sustainable development, also to protect future generations
Keywords: Environment - Constitution – Geo-constitutionalism - Future generations - Circular economy
* Università Politecnico di Milano (danila.iacovelli@polimi.it)
** Il contributo è stato sottoposto a double blind peer review.
[1] La proposta di legge costituzionale AC 3156-B è stata approvata, in prima deliberazione, dal Senato della Repubblica il 9 giugno 2021; e dalla Camera dei deputati il 12 ottobre 2021; e, in seconda deliberazione, con la maggioranza dei due terzi dei suoi componenti, dal Senato il 3 novembre 2021, e dalla Camera l’8 febbraio 2022. Ai sensi dell’art. 138 Cost., il procedimento di revisione costituzionale si è concluso senza necessità di sottoposizione a referendum. Cfr. https://www.camera.it/leg18/126?leg=18&idDocumento=3156.
[2] G. Berti, Interpretazione costituzionale, Padova, 1990, 88.
[3] Cfr. Senato della Repubblica, Servizio studi, Ufficio ricerche su questioni istituzionali, di giustizia e cultura, Dossier del 23 settembre 2021, n. 405/1, Modifiche agli articoli 9 e 41 della Costituzione in materia di tutela dell’ambiente, in https://documenti.camera.it/Leg18/Dossier/Pdf/AC0504a.Pdf, 3-4, da cui si evince che nel corso dei lavori parlamentari, la I Commissione Affari costituzionali ha inserito nel comma aggiuntivo dell’art. 9 la riserva di legge in materia di tutela degli animali e, conseguentemente, «è stato abrogato l’originario articolo 3 del d.d.l., che prevedeva di sostituire la lettera s) del secondo comma dell'articolo 117 della Costituzione, includendo la tutela degli animali tra le materie di competenza esclusiva statale, oltre a quella della tutela dell’ambiente, dell’ecosistema e dei beni culturali».
[4] Cfr. ibid, 7, in cui si rileva che nel corso della discussione parlamentare «il dibattito ha investito anche diverse possibili formulazioni quali la proposta di inserimento di una tutela degli animali quali "esseri senzienti" (riprendendo una dicitura presente nell'articolo 13 del Trattato di Lisbona dell'Unione europea) o di contro l'opzione di non inserimento alcuno di una previsione circa la tutela gli animali, ritenuta già inclusa appieno nella nozione di ecosistema e biodiversità quale scandita dalla novella».
[5] Il TFUE, risultato del Trattato di Lisbona, all’art. 13, prevede che «Nella formulazione e nell’attuazione delle politiche dell'Unione nei settori dell’agricoltura, della pesca, dei trasporti, del mercato interno, della ricerca e sviluppo tecnologico e dello spazio, l'Unione e gli Stati membri tengono pienamente conto delle esigenze in materia di benessere degli animali in quanto esseri senzienti, rispettando nel contempo le disposizioni legislative o amministrative e le consuetudini degli Stati membri per quanto riguarda, in particolare, i riti religiosi, le tradizioni culturali e il patrimonio regionale».
[6] Senato della Repubblica, Servizio studi, Ufficio ricerche su questioni istituzionali, di giustizia e cultura, Dossier del 23 settembre 2021, n. 405/1, cit., 10-11.
[7] Precisamente, l’art. 2 del d.d.l. costituzionale aggiunge al terzo comma dell’art. 41 - secondo il quale «La legge determina i programmi e i controlli opportuni perché l'attività economica pubblica e privata possa essere indirizzata e coordinata a fini sociali» - le parole «e ambientali».
[8] Per l’espressione «ecologia delle idee», G. Bateson, Verso un’ecologia della mente, Adelphi, Milano, 2000, p. 19.
[9] Sul tema, sia consentito rinviare a D. Iacovelli, Rifiuti e mercato nell’economia circolare, Torino, 2021, pp. 1 ss.
[10] D. Goleman, Intelligenza ecologica, RCS, Milano, 2009, p. 54.
[11] K. Popper, Conoscenza oggettiva. Un punto di vista evoluzionistico (trad.it. di A. Rossi), Armando, Roma, 1983, p. 58.
[12] S.E. Kingsland, The evolution of American Ecology, The Johns Hopkins University Press, Baltimora, 2005, p. 10.
[13] G.P. Marsh, Man and nature, 1864, nella più recente edizione di D. Lowenthal (a cura di), Man and Nature, University of Washington Press, Seattle, 2003.
[14] G. Bateson, Verso un’ecologia della mente, cit., p. 545.
[15] Sul punto, più ampiamente, D. Iacovelli, Rifiuti e mercato nell’economia circolare, cit., pp. 173 ss.
[16] Cfr. F. Capra, La rete della vita, BUR, Milano, 2008, pp. 40-41; Id., Il Tao della fisica, Adelphi, Milano, 1994, pp. 147 ss.; G. Dalla Casa, Ecologia profonda, Pangea Edizioni, Torino, 1996, pp. 33 ss.; A. Naess, Ecosofia. Ecologia, società e stili di vita, RED, Como, 1994, pp. 35-37.
[17] D. Goleman, Intelligenza ecologica, cit., p. 54.
[18] A. Leopold, A Sand Country Almanac, Oxford University Press, 1949, trad. it.; M. Porro, La Terra come soggetto di diritto, in Iride, 2000, p. 113 ss. In arg., Q. Camerlengo, Natura e potere, Una rilettura dei processi di rilegittimazione politica, Mimesis, Milano-Udine, 2020, pp. 80-81;
[19] G. Bateson, Verso un’ecologia della mente, Adelphi, Milano, 2000, p. 19.
[20] Ibid., p. 20.
[21] G. Bateson, Verso un’ecologia della mente, cit., p. 20, che pone la questione, in termini interrogativi, tra le problematiche affrontate nel saggio.
[22] F. Benvenuti, Appunti di diritto amministrativo, Parte generale, Cedam, 1987, p. 8.
[23] G. Rossi (a cura di), Diritto dell’ambiente, Torino, 2008, p. 3.
[24] Q. Camerlengo, Natura e potere, cit., pp. 9 ss.
[25] Ibid., pp. 105-106.
[26] Ibid.
[27] Ibid., pp. 68 ss., 12 ss., 73 ss.
[28] Cfr. ibid., pp. 9 ss., 98 ss. Si tratta, in particolare, della Costituzione dell’Ecuador del 2008, che celebra “la naturaleza, la Pacha Mama, de la que somos parte y que es vital para nuestra existencia” e riconosce diritti alla natura, configurando la Pacha Mama come autentico soggetto giuridico; e della Costituzione boliviana del 2009, sia pure i termini più mitigati. Tali Costituzioni – secondo l’A. citato - «non hanno fatto altro che riconoscere la vitalità di un processodirovesciamento del rapporto tra natura e uomo che è già nei fatti, e che solo uno sguardo miope e ottuso impedisce di cogliere».
[29] Q. Camerlengo, Natura e potere, cit., p. 10.
[30] Ibid., p. 109.
[31] Ibid., p. 109.
[32] M. Carducci, La costituzione come “ecosistema” nel nuevo costitucionalismo delle Ande”, in S. Bagni (a cura di), Dallo Stato del biene star allo Stato del bien vivir. Innovazione e tradizione nel costituzionalismo latino-americano, Filodiritto, Bologna, 2013, pp. 11 ss.
[33]Ibid.; Q. Camerlengo, Natura e potere, cit., pp. 11 ss.,69 ss.,93 ss., 116 ss., che in particolare evidenzia come il potere legittimato dal consenso popolare abbia «mostrato segni d cedimento sempre più visibili in tutti i Paesi democratici» (pp. 96 ss.) e ipotizza un «rovesciamento di paradigma, dove persino la sovranità popolare è rimodellata in funzione di tutela dell’ambiente» (p. 109).
[34] Principio 21 della «Dichiarazione di Stoccolma» del 1972, ripreso dal principio 2 della «Dichiarazione di Rio» del 1992.
[35] Dichiarazione conclusiva del Summit dei capi di Stato e di Governo dei Paesi membri della Comunità tenutosi a Parigi nel 1972, che diede l’input alla prima risoluzione del Consiglio del 10 aprile 1973 per l’istituzione di un programma di azione comunitaria in materia di ambiente, nel quale venivano definiti i principi che avrebbero poi dettato lo sviluppo delle politiche ambientali future in Europa.
[36] Nella versione originaria, l’art. 2 stabiliva: «La Comunità ha il compito di promuovere, mediante l’instaurazione di un mercato comune e il graduale ravvicinamento delle politiche economiche degli Stati membri, uno sviluppo armonioso delle attività economiche nell’insieme della Comunità, un’espansione continua ed equilibrata, una stabilità accresciuta, un miglioramento sempre più rapido del tenore di vita e più strette relazioni fra gli Stati che ad essa partecipano».
[37] Dichiarazione del Consiglio delle Comunità europee e dei rappresentanti dei governi degli Stati membri riuniti in sede di Consiglio del 22 novembre 1973, concernente un programma di azione delle Comunità europee in materia ambientale.
[38] Con la risoluzione del Consiglio e dei rappresentanti dei governi degli Stati membri, riuniti in sede di Consiglio del 17 maggio 1977; nonché la successiva risoluzione adottata in sede di Consiglio il 7 febbraio 1983.
[39]Direttiva quadro 75/442/CEE, la successiva direttiva 78/319/CEE, relativa ai rifiuti tossici e nocivi, nonché quella sul trasporto transfrontaliero: direttiva 84/631/CEE del Consiglio, del 6 dicembre 1984, relativa alla sorveglianza ed al controllo all’interno della Comunità delle spedizioni transfrontaliere di rifiuti pericolosi, modificata dalla direttiva 85/469/CEE del 22 luglio 1985, dalla direttiva 86/279/CEE del Consiglio, del 12 giugno 1986, e dalla direttiva 87/112/CEE della Commissione, del 23 dicembre 1986, infine abrogata dal Regolamento (CEE) n. 259/93 del Consiglio, del 1° febbraio 1993, relativo alla sorveglianza e al controllo delle spedizioni di rifiuti all’interno della Comunità europea, nonché in entrata e in uscita dal suo territorio. Attualmente la spedizione dei rifiuti è disciplinata dal Regolamento (CE) n. 1013/2006 del Parlamento europeo e del Consiglio del 14 giugno 2006.
[40] Cfr. Corte Giust. CE, 20 febbraio 1979, in causa C-120/78, Cassis De Dijon, in Racc. 1979, p. 649, che annovera la «protezione della salute pubblica» tra le «esigenze imperative», in base alle quali possono giustificarsi restrizioni alla libera circolazione delle merci. Nella Comunicazione della Commissione sulle conseguenze della sentenza emessa dalla Corte di giustizia delle Comunità Europee, il 20 febbraio 1979, nella causa 120/78 («Cassis de Dijon»), in GUCE, n. C 256 del 3 ottobre 1980, le «esigenze imperative» sono state interpretate estensivamente, affiancando alla tutela dei consumatori e alla tutela della salute uno specifico riferimento alla tutela dell’ambiente. Su tale linea, Corte giust. CE, 7 febbraio 1985, in causa C-240/83, ADBHU, in Racc., 1985, p. 531, in materia di oli usati, in cui si afferma che «la tutela dell’ambiente costituisce uno degli scopi essenziale della Comunità», in virtù del quale possono essere adottate misure restrittive della libertà di scambi intracomunitari, purché non discriminatorie e non eccedenti il limite della proporzionalità; Id., 20 settembre 1988, in causa C-302/86, Commissione c. Danimarca, in Racc., 1988, p. 4607, in materia di imballaggi per birre e bibite, che riconosce la tutela ambientale come una di quelle «esigenze imperative» che consentono ai singoli Stati membri di derogare al principio della libera circolazione delle merci, ovvero come causa di giustificazione di misure nazionali restrittive degli scambi.
[41] Corte giust. CE, 7 febbraio 1985, in causa C-240/83, ADBHU, cit.; Id., 20 settembre 1988, in causa C-302/86, Commissione c. Danimarca, cit.
[42] L’Atto Unico Europeo (AUE) ha modificato e integrato il Trattato CEE, con l’inserimento nella parte III di un titolo VII, dedicato all’ambiente (art. 130R, 130S e 130T), in particolare, assegnando all’azione della Comunità il compito di «salvaguardare, proteggere e migliorare la qualità dell’ambiente; di contribuire alla protezione della salute umana; di garantire un’utilizzazione accorta e razionale delle risorse naturali». Per un’analisi dei principi di diritto ambientale europeo, cfr. M. Renna, I principi in materia di tutela dell’ambiente, in Riv. quadr. dir. amb., 1-2 (2012), p. 62 ss.;N. Olivetti Rason, La disciplina dell’ambiente nella pluralità degli ordinamenti giuridici,inA. Crosetti, R. Ferrara, F. Fracchia, N. Olivetti Rason, Diritto dell’ambiente, Laterza, Roma, 2008, p. 3; R. Macrory, I. Havercroft, R. Purdy, Principles of European Environmental Law, Europa Law Publishing, Groningen,2004; N. de Sadeleer, Environmental Principles (S. Leubusher trans.), Oxford, 2002, p. 305; G. Cordini, Diritto ambientale comparato, Cedam, Padova, 2002, p. 177; L. Kramer, Manuale di diritto comunitario per l’ambiente, Giuffrè, Milano, 2002, pp. 83 ss.; F. Fonderico, La tutela dell’ambiente, in S. Cassese (a cura di), Trattato di diritto amministrativo, Diritto amministrativo speciale, II, Giuffrè,Milano, 2000, pp. 1527 ss.
[43] Lo sviluppo sostenibile è posto al centro del quinto programma d’azione comunitaria, adottato con la Risoluzione del Consiglio e dei rappresentanti dei governi degli Stati membri, riuniti in sede di Consiglio, del 1º febbraio 1993. Sul principio di sviluppo sostenibile, in un’ampia letteratura, T.F.H. Allen, J.A. Tainer, T.W. Hookstra, Supply-Side Sustainability, Columbia University Press, New York, 2003, pp. 12 ss.; F. Fracchia,Il principio dello sviluppo sostenibile, in M. Renna, F. Saitta (a cura di),Studi sui principi del diritto amministrativo, Giuffrè,Milano, 2012; Id., Sviluppo sostenibile e diritti delle generazioni future, in Riv. quad. diritto dell’ambiente, 0 (2010), p. 13;Id.,Lo sviluppo sostenibile, Editoriale Scientifica, Napoli, 2010;M. Cafagno, Principio dello sviluppo sostenibile - Articolo 3-quater, in AA.VV.,Codice ambientale, Giuffrè, Milano, 2008, p. 87; V. Lowe, Sustainable Developments and Unsustainable Argoments, in A. Boyle, D. Freestone (a cura di), International Law and Sustainable Development: Past Achievements and Future Challenges, Oxford University Press, Oxford, 1999, p. 26; C.W. Pinto,Reflection on the Term Sustainable Development and its Institutional Implications, in K. Ginther, E. Denters, P.J.I.M. Waart (a cura di), Sustainable Development and Good Governance, Kluwer Academic, Boston, 1995, pp. 72-73.
[44] Sul passaggio lessicale da “azione” a “politica”, che implica una presenza strategica delle istituzioni comunitarie in materia, M.P. Chiti, Ambiente e “costituzione” europea: alcuni nodi problematici, in S. Grassi, M. Cecchetti, A. Andronio (a cura di), Ambiente e diritto, Olschki, Firenze, 1999, I, p. 13.
[45] Sul principio di precauzione, cfr. F. De Leonardis, Il principio di precauzione, in M. Renna, F. Saitta (a cura di), Studi sui principi del diritto amministrativo, cit., pp. 413 ss.; Id., Il principio di precauzione nell’amministrazione di rischio, Giuffrè, Milano, 2005; Id., Tra precauzione e ragionevolezza, in www.federalismi.it; I.M. Marino, Aspetti propedeutici del principio giuridico di precauzione,in Studi in onore di A. Romano,Napoli, 2011, III, pp. 2177 ss.; P. Savona, Dal pericolo al rischio: l’anticipazione dell’intervento pubblico, in Dir. amm., 2 (2010), pp. 355 ss.
[46] Cfr. B. Caravita, Diritto dell’ambiente, Il Mulino, Bologna, 2005, p. 73. Sull’evoluzione della politica ambientale europea, cfr. C. Plaza Martin, Derecho ambiental de la Uniòn Europe, Tirant lo Blanch, Valencia, 2005; P.G.G. Davies, European Union environmental law: an introduction to key selected issues, Aldershot (England), Ashgate, 2004; P. Dell’Anno, Principi del diritto ambientale europeo e nazionale, Giuffrè, Milano, 2004; A. Kiss, Manual of European Environmental Law, Cambridge University Press, Cambridge, 1997.
[47] Nella versione consolidata, l’art. 3 TUE prevede: «L’Unione instaura un mercato interno. Si adopera per lo sviluppo sostenibile dell’Europa, basato su una crescita economica equilibrata e sulla stabilità dei prezzi, su un’economia sociale di mercato fortemente competitiva, che mira alla piena occupazione e al progresso sociale, e su un elevato livello di tutela e di miglioramento della qualità dell’ambiente». A sua volta, l’articolo 191, paragrafo 2, del TFUE (ex art. 174 TCE) prevede: «La politica dell’Unione in materia ambientale mira a un elevato livello di tutela, tenendo conto della diversità delle situazioni nelle varie regioni dell’Unione».
[48] Conclusioni della Presidenza – Consiglio europeo di Göteborg, 15-16 giugno 2001, paragrafi 19-32. Cfr. COM (2001) 264 DEF, Comunicazione della Commissione, «Sviluppo sostenibile in Europa per un mondo migliore: strategia dell’Unione europea per lo sviluppo sostenibile» (Proposta della Commissione per il Consiglio europeo di Göteborg).
[49] Formulata nel 2000 e incentrata sulla promozione della crescita e la creazione di posti di lavoro mediante l’aumento della competitività dell’Unione europea.
[50] Il programma, denominato «Ambiente 2010: il nostro futuro, la nostra scelta», è stato introdotto con la decisione n. 1600/2002/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 22 luglio 2002. Tale programma ha definito gli assi prioritari dell’approccio strategico dell’Unione europea per un periodo di dieci anni a decorrere dal 22 luglio 2002 all’interno di quattro settori d’intervento: cambiamenti climatici, natura e biodiversità, salute, risorse naturali e rifiuti.
[51] L’accordo di Parigi stabilisce un quadro di regole per evitare pericolosi cambiamenti climatici, limitando il riscaldamento globale ben al di sotto di 2°C, e proseguendo negli sforzi per limitarlo a 1,5°C. Tale accordo è un ponte tra le politiche odierne e la neutralità rispetto al clima entro la fine del secolo. Il pacchetto di Katowice, adottato in occasione della conferenza delle Nazioni Unite sul clima (COP24) nel dicembre 2018, contiene norme, procedure e orientamenti comuni per rendere operativo l’accordo di Parigi.
[52] Tale programma è stato sottoscritto nel 2015 dai governi di 193 paesi membri delle Nazioni Unite
[53] Cfr., Nazioni Unite, Obiettivi per lo Sviluppo sostenibile, in https://unric.org/it/agenda-2030/
[54] La Carta dei diritti dell'Unione europea è stata proclamata a Nizza il 7 dicembre 2000 dal Consiglio d'Europa. Il Trattato di Lisbona, entrato in vigore il 1° dicembre 2009, sebbene non abbia incorporato il testo della Carta dei diritti, la include sotto forma di allegato, conferendole così carattere giuridicamente vincolante all'interno dell'ordinamento dell'Unione, secondo quanto disposto dall'art. 6: "L'Unione riconosce i diritti, le libertà e i principi sanciti nella Carta dei diritti fondamentali dell'Unione europea del 7 dicembre 2000, adottata il 12 dicembre 2007 a Strasburgo, che ha lo stesso valore giuridico dei trattati".
[55] Cfr. T. Groppi, Sostenibilità e costituzioni: lo Stato costituzionale alla prova del futuro, in Dir. pubbl. comp. europeo, 1 (2016), p. 52, in cui si rileva che «A partire dal secondo dopoguerra la vocazione al futuro delle costituzioni è ulteriormente enfatizzata dalla presenza di norme programmatiche, che, pur sprovviste di immediata efficacia autoapplicativa, sono comunque dotate di carattere prescrittivo e, come tali, suscettibili di vincolare il legislatore, pena la incostituzionalità delle sue decisioni». In arg., Senato della Repubblica, Servizio studi, Ufficio ricerche su questioni istituzionali, di giustizia e cultura, Dossier del 23 settembre 2021, n. 405/1, cit., 23 ss., con una rassegna delle norme costituzionali a protezione dell’ambiente nei diversi stati membri dell’Unione europea.
[56] Si veda, ad esempio, la Costituzione estone, adottata in base all’art 1 della Costituzione entrata in vigore nel 1938, con referendum del 28 giugno 1992 (come precisato nel preambolo della stessa), che, all’art. 53, prevede che «Everyone shall be obligated to preserve human and natural environment and to compensate for damages caused by him or her to the environment. The procedures for compensation shall be determined by law».
[57] La Costituzione del Belgio, il cui testo, risalente al 7 febbraio 1831, è stato più volte emendato, e completamente revisionato e coordinato nel 1994, all’art. 23 dispone che «Tutti hanno diritto di condurre una vita conforme alla dignità umana. A tal fine la legge, il decreto o l'atto normativo di cui all'art. 134 garantiscono, tenendo conto delle corrispondenti obbligazioni, i diritti economici, sociali e culturali e determinano le condizioni del loro esercizio. In particolare, questi diritti comprendono: [...] 4) il diritto alla protezione di un ambiente salubre»
[58]Sul tema, tra gli altri, F. Luchaire, Brèves remarques sur une création du Conseil constitutionnel: l’objectif de valeur constitutionnelle, in Rev. Franç. dr. const., 4 (2005), pp. 675 ss.; V. Cavanna, Ambiente e salute: obiettivi di valore costituzionale da tutelare anche oltre le frontiere nazionali, nota a Conseil Constitutionnel dec. n. 2019-823 QPC del 31 gennaio 2020, in Corti supreme e salute, 3 (2020), p. 573.
[59] Sul punto, R. Ferrara, La protezione dell’ambiente nella Repubblica federale tedesca: tendenze evolutive, in Foro it., V (1987), p. 21, in cui si evidenzia che il caso tedesco era caratterizzato da una «certa ansia collettiva, anzitutto psicologica, e persino esistenziale» che pervadeva larghi strati della popolazione, come comprovato non solo dai servizi e dagli interventi, frequentissimi, della stampa quotidiana e periodica tedesca, ma anche dalle riflessioni della dottrina e della giurisprudenza, e in particolare dal fiorire degli studi sull’Umweltschutzrechte dalla possibilità di configurarlo come autonomo e originale Resctsgebiet. Peraltro, come ricordato dallo stesso A., aveva fatto irruzione sullo scenario politico tedesco una forza politica specifica che aveva fatto della tutela ambientale (e del pacifismo) il proprio programma d’azione.
[60] Ibid, pp. 22 ss.
[61] In arg., ibid., p. 23.
[62] Articolo inserito dalla Legge di modifica del 27 ottobre 1994, I 3146 e successivamente novellato dalla Legge per la modifica della Legge fondamentale (Finalità pubblica della protezione degli animali) del 26 luglio 2002, I 2862.
[63] Sull’evoluzione dei doveri statali di protezione, W. Kahl, Klimaschutz und Grundrechte, in JURA - Juristische Ausbildung, 2 (2021), 43, pp. 117 ss.; https://doi.org/10.1515/jura-2020-2727.
[64] BVerfG, sent. 24.3.2021, Az. 1 BvR 2656/18, NJW 74 (2021), 1723-1751 (Rn. 219 ss.).
[65] Secondo il gruppo dei ricorrenti, costituito per lo più da soggetti molto giovani, oltre a due associazioni ambientaliste e ad alcuni soggetti originari del Bangladesh e del Nepal, le misure adottate dallo stato tedesco sono insufficienti per raggiungere gli obiettivi di riduzione di CO2 e mantenere il riscaldamento globale entro il tetto massimo di 1,5°C o 2°C, come previsto nell’Accordo di Parigi, con il rischio di mettere in pericolo milioni di vite umane, con conseguenze imprevedibili per il sistema climatico. Il ricorso è fondato sugli obblighi di protezione dello Stato e, per il periodo successivo al 2030, più in generale sulle libertà garantite dal Grundgesetz (GG). Sul tema, J. Jhan, Rafforzare la tutela dell’ambiente grazie alle corti costituzionali nazionali? Commento alla sentenza sul clima del BVerfG, in Corti supreme e salute, 1 (2022), pp. 50 ss.; M. T. Roerig, Corte costituzionale, Servizio studi Area Diritto Comparato, Germania, Tribunale costituzionale federale, ordinanza del 24 marzo 2021 (1 BvR 2656/18, 1 BvR 96/20, 1 BvR 78/20, 1 BvR 288/20, 1 BvR 96/20, 1 BvR 78/20), in merito alla tutela del clima e alla riduzione delle emissioni; A. De Petirs, Protezione del clima e dimensione intertemporale dei diritti fondamentali, in Riv. Interdisciplinare Dir. Amm. Pubbliche, 4 (2021), pp. 127 ss.; M. Carducci, Libertà “climaticamente” condizionate e governo del tempo nella sentenza del BVerfG del 24 marzo 2021, in lacostituzione.info.
[66] Nell’ambito del controllo di costituzionalità, svolto nel quadro dell’art. 2, co. 1 della Legge fondamentale, il BVerfG ha fatto riferimento all’art. 20a, che tutela i «fondamenti naturali della vita» (natürliche Lebensgrundlagen) delle generazioni attuali e future, come parametro oggettivo di controllo del Klimaschutzgesetz e ha ritenuto che tale disposizione obblighi le autorità nazionali anche alla tutela del clima. Il legislatore, pur dotato di un margine di discrezionalità nella definizione delle misure di riduzione delle emissioni, deve tener conto delle conoscenze scientifiche attuali, e delle previsioni attendibili di futuri danni ambientali gravi e irreversibili. Il BVerfG ritiene che il legislatore non abbia violato questo obbligo e non riconosce una pretesa costituzionale basata sugli art. 2, co. 2, e 14, in ordine alla limitazione dell’aumento della temperatura globale media entro i 1,5°C. In arg., J. Jhan, Rafforzare la tutela dell’ambiente grazie alle corti costituzionali nazionali?, cit., pp. 51 ss.
[67] Cfr. R. Bin, Il disegno costituzionale, in http://www.robertobin.it/ARTICOLI/Ambiente_e_lavoro.pdf, in cui si evidenzia che la «sentenza tedesca, al contrario per esempio della sentenza del Tribunale di Parigi di pochi mesi prima impernia il suo ragionamento non tanto sul rispetto degli obblighi assunti a livello internazionale, ma sulla tutela di un diritto costituzionale delle future generazioni» e si rileva che «il gioco è facilitato dal testo del Grundgesetz, in cui nel 2002 è stata introdotta una specifica previsione dell’obbligo dello Stato di proteggere l’ambiente naturale «anche come responsabilità nei confronti delle generazioni future» (art. 20a). Ma è soprattutto lo strumento processuale del Verfassungsbeschwerde a consentire che questioni ambientali di tale peso possano arrivare al giudizio del giudice costituzionale, a cui altrimenti è molto più complicato accedere: come mostra il caso Friends of the environnement CLG giudicato dalla Corte costituzionale irlandese, in cui la difficoltà di “derivare” i diritti ad un ambiente sano dai diritti alla vita e all’integrità fisica si somma alla mancanza di legittimazione delle associazioni ambientalistiche a far valere diritti così strettamente legati all’individuo».
[68] Cfr. H. P. Aust, Klimaschutz aus Karlsruhe. Was verlangt der Beschluss vom Gesetzgeber?, in Verfassungsblog, 5.5.2021; A. De Petirs, Protezione del clima e dimensione intertemporale dei diritti fondamentali, cit., p. 132; J. Jhan, Rafforzare la tutela dell’ambiente grazie alle corti costituzionali nazionali, cit., p. 53, partic. nota (25), in cui si sottolinea che, in dottrina, la sentenza «è stata accolta con largo favore” e che anche la reazione della politica è stata «sorprendentemente positiva».
[69] Cass., sez. un., 9 marzo 1979, n. 1463, in Foro it., (1979), I, pp. 939 ss., con nota di G. Berti, In una causa con l’Enel la Cassazione mette in penombra lo Stato di diritto, ivi, p. 2909.
[70] Cass., sez. un., 6 ottobre 1979, n. 5172, in Rass. giur. Enel, (1979), pp. 770 ss.
[71] C. Cost., 28 maggio 1987, n. 210, in giurcost.org.; Id., 30 dicembre 1987, n. 641, ivi; Id. 14 luglio 1988, n. 800, ivi, in cui si definisce l’ambiente come «bene immateriale unitario».
[72] Id., 3 ottobre 1990, n. 430, ivi.
[73] Id., 11 luglio 1989, n. 391, ivi.
[74] Id., 30 dicembre 1987, n. 641, cit.; Id., 16 marzo 1990, n. 127, ivi.
[75] Ibid.; Id., 27 giugno 1986, n. 151, giurcost.org.; Id., 16 marzo 1990, n. 127, cit.
[76] La “primarietà” dell’ambiente non implica una incondizionata supremazia, ma prescrive piuttosto alle istituzioni di assicurare che il valore ambientale non sia indebitamente pretermesso dai processi valutativi e che, viceversa, sia attentamente ponderato, nell’economia di operazioni di composizione che, come tali, possono approdare a conclusioni volta per volta differenti, in rapporto al peso relativo degli interessi in gioco. Sul tema, tra molti, D. Amirante, Profili di diritto costituzionale dell’ambiente, in P. Dell’Anno, E. Picozza (a cura di), Trattato di diritto dell’ambiente, vol. I, 2012, p. 253 s.; G. Caia, La gestione dell'ambiente: principi di semplificazione e di coordinamento, in S. Grassi, M. Cecchetti, A. Andronio, Firenze, (a cura di), Ambiente e diritto, Leo S. Olschki ed., 1999, pp. 237 ss.
[77] Id., 29 dicembre 1988, n. 1146, in giurcost.org.
[78] Id., 9 maggio 2013, n. 85, ivi, dove si rileva che «La Costituzione italiana, come le altre Costituzioni democratiche e pluraliste contemporanee, richiede un continuo e vicendevole bilanciamento tra princìpi e diritti fondamentali, senza pretese di assolutezza per nessuno di essi. La qualificazione come "primari” dei valori dell’ambiente e della salute significa pertanto che gli stessi non possono essere sacrificati ad altri interessi, ancorché costituzionalmente tutelati, non già che gli stessi siano posti alla sommità di un ordine gerarchico assoluto. Il punto di equilibrio, proprio perché dinamico e non prefissato in anticipo, deve essere valutato – dal legislatore nella statuizione delle norme e dal giudice delle leggi in sede di controllo – secondo criteri di proporzionalità e di ragionevolezza, tali da non consentire un sacrificio del loro nucleo essenziale».
[79] Cfr. Q. Camerlengo, Natura e potere, cit., pp. 11, 85, per il quale «si ricorre all’analisi costi-benefici per giustificare azioni di grandissimo impatto sull’ambiente, senza rendersi conto dei tanti limiti di questo approccio, primo tra tutti la centralità pur sempre assunta dalla misura economica degli interventi».
[80] Id., 26 luglio 2002, n. 407, in giurcost.org; Id., 20 dicembre 2002, n. 536, ivi; Id., 1 ottobre 2003, n. 303, ivi; Id., 7 ottobre 2003, n. 307, ivi.
[81] G. Berti, Il rapporto ambientale, in Amministrare, XVII (1987), 2, p. 176.
[82] Cfr. A. M. Sandulli, La tutela del paesaggio nella Costituzione, in Riv. Giur. Edilizia, II (1967), pp. 72 ss.; nonché C. Cost., 24 luglio 1972, n. 141, in giurcost.org, che fa riferimento alla «conservazione e valorizzazione delle bellezze naturali d'insieme e cioè di quelle località il cui caratteristico aspetto abbia valore estetico e tradizionale, e delle bellezze panoramiche considerate come quadri naturali». Tale concezione, riconducibile alla c.d. teoria della cristallizzazione o della «pietrificazione», era improntata sulla l. n. 1497 del 1939, ora abrogata, che faceva riferimento alle bellezze naturali e ne assicurava la tutela «a causa del loro notevole interesse pubblico» (art.1).
[83] A. Predieri, Significato della norma costituzionale sulla tutela del paesaggio, in Studi per il XX Anniversario dell’Assemblea Costituente, vol. II, Le libertà civili e politiche, Firenze, Vallecchi, 1969, p. 387; Id., Paesaggio, in Enc. Dir., Milano, 1981, XXXI, pp. 506 ss.
[84] Cfr. ibid.
[85] C. Cost., 29 dicembre 1982, n. 239, in giurcost.org; Id., 27 giugno 1986, n. 151, cit.
[86] Ibid.
[87] Id.,7 novembre 2007, n. 367, in giurcost.org.
[88] Cfr. G. Alpa, Dalla tutela dell’ambiente al riconoscimento della “natura” come soggetto di diritto. Una rivisitazione delle categorie del diritto civile?, in Riv. it. scienze giuridiche, (2020), p. 8, in cui si pone il problema della correlazione dei concetti di ambiente e paesaggio: «Si tratta, per rappresentarla in modo visuale, di una sovrapposizione di cerchi, sì che i due concetti sono concentrici, e i due termini perfettamente omologhi, oppure no?». L’A. rileva che sia la Corte di cassazione sia la Corte costituzionale «fanno mostra di non dare soverchia importanza alla terminologia».
[89] C. Cost., 1 aprile 1998, 85, in giurcost.org; nello stesso senso, Id., 27 luglio 2000, n. 378, in Urb. appalti, (2000), p. 1183; Id., 26 novembre 2002, n. 478, in Foro it., I (2003), p. 1976.
[90] V. supra, § 3
[91] V. supra, § 3.
[92] G. Berti, Interpretazione costituzionale, cit., p. 486.
[93] Art. 1, comma 2.
[94] C. Cost., 16 luglio 2019, n. 179, in giurcost.org. In una successiva decisione, la Corte ha inoltre osservato che «la tutela paesistico-ambientale non è più una disciplina confinata nell’ambito nazionale; ciò soprattutto in considerazione della Convenzione europea del paesaggio, adottata a Strasburgo dal Comitato dei Ministri del Consiglio d’Europa il 19 luglio 2000 e ratificata con legge del 9 gennaio 2006, n. 14, secondo cui il concetto di tutela collega indissolubilmente la gestione del territorio all’apporto delle popolazioni. In questa prospettiva la cura del paesaggio riguarda l’intero territorio, anche quando degradato o apparentemente privo di pregio»: C. Cost., 24 aprile 2020, n. 71, in giurcost.org. Sul tema, G. F. Cartei (a cura di), Convenzione europea del paesaggio e governo del territorio, Bologna, 2007, pp. 135 ss.
[95] V. supra, § 2. Sul tema, A. D'Aloia, Generazioni future (dir. cost.), in Enc. dir., vol. IX, 2016, pp. 311 ss.; Id., Costituzione e protezione delle generazioni future? in F. Ciaramelli, F. Menga (a cura di), Responsabilità verso le generazioni future, Napoli, 2017, pp. 293 ss.
[96] Sul tema, sia consentito rinviare a D. Iacovelli, Rifiuti e mercato nell’economia circolare, cit., p. 173 ss.
[97] United Nation, Our Common Future (Brundtland Report), Report of the World Commission on Environment and Development, 20 marzo 1987, Transmitted to the General Assembly as an Annex to document A/42/427 - Development and International Cooperation: Environment, in https://sustainabledevelopment.un.org/content/documents/5987our-common-future.pdf.
[98] Commissione europea, 11 dicembre 2019, COM(2019) 640 final, Il Green Deal europeo, che contiene «una nuova strategia di crescita mirata a trasformare l'UE in una società giusta e prospera, dotata di un'economia moderna, efficiente sotto il profilo delle risorse e competitiva che nel 2050 non genererà emissioni nette di gas a effetto serra e in cui la crescita economica sarà dissociata dall'uso delle risorse».
[99] Q. Camerlengo, Natura e potere, cit., p. 108, dove si evidenzia che le «decisioni economiche sono diffusamente condizionate dalle determinazioni assunte dalle istituzioni politiche, che in tal modo esprimono il loro potere anche nei riguardi dei processi di produzione e di scambio».
[100] Cfr. ASViS, Le future generazioni fanno il loro ingresso nella Costituzione, in Asvis.it, 20 maggio 2021, in https://asvis.it/notizie-sull-alleanza/19-9822/le-future-generazioni-fanno-il-loro-ingresso-nella-costituzione, in cui si rileva che nel corso della discussione sul progetto di riforma, che ha visto l’accorpamento di otto disegni di legge sul tema, iniziata a ottobre del 2019, si sono svolte «numerose audizioni informali di costituzionalisti che hanno contribuito a comparare la situazione italiana con quella di altri Paesi facendo emergere l’importanza del fatto che anche la nostra Costituzione contenesse un riferimento seppur indiretto al concetto di sviluppo sostenibile attraverso l’idea della necessità di tutelare le generazioni future». In arg., L. Bartolucci, Il più recente cammino delle generazioni future nel diritto costituzionale, in AIC, Osservatorio costituzionale, 4 (6 luglio 2021), p. 215, partic. nota (10).
[101] I. Ciolli, Diritto delle generazioni future, equità intergenerazionale e sostenibilità del debito. Riflessioni sul tema, in Bilancio, comunità persona, 1 (2021), p. 55. Si veda anche, Id., T. Groppi, Sostenibilità e costituzioni: lo Stato costituzionale alla prova del futuro, in Dir. pubbl. comp. europeo, 1 (2016), pp. 199 ss. Sull’idea di costituzione come “promessa per il futuro”, M. Hartwig, La Costituzione come promessa per il futuro, R. Bifulco, A. D'Aloia (a cura di), Un diritto per il futuro. Teorie e modelli dello sviluppo sostenibile e della responsabilità intergenerazionale, Napoli, 2008, pp. 59 ss; M. Luciani, Dottrina del moto delle Costituzioni e vicende della Costituzione repubblicana, in Rivista AIC, 1 (2013), p. 1, in cui osserva che «solo la Costituzione ambisce a prescrivere le regole del gioco di un ordinamento che vivrà come tale solo perché́ e fino a che quelle regole, dettate da quella Costituzione, nella sua specifica identità sostanziale, dureranno». Lo stesso A. rileva che «si tratta di un’ambizione destinata ad essere sempre logicamente soddisfatta: l’ordinamento e la “sua” costituzione stanno e cadono assieme, sicché la morte di una costituzione e la morte dell’ordinamento che ne è fondato non possono essere distinte».
[102] G. Berti, Interpretazione costituzionale, cit., p. 40.
[103] Cfr. I. Ciolli, Diritto delle generazioni future, equità intergenerazionale e sostenibilità del debito, cit., pp. 54 ss., in cui evidenzia che «Sul tempo nel diritto e in particolare nel diritto costituzionale si è soffermato anche Peter Häberle, il quale ricostruisce lo stesso concetto di popolo in modo diacronico, come elemento unitario ed ideale che assomma in sé varie generazioni, presenti, passate e future»: P. Häberle, Zeit und Verfassung, in Verfassung als öffentlicher Prozeß. Materialen zu einer Verfassungstheorie der offenen Gesellschaft, Berlin, Duncker & Humblot, 1974, pp. 59-92.
[104] R. Bifulco, Futuro e Costituzione. Premesse per uno studio sulla responsabilità verso le generazioni future, in AA.VV., Studi in onore di Gianni Ferrara, vol. I, Torino, 2005, p. 297; nello stesso senso, I. Ciolli, Diritto delle generazioni future, equità intergenerazionale e sostenibilità del debito. Riflessioni sul tema, cit., p. 54.
[105] M. Luciani, Generazioni future, distribuzione temporale della spesa pubblica e vincoli costituzionali, in Dir. società, (2008), p. 425, per il quale i diritto non possono che essere riconosciuti alle generazioni presenti; F. Rescigno, Quale riforma per l’articolo 9?, in federalismi.it, (23 giugno 2021), p. 4, secondo la quale «l’aspetto decisamente meno convincente è il richiamo “anche nell’interesse delle future generazioni”, è un inciso alquanto fumoso, anche rispetto a chi? Alle generazioni attuali o all’ambiente stesso? Quali future generazioni? È un’ambiguità che suscita confusione rispetto agli stessi interessi umani e dimostra al contempo un’impostazione marcatamente antropocentrica».
[106] Cfr. I. Ciolli, Diritto delle generazioni future, equità intergenerazionale e sostenibilità del debito. Riflessioni sul tema, in Bilancio, comunità persona, 1 (2021), p. 55.
[107] G. Alpa, Dalla tutela dell’ambiente al riconoscimento della “natura” come soggetto di diritto. Una rivisitazione delle categorie del diritto civile?, cit., p. 8.
[108] In arg., I. Ciolli, Diritto delle generazioni future, equità intergenerazionale e sostenibilità del debito. Riflessioni sul tema, cit., p. 56.
[109] Si veda, da ultimo, Cons. St., ad. plen., 20 febbraio 2020, n. 6, in www.giustizia-amministrativa.it, in cui si rileva che gli «enti associativi esponenziali, iscritti nello speciale elenco delle associazioni rappresentative di utenti o consumatori oppure in possesso dei requisiti individuati dalla giurisprudenza, sono legittimati ad esperire azioni a tutela degli interessi legittimi collettivi di determinate comunità o categorie, e in particolare l'azione generale di annullamento in sede di giurisdizione amministrativa di legittimità, indipendentemente da un'espressa previsione di legge in tal senso» e si precisa che, fermi i presupposti individuati nel tempo dalla giurisprudenza, nessun dubbio debba porsi in ordine alla legittimazione delle associazioni, quando siano presenti, nella situazione giuridica azionata, tutti i tratti salienti dell'interesse collettivo. In altri termini, la legittimazione, per sussistere, deve riferirsi a un interesse originariamente diffuso, e quindi adespota, che, attenendo a beni a fruizione collettiva, si "personalizza" in capo a un ente esponenziale, munito di dati caratteri, ponendosi per tale via come interesse legittimo proprio dell'ente».
[110] G. Berti, Interpretazione costituzionale, cit., p. 102, dove inoltre si osserva che la stessa rappresentazione dogmatica dello stato persona giuridica, con l’idea di organo come parte dell’unità statuale, impediva di fatto il riconoscimento del «perpetuo formarsi e ripetersi di questa unità mediante appunto l’esercizio da parte degli organi della loro funzione di ricostruire e di verificare continuamente la funzionalità dell’organizzazione unitaria» (p. 103).
[111] Cfr. G. Berti, Interpretazione costituzionale, cit., pp. 12 ss., in cui si osserva che «gli interessi della collettività emergono nella luce della capacità soggettiva dello stato, e cioè in una sorta di relazione dialettica tra volontà del monarca e interessi o bisogni popolari, che vive e si riproduce sempre all’interno della capacità soggettiva dello stato. Il potere politico è dunque fonte delle regole e del diritto che avvolge la società, ma è a sua volta il frutto di un diritto soggettivo che spetta al monarca o allo stato secondo una ragione naturale».
[112] Ibid., p. 13, dove inoltre si osserva che «così continua la lotta tra il diritto naturale e il diritto positivo, destinata a non concludersi, ad onta delle apparenze o contingenti vittorie dell’uno sull’altro. Libertà dello stato e libertà dell’individuo si contrappongono alla fine come diritti soggettivi e come poteri, giacché anche il diritto soggettivo viene a presentarsi come volontà e quindi come potere».
[113] Cfr. T. Groppi, Sostenibilità e costituzioni: lo Stato costituzionale alla prova del futuro, cit., p. 47, in cui si evidenzia che la comparsa della sostenibilità «nel diritto costituzionale contemporaneo è da mettere in relazione con il fenomeno della “internazionalizzazione” delle costituzioni: si tratta infatti, così come per quella, strettamente correlata, di “generazioni future , di una nozione sviluppatasi nel diritto internazionale, e da qui migrata a quello costituzionale, approfittando della permeabilità delle costituzioni contemporanee alle influenze esterne».
[114] Cfr., tra gli altri, I. Ciolli, Diritto delle generazioni future, equità intergenerazionale e sostenibilità del debito. Riflessioni sul tema, cit., p. 58; L. Salvemini, Dal cambiamento climatico alla modifica della Costituzione: i passi per la tutela del futuro (non solo il nostro), in federalismi.it, 20 (11 agosto 2021), p. 71; F. Menga, L'emergenza del futuro. I destini del pianeta e le responsabilità del presente, Roma, 2021, p. 37.
[115] Legge 24 dicembre 2012, n. 231 (Conversione in legge, con modificazioni, del decreto-legge 3 dicembre 2012, n. 207, recante disposizioni urgenti a tutela della salute, dell’ambiente e dei livelli di occupazione, in caso di crisi di stabilimenti industriali di interesse strategico nazionale).
[116] C. Cost., 9 aprile 2013, n. 85, cit.
[117] Ibid., in senso conforme a C. Cost., 12 ottobre 2011, n. 264.
[118] Ibid.; nello stesso senso, Id., 24 marzo 2016, n. 63, ivi; Id. 28 novembre 2012, n. 264, ivi.
[119] C. Cost., 23 marzo 2018, n. 58, in giurcost.org. Nel caso di specie, il Giudice per le indagini preliminari del Tribunale ordinario di Taranto aveva sollevato questioni di legittimità costituzionale dell’art. 3 del decreto-legge 4 luglio 2015, n. 92 (Misure urgenti in materia di rifiuti e di autorizzazione integrata ambientale, nonché per l’esercizio dell’attività d’impresa di stabilimenti industriali di interesse strategico nazionale). Detta disposizione, al comma 1, prevedeva che al fine «di garantire il necessario bilanciamento tra le esigenze di continuità dell’attività produttiva, di salvaguardia dell’occupazione, della sicurezza sul luogo di lavoro, della salute e dell’ambiente salubre, nonché delle finalità di giustizia, l’esercizio dell’attività di impresa degli stabilimenti di interesse strategico nazionale non è impedito dal provvedimento di sequestro […] quando lo stesso si riferisca ad ipotesi di reato inerenti alla sicurezza dei lavoratori», specificando che ciò era già previsto dall’articolo 1, comma 4, del decreto-legge 3 dicembre 2012, n. 207 (Disposizioni urgenti a tutela della salute, dell’ambiente e dei livelli di occupazione, in caso di crisi di stabilimenti industriali di interesse strategico nazionale), convertito, con modificazioni, dalla legge 24 dicembre 2012, n. 231. Il comma 2 aggiungeva che tenuto conto della «rilevanza degli interessi in comparazione, nell’ipotesi di cui al comma 1, l’attività d’impresa non può protrarsi per un periodo di tempo superiore a 12 mesi dall’adozione del provvedimento di sequestro». Il successivo comma 3 stabilisce poi che per «la prosecuzione dell’attività degli stabilimenti di cui al comma 1, senza soluzione di continuità, l’impresa deve predisporre, nel termine perentorio di 30 giorni dall’adozione del provvedimento di sequestro, un piano recante misure e attività aggiuntive, anche di tipo provvisorio, per la tutela della sicurezza sui luoghi di lavoro, riferite all’impianto oggetto del provvedimento di sequestro».
[120] Muovendo da analoghe premesse, mentre nel caso affrontato dalla sentenza n. 85 del 2013, la Corte ha rigettato la questione di legittimità costituzionale, ritenendo che il legislatore avesse effettuato un ragionevole e proporzionato bilanciamento predisponendo la disciplina di cui all’art. 1, comma 4, del decreto-legge n. 207 del 2012, in quanto la prosecuzione dell’attività d’impresa era condizionata all’osservanza di specifici limiti, disposti in provvedimenti amministrativi e assistita dalla garanzia di una specifica disciplina di controllo e sanzionatoria; invece, nel caso oggetto della pronuncia n. 58/2018, la Corte ha ritenuto che il legislatore non avesse rispettato «l’esigenza di bilanciare in modo ragionevole e proporzionato tutti gli interessi costituzionali rilevanti, incorrendo in un vizio di illegittimità costituzionale per non aver tenuto in adeguata considerazione le esigenze di tutela della salute, sicurezza e incolumità dei lavoratori, a fronte di situazioni che espongono questi ultimi a rischio della stessa vita».
[121] C. Cost., 58/2018, cit.; nello stesso senso, Id., 29 ottobre 1999, n. 405, in giurcost.org; Id.,20 dicembre 1996, n. 399, ivi.
[122] M. Luciani, Audizione alla Camera dei deputati, 15 settembre 2011, in https://www.apertacontrada.it/wp-content/uploads/2012/03/ApertaContrada-Dossier-art.-41-Cost.pdf, p. 18.
[123] Ibid.
[124] Cfr. Q. Camerlengo, Natura e potere, cit., pp. 106-107, che, con riferimento alla clausola generale dell’utilità sociale e agli altri limiti enunciati nel secondo comma dell’art. 41, evidenzia che la Costituzione «parte da una premessa secondo cui l’iniziativa economica privata (svolta dagli uomini per gli uomini) è la regola e tutto ciò che grava su di essa, limitando la massimizzazione del profitto perseguita dall’imprenditore, è l’eccezione», rivelando «ancora una volta la deliberata dimensione ancillare o strumentale della natura al cospetto dei primari bisogni degli esseri umani».
[125] Sul punto, più ampiamente, D. Iacovelli, Rifiuti e mercato neell’economia circolare, cit., p. 93 ss., 173 ss.
[126] Cfr. supra, par. 3.
[127] Dal titolo dell’opera, Verso un’ecologia della mente, supra cit.
[128] G. Bateson, Mente e natura, Adelphi, Milano, 1984, p. 140. Si veda anche, Id., Verso un’ecologia della mente,cit., pp. 540-541, in cui l’A., rifacendosi a Ross Ashby, suppone che «qualsiasi sistema biologico (per esempio l’ambiente ecologico, la civiltà umana e il sistema che risulta dalla combinazione dei due) si possa descrivere in termini di variabili interconnesse, ciascuna delle quali abbia una soglia di tolleranza superiore e una inferiore, oltre le quali non possono non presentarsi disagi, patologie e da ultimo la morte. Entro questi limiti la variabile può modificarsi (e di fatto si modifica) per conseguire l’adattamento. Se, per effetto di qualche tensione, una variabile è obbligata ad assumere un valore prossimo al suo limite di tolleranza superiore o inferiore, diremo che il sistema è ‘alle strette’ rispetto a questa variabile, ovvero che manca di ‘flessibilità’ sotto questo aspetto. Ma, poiché le variabili sono interconnesse, se una variabile è alle strette, di solito le altre non possono essere modificate senza forzare la variabile alle strette». In casi estremi, prosegue l’A., «il sistema accetta solo quei mutamenti che modificano i limiti di tolleranza della variabile alle strette. Per esempio, una società sovrappopolata ricerca quei cambiamenti (aumento di cibo, nuove strade, più case, e così via) che possono rendere più accettabili le condizioni patologiche e patogene della sovrappopolazione. Ma proprio queste modificazioni ad hoc possono portare, alla lunga, a patologie ecologiche più fondamentali».
[129] G. Bateson, Mente e natura, cit., p. 141, per il quale, l’idea della «causalità circolare» - teorizzata per la prima volta da Norbert Wiener e forse da altri ingegneri che stavano lavorando sulla matematica di sistemi non viventi (cioè delle macchine) - si può spiegare attraverso, un esempio. Si immagini una macchina composta di quattro parti: “volano”, “regolatore”, “combustibile” e “cilindro”. La macchina è circolare, nel senso che il volano fa muovere il regolatore, e questo varia il flusso di combustibile che alimenta il cilindro, il quale a sua volta fa muovere il volano. Tale aspetto si può visualizzare, ad esempio, nel sistema di gestione dei rifiuti, pensato come un circuito in cui qualunque fase della catena del valore è funzionale a quella successiva, e ne diventa in un certo senso il motore: dalla raccolta differenziata, alla selezione dei rifiuti, al recupero o riciclo, alla reimmissione sul mercato. Ma se il ciclo si blocca in qualsiasi punto del percorso, questo influisce sulla capacità stessa di rigenerare le materie prime. Sul tema, sia consentito rinviare a D. Iacovelli, Rifiuti e mercato nell’economia circolare, cit., pp. 178 ss.
[130] G. Bateson, Mente e natura, cit., p. 142.
[131] Ibid., p. 142.
[132] F. De Leonardis, Economia circolare: saggio sui suoi tre diversi aspetti giuridici. Verso uno stato circolare?, in Dir. amm., 1 (2017), p. 163.
[133] M. Luciani, Audizione alla Camera dei deputati, cit., p. 18.
[134] G. Berti, Interpretazione costituzionale, cit., p. 385.
[135] I consumi delle pubbliche amministrazioni europee rappresentano una parte significativa del prodotto interno lordo, con un impatto variabile nel corso degli anni, stimato in misura pari al 14% del PIL nel 2017, secondo i dati riportati nella Comunicazione della Commissione COM 2017/572 (“Appalti pubblici efficaci in Europa per l’Europa”) e rappresentano quindi un elemento fondamentale del sistema economico.
[136] Sul tema, sia consentito rinviare a D. Iacovelli, Dagli appalti verdi agli appalti circolari, in M.A. Cabiddu, M. Colombo(a cura di), Appalti pubblici, 10, Resilienza dei territori, Progetti e soluzioni di sostenibilità energetica e ambientale, Il Sole 24ore, Milano, dicembre 2018, pp. 107 ss.
[137] Cfr. COM 2015/614, cit.
Iacovelli Danila
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