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Con la pronuncia in commento le Sezioni Unite della Corte di Cassazione si pronunciano sul dibattuto tema del regime di invalidità dei contratti stipulati a valle di un’intesa anticoncorrenziale di cui riproducono parte del contenuto. La soluzione fornita va ad implementare il catalogo delle “nullità speciali” esistenti nell’ordinamento, configurando, sulla base di una lettura estensiva, teleologica e sostanziale dell’art. 2 legge antitrust una nullità parziale e derivata da un collegamento funzionale tra atti non tutti aventi necessariamente natura negoziale. Più che “frantumare” la categoria della nullità, il Supremo Consesso sembra condivisibilmente declinare l’istituto in modo funzionale all’obiettivo perseguito dal legislatore: quello di evitare che venga ristretto, falsato o alterato il gioco della concorrenza.

La storia della reificazione dell’uomo è anche la storia della soggettività. Fintanto che la reificazione sarà qualcosa di dato (per natura, peccato, volontà, convenzione o prassi) instillato dall’esterno nel pensiero, per essere poi da questo “ri-prodotto” supinamente, di soggetto moderno si potrà parlare solo in modo improprio. Il che comporta la necessità di fissare precise distinzioni tra i vari modelli di reificazione dell’umano che si susseguono nella modernità (in senso cronologico), a partire da quelli in cui la riduzione a cosa del subiectum è sì un processo intellettuale – di immersione teorica, direbbero forse Lukács e Honneth – ma non quanto basta per sancire un’effettiva discontinuità rispetto al Medioevo. Il presente contributo, quindi, ha lo scopo di analizzare alcune tappe fondamentali del percorso della soggettività “moderna” sotto la speciale lente dei rapporti ideali (generati da vincoli reali) che l’uomo – per dirla con Rosmini – stringe con le cose e con le persone: luoghi topici, come si vedrà, dove la reificazione passa gradualmente dall’essere un prodotto della realtà empirica, modellato dal pensiero in figure più o meno coerenti, all’essere un prodotto logico del soggetto con potenza performativa, ossia capace perfino di trasformare la realtà di fatto, ora con limiti intellettivi e sensibili, ora senza.

Il saggio esamina, nella sua dimensione storica, la natura e l’efficacia dell’errore, di fatto e di diritto, nella sfera degli illeciti del diritto penale romano, privato e pubblico. L’esegesi dei frammenti delle opere retoriche e delle fonti giuridiche consente di portare alla luce la struttura polimorfa dell’istituto. La figura giuridica, a ben guardare, non è riconducibile a un’univoca categoria giuridica, ma assume una qualifica modulata sulla base della funzione svolta nel caso concreto (scusante, scriminante, esimente o causa di improcedibilità, per quanto riguarda l’error facti e l’error iuris; quest’ultimo, inoltre, può essere inquadrato anche come causa di remissione della pena o causa di concessione della venia), a seconda della prospettiva – ‘sostanziale’ o ‘processuale’ – adottata dal giurista.

Il saggio si incentra sull’esegesi di un frammento del Digesto giustinianeo tratto dal II libro dei Digesta di Alfeno Varo epitomati da Paolo (D.32.60.2 Alf. 2 dig. a Paul. epitomat.) nel quadro delle più recenti ricostruzioni archeologiche ed antichistiche in genere delle modalità di lavorazione domestica delle fibre animali e vegetali nell’età tardo-repubblicana ed imperiale romana. Si cercherà anche di comprendere il significato tecnico-giuridico dell’espressione ’“id quod uxoris causa paratum est” usata nel presente frammento e in altri per indicare un legato predisposto per l’uso della moglie. Per la comprensione della testimonianza alfeniana ci si rifarà anche all’esegesi di D.33.2.32.2 Scaev. 15 dig., concernente un legato a favore della moglie del de cuius avente per oggetto, come nel passo esaminato, “lana” e “purpura”.

Barea Sorano raggiunse l’ultimo scalino del cursus honorum sotto Claudio nel 52 d.C. quando assunse la carica di consul designatus e assunse poi il proconsolato d’Asia probabilmente tra il 61 e il 62 d.C. restando in carica fino al 64. La ricerca consiste nell’analisi giuridica delle notizie tramesse dalle fonti letterarie sul processo a cui fu sottoposto insieme a sua figlia nonché della disciplina del crimen maiestatis in età neroniana.

La funzione rieducativa della pena di cui all’art.27, comma 3, Cost.. continua a vivere all’interno di un divario per cui, da un lato, è valorizzata dal legislatore e dalla giurisprudenza Edu e della Corte costituzionale, dall’altro resta svilita da una amministrazione penitenziaria complessa, le cui strutture e prassi comportano una compressione dei diritti dei detenuti, in primis quello alla rieducazione. Lo studio partirà dall’analisi della finalità rieducativa di cui all’art.27, comma 3 Cost., così come interpretato dalla giurisprudenza, per poi passare a verificare come essa venga perseguita dalle amministrazioni penitenziarie periferiche. L’analisi servirà ad evidenziare le criticità della logica meramente custodiale e carcerocentrica e la necessità di un suo superamento per il rafforzamento di percorsi alternativi al carcere effettivamente funzionali alla finalità rieducativa.

La notizia di un fatto disciplinarmente rilevante, commesso da un magistrato, obbliga il Procuratore generale della Cassazione ad esercitare l’azione disciplinare, avviando un procedimento che si conclude con una decisione del Consiglio Superiore della Magistratura. All’obbligo di iniziativa fa da contrappeso un particolare potere: in alcuni casi, il Procuratore può decidere di non attivarsi, adottando un provvedimento di archiviazione sottratto al controllo del CSM. La Procura Generale nega la conoscibilità del suddetto documento e rigetta le istanze di accesso indirizzate all’Ufficio. Questo contributo, dopo aver descritto la normativa di riferimento, illustra i motivi per i quali si ritiene che l’archiviazione debba essere segreta ed analizza la giurisprudenza più recente sul punto. Al centro del problema si pone la natura del provvedimento, da cui dipendono l’applicazione della normativa sull’accesso agli atti amministrativi e l’operatività dei relativi limiti.

Il saggio analizza le regole previste per le associazioni e le fondazioni dal Codice del Terzo settore in tema di organizzazione interna e ne indaga i possibili profili problematici, anche alla luce delle omologhe regole previste in ambito societario all’interno del codice civile.

L’articolo affronta il tema di come si configuri la responsabilità precontrattuale rispetto alla parte c.d. plurisoggettiva, cioè a dire formata da più soggetti. Prendendo le mosse da una nuova interpretazione del termine “parte” dell’art. 1337 c.c., che consente di distinguere tra parte contrattuale e parte precontrattuale, l’articolo esplora la responsabilità precontrattuale all’interno della parte complessa (cioè tra i componenti della medesima) e all’esterno della stessa, cioè nei confronti della futura controparte.

Il contributo indaga sui principi di ammissibilità e veridicità della prova scritta nelle costituzioni ex CTh. 11.39, recepite nella Lex Romana Visigothorum e sulla loro permanenza nella Lex Visigothorum, in particolare in Lex Visig. II.5.18 e II.4.3.
